È stato di recente approvato in Senato il disegno di legge sull’autonomia differenziata A.S. n. 615, anche conosciuto come “d.d.l. Calderoli”, dal nome del Ministro che lo ha presentato.

Il tema evoca l’esigenza di interrogarsi seriamente sul valore della fraternità nell’attuale sistema di finanza pubblica e in quello che la riforma vorrebbe introdurre. La valorizzazione delle autonomie regionali, infatti, è certamente un’ambizione che merita di esser fruttuosamente coltivata. Non al prezzo, tuttavia, di una ripartizione delle ricchezze individualista e divisiva, la cui attitudine disgregatrice è stata ben colta da Papa Francesco nell’Enciclica “Fratelli tutti”, quando afferma: «L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. […] Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni, come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune (105)».

Tanto nell’attuale sistema di finanza pubblica quanto in quello che si vorrebbe introdurre, occorre allora interrogarsi sul punto di equilibrio tra la legittima aspirazione delle Regioni ad esser valorizzate nella loro diversità e la irrinunciabile necessità di assicurare e rinsaldare quel legame di fraternità e solidarietà tra tutti i cittadini, indipendentemente dalla ricchezza dell’area geografica che abitano.

Come noto, l’attuale sistema di finanza pubblica è ispirato ad un modello di “federalismo simmetrico”, nel quale Regioni ed Enti locali dispongono di propri tributi, compartecipano al gettito dei tributi erariali e beneficiano di trasferimenti statali volti ad attenuare le differenze con le aree più ricche (trasferimenti perequativi). In questo sistema, prioritaria rilevanza assumono i cosiddetti “livelli essenziali delle prestazioni” (LEP), prestazioni e servizi da erogare uniformemente su tutto il territorio nazionale, per garantire uno standard minimo e inderogabile di tutela dei diritti civili e sociali a tutti i cittadini, al di là della maggiore o minore ricchezza della singola Regione.

È a tal fine previsto uno specifico fondo (c.d. fondo perequativo), destinato alle Regioni e agli Enti locali più in difficoltà nel garantire i LEP. Lo Stato, in altri termini, finanzia Regioni ed Enti locali nella misura necessaria a garantire la copertura del fabbisogno per l’erogazione dei LEP, mentre le eventuali prestazioni in eccedenza dovranno essere coperte da Regioni ed Enti locali con proprie finanze, volendosi così incentivare una più efficiente e responsabile gestione della spesa.

Il disegno di legge AS 615, il cui esame spetta ora alla Camera dei deputati per la definitiva approvazione, mira ad attuare un sistema di “federalismo asimmetrico”, mediante trasferimento di poteri e funzioni dallo Stato alle Regioni in materie a competenza legislativa concorrente (art. 117, co. 3, Cost.) e in quelle attualmente di esclusiva competenza statale (quali l’organizzazione della giustizia di pace, l’istruzione, la tutela dell’ambiente e dei beni culturali: art. 117, co. 2, Cost.). Si vorrebbe così dare attuazione all’art. 116, co. 3, Cost., che accorda alle Regioni il potere di chiedere forme di autonomia ulteriori rispetto a quelle già garantite dal successivo art. 117: in questo senso, il federalismo diviene asimmetrico, perché alcune Regioni potrebbero godere di maggiore autonomia rispetto ad altre.

Anche in questo sistema, si riconosce centrale rilevanza ai LEP.

L’art. 1, co. 2, del d.d.l. Calderoli prevede infatti che l’attribuzione di ulteriori funzioni nelle materie riferibili a diritti civili e sociali, che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale, è consentita solo dopo che siano stati definiti i livelli essenziali di prestazione, e comunque all’esito di una negoziazione tra Regione e Governo.

Già ad una prima analisi, però, emergono alcuni rilievi critici.

Anzitutto, non si è mai provveduto a determinare quale concretamente sia questa soglia minima di prestazione dei servizi, inderogabile se non al prezzo di una lesione dei diritti fondamentali del cittadino. Tanto l’attuale sistema di federalismo simmetrico quanto quello asimmetrico scontano, dunque, la contraddizione di individuare come premessa fondamentale del loro funzionamento la determinazione dei LEP, salvo poi non definirli. Ma nel sistema delineato dal d.d.l. Calderoli il problema tende ad acuirsi: vediamo perché.

Alcuni emendamenti al d.d.l. AS 615 hanno delegato il Governo ad adottare, entro due anni, alcuni decreti legislativi per la definizione dei LEP; nel frattempo, i LEP potranno essere definiti con meri Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM).

Il problema è qui (almeno) duplice: in primo luogo, come visto, in assenza di una determinazione dei LEP non è possibile procedere al trasferimento delle competenze nelle materie; in secondo luogo, l’esigenza di superare questa paralisi offre comunque un’occasione al Governo per definire gli stessi LEP non certo tramite atti normativi (come i decreti legislativi) bensì tramite agevolissimi DPCM. E non è detto, si noti, che il Governo riesca (o voglia) adottare i decreti legislativi di definizione dei LEP entro i due anni, così limitando questo ampio potere di definizione.

Si profila, in proposito, un ulteriore problema: una valutazione al ribasso delle soglie minime di prestazione dei servizi rischierebbe di tradursi in una sostanziale lesione dei diritti fondamentali, civili e sociali, di quei cittadini che abitano le Regioni più povere, le quali non saprebbero come finanziare le eccedenti prestazioni, pur necessarie per un dignitoso esercizio di quei diritti.

Il rischio è quantomai concreto, se si considera che l’individuazione della soglia minima è strettamente connessa alla quantità di risorse finanziarie che i Governi dovranno trasferire alle Regioni: quanto più è bassa, tanto più i Governi disporranno di risorse non vincolate da destinare ai più svariati fini. E questo, se non è un problema per le Regioni che potranno coprire le ulteriori prestazioni con finanze proprie, certo lo sarà per quelle Regioni che di tali sostanze non dispongono, anche per essersi maggiormente impoverite in ragione di un sistema che consentirebbe alle Regioni e agli Enti locali di trattenere una consistente parte del gettito fiscale che, prima, sarebbe stata dallo Stato destinata alle realtà locali più in difficoltà.

Occorre allora evitare che un diverso assetto dei rapporti Stato-Regioni si traduca in una frustrazione del principio di solidarietà politica economica e sociale di cui all’art. 2 della nostra Costituzione. Ecco che il problema giuridico diviene problema politico e, finanche, di fratellanza umana: non è un caso che il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Zuppi, abbia espresso preoccupazione per l’autonomia differenziata, palesatasi quale «meccanismo di ulteriore impoverimento e denatalità. La questione meridionale deve porre una seria domanda su come non accettare i disequilibri»[1]. Particolarmente critico anche Monsignor Battaglia, arcivescovo di Napoli, per il quale si rischia una lacerazione di quel senso di solidarietà proprio della nostra gente[2].

In effetti, anche se si è inteso analizzare l’intervento in chiave essenzialmente tecnico-giuridica, il tema resta senz’altro politico ed è per questo che, pur nella trama delle considerazioni giuridiche, si è inteso non nascondere il rischio di emarginazione dei nostri fratelli più poveri: questione che dovrebbe coinvolgerci quali cittadini impegnati per il “progresso materiale e spirituale della società”, come impone l’art. 4 della nostra Costituzione. Un impegno che inevitabilmente esorta tutti noi a interrogarci su come valorizzare le autonomie e le bellezze delle nostre diversità senza che, parafrasando Don Tonino Bello, la nostra Repubblica diventi una cassa, e non più una casa, comune.

[1] https://vocetempo.it/zuppi-lautonomia-differenziata-meccanismo-di-ulteriore-impoverimento/

[2] https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/l-arcivescovo-di-napoii-battaglia-autonomia-differenziata-vangelo-e-costituzione-ispirano-il-mio-giudizio