di Massimiliano Censi
Ettore Maria Colombo è tra i cronisti politici più noti nel Paese, giornalista professionista dal 1995, ha lavorato per molti giornali, sia a Milano (Liberazione, Il Diario della Settimana, Vita non profit, Libero) sia a Roma (Europa, il Riformista, il Messaggero, Panorama). Dal 2015 scrive per Quotidiano Nazionale (Giorno – Nazione – Resto del Carlino). Segue la politica e i temi legati all’attualità e ai lavori Parlamentari. È possibile leggere i suoi articoli nel suo blog personale di Politica: (http://www.ettorecolombo.com).
Grazie di avere accettato di dialogare con noi sul tema politico istituzionale a partire dalla sua esperienza. Con lei vorrei subito entrare nei temi che ci stanno a cuore. Il 3 agosto scorso siamo entrati nel semestre bianco, ci può evidenziare tre punti di forza e tre punti deboli che mettano in risalto luci ed ombre del nostro sistema Paese?
Siamo entrati in una congiunzione astrale che si verifica di rado nella storia della Repubblica, poiché durante gli ultimi sei mesi della Presidenza della Repubblica, il Presidente non può sciogliere le Camere nemmeno volendolo fare. Normalmente il Presidente della Repubblica, in caso di problemi insolubili tra i partiti di maggioranza, può sciogliere le Camere, mandando il paese al voto, ma in questi sei mesi non lo può fare. Il suo mandato scadrà nel febbraio 2022, quando si entrerà nell’ultimo anno della XVIII legislatura che terminerà nel febbraio 2023. Se, da un lato, i partiti durante il semestre bianco si sentono un po’ come gli studenti quando il professore esce dalla classe e iniziano a farsi i dispetti, dall’altra parte però non c’è nessun parlamentare che voglia andare a votare prima della scadenza naturale della legislatura, nonostante alcuni leader siano invece propensi al voto anticipato. Questa riluttanza è causata da due fattori: da un lato la riforma del governo Monti del 2013 che prevede che i parlamentari acquisiscano il diritto alla pensione solo dopo 4 anni e 6 mesi; dall’altro lato la molto grillina riforma Fraccaro, riforma costituzionale del 2020, che non ha modificato il funzionamento delle Camere ma ha solo diminuito il numero dei parlamentari da 945 a 600, lasciando irrisolti i problemi dovuti al bicameralismo perfetto ed al suo storico ed endemico malfunzionamento. È evidente che, stando così le cose, gli attuali parlamentari non hanno nessuna intenzione di andare a casa prima dell’ultimo giorno di scuola, cioè quando saranno passati 4 anni e 6 mesi dall’inizio della legislatura. I partiti continueranno a creare problemi a Mario Draghi, che però sembra non abbia alcuna intenzione di trasferirsi al Quirinale. Si arriverà così all’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica e la legislatura si concluderà serenamente nel 2023. Non dimentichiamoci inoltre che i soldi che stanno arrivando dall’Europa attraverso il Recovery Plan, sono talmente tanti ed importanti che possono davvero cambiare volto al Paese. Sarebbe dunque “un suicidio politico” creare una crisi istituzionale in un momento in cui l’Italia può uscire da una recessione che la vede ferma dalla metà degli anni 2000 e che si è aggravata con la pandemia. Invece i tre punti deboli del nostro sistema sono a mio giudizio: il taglio dei parlamentari, il bicameralismo perfetto e la tendenza dei partiti a formare una coalizione molto larga ed eterogenea che li porta poi a litigare su qualsiasi argomento; i tre punti di forza invece sono la solidità dell’istituto Presidenza della Repubblica (con i suoi poteri a fisarmonica, per citare Giuliano Amato); la presenza di Draghi a capo del governo, una garanzia per tutti e l’intenzione del “parlamentare peone” a rimanere attaccato alla poltrona, elemento poco nobile ma che si rivela in questo momento un aiuto al Paese per fare quello di cui c’è bisogno.
Guardando ai sondaggi, il centrodestra è lo schieramento politico che gode del maggior consenso politico tra gli italiani. Come giudica i rapporti tra Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia? E come valuta l’ipotesi di creare una federazione tra questi 3 partiti?
Il centrodestra in Italia parte favorito in qualsiasi elezione, dall’assemblea di condominio, al consiglio studentesco fino alle elezioni politiche. È evidente, dunque, che si tratta della coalizione più forte del Paese e di quella che gode di maggior consenso da parte dell’elettorato. Anche qualora la Lega scendesse nei voti, Forza Italia restasse stabile e Fratelli d’Italia salisse nei consensi, dato che la matematica non è un’opinione 20+7+20 fa 47, cui occorre aggiungere partiti che oggi sembrano irrilevanti come UDC e Coraggio Italia, ma che possono solo crescere, ed ecco che ci si ritrova con un centrodestra capace di superare il 50% dei consensi, a prescindere da qualsiasi sistema elettorale vigente o modificato. A livello politico, altra cosa è chiedersi se il centrodestra riuscirà a gestire questa fase particolarmente felice di luna di miele con l’elettorato. Evidentemente no, perché le liti al suo interno sono feroci a causa della continua competizione tra Meloni e Salvini. Lo dimostra la scarsa capacità comune di scegliere candidati, oggi ad occhio perdenti, per le prossime amministrative, spesso provenienti dalla società civile, bacino di candidature che di solito non è mai stata un punto di forza per il centrodestra. Così ci sono buone possibilità che nelle grandi città i loro candidati ne usciranno sconfitti. Dall’altro lato, invece, il centrodestra si sta attorcigliando in una discussione sterile e pleonastica, quella sul partito unico, sulla federazione e del coordinamento dei gruppi parlamentari, gli stessi argomenti e temi da “sesso degli angeli” che per 20 anni hanno rappresentato un altrettanto inutile discussione nel centrosinistra. Si tratta di un segno di estrema debolezza. Tutti questi elementi però nascondono il vero dato politico di questi mesi: Berlusconi sembra avere deciso che Salvini sarà il futuro leader del centrodestra. Rimanendo sopra le parti, il Cavaliere cerca di fare da paciere all’interno della competizione vera, quella tra Salvini e Meloni, tra il partito di governo della Lega e il partito della Meloni che ha gioco facile a fare l’opposizione, ma resta che Berlusconi punta a un partito unico con Salvini e non con Meloni.
Il Movimento 5 Stelle è stato attaccato di recente a causa delle dichiarazioni rilasciate da Giuseppe Conte sulla crisi afgana. Come valuta la gestione della situazione in Afghanistan da parte di Luigi Di Maio? E quale potrebbe essere il futuro del Movimento con l’evolversi del rapporto tra Conte e Grillo?
Conte ha fatto una battuta molto infelice sul dialogo con i Talebani “moderati”, ma tutte le potenze occidentali sanno che saranno costrette a trattare con i vincitori, come hanno dimostrato tutte le guerre in Afghanistan e le crisi politiche precedenti. Di Maio invece ha fatto solo una gaffe non voluta: era al mare il 15 agosto, come tutti i nostri politici. È un ottimo Ministro degli Esteri: ha acquisito una forte credibilità a livello internazionale grazie al fatto che non è stupido e studia molto; sta gestendo, assieme a Guerini, che è uno straordinario Ministro della Difesa, molto bene la crisi in Afghanistan. L’Italia ha ormai già evacuato il maggior numero di profughi dopo gli Stati Uniti e lo sta facendo nel modo migliore, con atti di eroismo da parte dei soldati e del nostro personale diplomatico, tra cui il viceconsole Claudi, e di solidarietà straordinaria, con la presenza indomita e coraggiosa delle ONG che vogliono restare a Kabul ancora oggi. Abbiamo un apparato politico-militare-civile che ha reagito nel modo migliore alla crisi, ancora meglio degli Stati Uniti. Abbiamo un premier che ha preso il posto di Angela Merkel come portavoce dell’Europa e sta tessendo una grande opera di mediazione internazionale con la Russia, la Cina e gli altri paesi del G20, ponendosi già il problema dei tanti profughi che presto o tardi arriveranno. I 5 Stelle come partito invece si sono rivelati una delusione sia per quello che avevano promesso e non hanno mantenuto sia per ciò che hanno portato a casa, come la riforma Fraccaro e il reddito di cittadinanza, entrambe scelte molto criticabili. I consensi del Movimento sono passati dal 33%, percentuali toccate nella prima repubblica solo dalla Democrazia Cristiana, all’attuale 15%; secondo la mia opinione alle elezioni amministrative andranno molto peggio, e potrebbero attestarsi intorno al 5%. In futuro potrebbero diventare un partito moderato e liberale di tipo europeo, guidato da Conte ed alleato con il PD, ma resteranno un partito che secondo me non supererà il 10%. Se così fosse, tradirebbero l’idea primigenia di rappresentare un grande cambiamento della politica italiana e sarebbe questo per il Movimento un grande fallimento che però può diventare un male da cui nasce un bene: il ritorno al bipolarismo classico della seconda Repubblica. Il rapporto tra Conte e Grillo mi ricorda quello del duo Prodi-Rutelli all’interno della Margherita: era chiaro che uno avrebbe vinto e l’altro se ne sarebbe andato. La loro è una pace armata che durerà poco e alla prima occasione litigheranno ancora. Dopo la rottura con la Casaleggio Associati, quando ci sarà anche la rottura tra Grillo e Conte, i loro destini si separeranno e del Movimento 5 Stelle originale non rimarrà più nulla.
Il centrosinistra sta perdendo consensi, anche i sondaggi lo attestano. Può fornirci alcuni elementi di merito e demerito dell’operato del PD per aiutarci a capire qual è il loro fine e i loro obiettivi?
D’Alema, in uno dei suoi momenti d’ira, definì il PD come un “amalgama mal riuscito”. Si tratta di un giudizio ingeneroso poiché i due elementi originali – DS e Margherita – si sono fusi ed ora è molto difficile distinguere chi viene dal PCI e chi dalla DC. Le due culture politiche si sono amalgamate e quindi si può affermare che l’esperimento politico è riuscito. Un altro punto di forza del PD è l’elezione del segretario da parte degli iscritti in prima base e dei simpatizzanti in seconda base: le primarie sono sicuramente un po’ logore, il regolamento del congresso è assai cervellotico, ma quello che fa il Partito Democratico non lo fa nessun altro partito in Italia e questo è un segnale maturo di democrazia dal basso verso l’alto. Il terzo punto di forza è quello di mantenere insieme le tre grandi culture costituzionali venendo dalle due grandi tradizioni cristiano-democratica e social-comunista con una spruzzata di liberal-socialismo di marca azionista e laica. Come amano dire i suoi dirigenti, il PD è un partito costituzionale per natura, che rappresenta il meglio delle culture politiche che hanno fatto la storia di questo Paese. Né l’estrema destra da cui sono venuti Alleanza Nazionale prima ed ora Fratelli d’Italia, né la Lega e nemmeno la sinistra extraparlamentare e radicale hanno saputo rappresentare, a differenza delle culture che hanno dato origine al PD, le migliori tradizioni e identità politiche del nostro Paese. Se dovessimo fare la lista dei demeriti del PD, dovremmo invece scrivere un libro, perché non ne azzecca una. Il partito sta facendo una fatica enorme a trovare un segretario all’altezza: secondo me, gli ultimi due segretari all’altezza sono stati Bersani e Renzi. Bersani era un uomo solidamente di sinistra che sapeva parlare con chi non era di sinistra e aveva una grande capacità di essere empatico con la gente normale. Renzi, l’uomo più antipatico dell’universo, aveva lanciato un processo di modernizzazione del partito e rilanciato l’idea veltroniana del “partito della nazione” che si identificasse con i grandi valori nazionali e che fosse maggioritario per scelta e per vocazione. Dopo è stato un pianto, tra segretari ponte e l’epoca Zingaretti che, incapace di dare forza e identità al partito, ha appiattito il PD sul governo giallorosso. La gestione Letta, nonostante le grandi prospettive ed ambizioni della vigilia, sta onestamente deludendo per come il segretario sta conducendo il partito. La mia critica fondamentale, che deriva dalla mia cultura cattolico-sociale di base, è quella di essersi troppo appiattito sulla difesa dei diritti individuali, i cosiddetti diritti civili, che per me sono diritti individuali poiché i diritti civili sono una cosa seria. Il diritto civile per eccellenza era il suffragio universale. C’è uno slittamento semantico della politica, per cui i diritti civili sono diventati una cosa e i diritti sociali un’altra. Io li chiamo diritti individuali, diritti delle persone; ovviamente non ho nulla contro il riconoscimento dei diritti delle persone, di qualsiasi colore, razza od orientamento sessuale siano. Ma il PD, che dovrebbe essere il partito dei lavoratori, della difesa della ragione del lavoro, tace davanti a un tema terribile come le morti bianche, che nel silenzio generale continua a macinare vittime. Fa fatica a parlare davanti ai casi di stalking e violenza sulle donne, lo vedo concentrato solo su battaglie come il ddl Zan contro l’omotransfobia, il referendum sull’eutanasia o sullo Ius soli. Focalizzare il partito su questi temi ha un chiaro interesse elettorale per recuperare i voti che ci sono a sinistra del PD costruendo un’identità forte, ma sposta il baricentro di un partito che dovrebbe guardare ad una difesa a più ampio spettro puntando sui diritti sociali ed economici universali. Un esempio di questa dinamica è emerso qualche giorno: la proposta del Ministro Orlando contro le delocalizzazioni ha fatto marcia indietro dopo le critiche della Confindustria, mentre il ddl Zan dovrebbe essere approvato così com’è, senza nessuna mediazione politica. Con queste posizioni, che non condivido e capisco solo in chiave elettorale, il PD non si schioderà dai risultati del 2018, nonostante quello che dice Letta. Anche racimolando qualche punto percentuale dai partiti a sinistra ed alleandosi con il Movimento 5 Stelle, il 20% del PD e il 10% del M5S non supera il 30%, ma così sei sconfitto in partenza. Detto questo, riconosco che il massimo dell’espansione del centrosinistra negli anni ‘90 ha superato il 40%: c’erano sì partiti più strutturati e forti, ma anche un centrodestra diviso. Dobbiamo sempre ricordarci che, in questo Paese, il centrosinistra è storicamente minoritario ed il centrodestra è storicamente maggioritario.
Per concludere le chiedo come può il mondo cattolico aiutare il sistema Paese? Cosa serve alla politica in questo momento per essere rianimata e rilanciata?
Tutte le volte che questo Paese ha prodotto delle novità politico-istituzionali è stato grazie ad un centro cattolico che guardava a sinistra. Durante i moti di Milano del 1898, c’erano dei preti in piedi sulle barricate contro i cannoni di Bava Beccaris; l’umanitarismo cristiano è stato un pezzo fondamentale per la nascita dei movimenti socialisti di fine Ottocento. Grazie al patto Gentiloni nacquero i governi Giolitti, che furono governi d’innovazione. Nel primo dopoguerra c’era il Partito Popolare di don Sturzo, che ha però fatto un grandissimo errore aderendo ed aiutando a far nascere il primo governo Mussolini, anche se poi divenne un partito rigidamente antifascista. La presenza della Chiesa e del regime concordatario sono stati un elemento di stabilizzazione del regime, dal mio punto di vista in negativo, ma che dicono quanto pesa l’elemento cattolico nel nostro Paese. Il regime non si sarebbe mai così stabilizzato e radicato senza di esso. Adesso la definizione di partiti di centro e moderati non vale più nulla, perché si tratta di fenomeni ridotti a veleggiare intorno al 2%. Ma, guardando alla storia nazionale, l’arrivo della presenza dei cattolici dopo la fine del non expedit ha fatto slittare l’Italia in avanti di parecchio, nonostante fossero cattolici che arrivavano dal lato destro dello schieramento. La Democrazia Cristiana è l’elemento fondante della nascita del patto costituzionale che dà vita ai governi di CNL e alla scelta repubblicana rispetto alla quale De Gasperi ha un peso storico fondamentale. Se la DC non si fosse schierata, il referendum l’avrebbe vinto la monarchia. Nella nascita dell’Assemblea costituente e poi per la Costituzione, la DC ed il mondo cattolico sono stati protagonisti, così come lo sono stati nel Concilio Vaticano II, nella stagione del centrosinistra che ha dato vita alla vera stagione riformatrice nella prima Repubblica e nel tentativo, pur malriuscito, del compromesso storico con il PCI. Nel momento in cui la Democrazia Cristiana è crollata su sé stessa, riducendosi al piccolo Partito Popolare, ha lasciato un vuoto al centro della politica che è stato subito occupato da Forza Italia. Da quel momento la Chiesa è cambiata molto, il mondo cattolico in politica e la presenza e le ingerenze della Chiesa nella politica italiana sono sempre state decisive, dei punti di svolta sia in positivo che in negativo. Da questo punto di vista quindi, il mondo cattolico è fondamentale. La Chiesa ha poi visto una stagione di ritiro della presenza politica e di appoggio a partiti politici di ispirazione cristiana, ma di floridezza dei movimenti. Proprio qualche giorno fa, il Papa ha deciso che i movimenti devono non più essere legati a un fondatore a vita, ma cambiare la loro figura apicale dopo dieci anni: questi movimenti hanno sì preservato l’identità cristiana e la presenza dei cattolici nella società, ma si sono ritirati dalla politica, anche nel caso di CL che rimane il movimento che più ha avuto ambizioni di stare dentro la politica. La stessa Comunità di Sant’Egidio, nonostante proponga qualche candidato all’interno del centrosinistra, si è ritirata nel proprio orto. Questo Papa poi non vede di buon occhio la presenza dei cristiani in politica per la concezione della Chiesa universale e per la sua storia personale; Francesco non crede nella militanza cattolica diretta nella politica, a differenza di Papa Giovanni Paolo II, e la sua azione non favorisce che nascano nuovi fermenti religiosi che guardano al mondo politico. Comunque, dentro al mondo cattolico, e Comunità di Connessioni ne è un ottimo esempio, l’elemento della formazione, della crescita culturale, dell’informazione, dell’approfondimento dei problemi rimane un asset fondamentale. A voi viene naturale fare queste cose ed agire così. Quello che chiederei a soggetti come il vostro, nei limiti delle vostre possibilità, è uno sforzo in più. Infatti, che voi approfondiate i temi, a differenza di altri che non lo fanno, è il minimo sindacale, perché vi viene facile. Come cittadino, non da giornalista, vi chiederei un passo in più cioè quello rimboccarvi le maniche e prendere parte all’agone politico. Mi si può dire che ormai la presenza dei cattolici, per ragioni di sistema elettorale o per chiusura del sistema politico, è irrilevante come un granellino nella sabbia: capisco l’obiezione ma, come la sinistra storica, quando i cattolici hanno voluto imporre la loro presenza ci sono riusciti per la forze delle idee, per la capacità organizzativa, per una storia millenaria che ti aiuta nel discernere cos’è giusto e cos’è sbagliato, per una duttilità tattica, per un bagaglio culturale profondo che viene continuamente arricchito. Secondo me sarebbe importante che in un momento di passaggio del sistema politico istituzionale come questo, anche i cattolici facciano la loro parte, voi in testa a tutti. Sicuramente dovrebbero e dovreste farlo senza l’aiuto del Vaticano, ma secondo me va fatto. Perché nei momenti di alta responsabilità o di passaggio storico di un paese come il nostro, i cattolici ci sono sempre stati e non è possibile che non ci siano anche questa volta.