In questo mese di febbraio “l’avvocato robotDoNotPay, il sistema di intelligenza artificiale realizzato da Joshua Browder, avrebbe dovuto difendere il suo primo cliente da un’accusa per eccesso di velocità, una violazione che negli Stati Uniti è punita con multe molto onerose.

Ad annunciarlo tramite un post su Twitter era stato proprio il suo creatore: «Il 22 febbraio alle 13:30, verrà scritta la storia. Per la prima volta in assoluto, un robot rappresenterà qualcuno in un’aula di tribunale statunitense. L’intelligenza artificiale di DoNotPay dirà all’orecchio di qualcuno esattamente cosa dire. Augurateci buona fortuna!»

Già in passato Browder aveva realizzato una chatbot (un’applicazione software utilizzata per condurre una conversazione di chat online) dotata di intelligenza artificiale capace di fornire a chiunque una consulenza legale, tramite modelli di conversazione pre-programmati, per contestare multe, richiedere rimborsi alle compagnie aeree, ecc. Con tale progetto Browder aveva realizzato il sogno di giovane studente della Stanford University, quando tentò di escogitare un modo per non pagare le consistenti multe che puntualmente ritrovava apposte sulla propria auto nel parcheggio universitario. Browder non sopportava l’idea di doversi fare assistere da un avvocato per contestare le multe poiché riteneva che l’importo delle stesse fosse minore dei costi da riconoscere al difensore per l’assistenza legale in un processo relativamente semplice. Fu così che Browder creò l’app DoNotPay senza aspettarsi che nel giro di pochi anni sarebbe arrivato alla creazione di un avvocato robot capace di garantire al proprio assistito l’assistenza legale dinanzi ad un giudice.

Nel mese di dicembre scorso Browder ha lanciato la sua idea tramite un tweet: far indossare all’imputato un Apple AirPod in Tribunale in modo che, attraverso il microfono, l’intelligenza artificiale potesse ascoltare gli eventi in aula in tempo reale e veicolare le risposte attraverso l’auricolare.   In altre parole, l’intelligenza artificiale che animerebbe l’avvocato robot, addestrata sulla base di dati relativi a precedenti casi giudiziari, ascoltando ed elaborando le argomentazioni dei giudici in aula, sarebbe in grado di suggerire immediatamente all’imputato cosa dire. Tale strumento, dunque, consentirebbe all’imputato di difendersi in prima persona senza un avvocato in carne ed ossa.

Nonostante l’euforia iniziale, qualche settimana fa, lo stesso Browder ha ripercorso i suoi passi riferendo che, per il momento, l’avvocato robot non farà alcun ingresso in tribunale a causa di numerose sollecitazioni contrarie da parte della procura generale.

Sebbene l’intelligenza artificiale continui a fare passi da gigante, sostituendo l’uomo anche nelle mansioni più specialistiche, a chiunque sarebbe sembrato difficilmente immaginabile che un’entità astratta, l’avvocato robot, potesse difendere il proprio assistito davanti a un giudice in carne e ossa, pronto ad emettere sentenza.

Non v’è dubbio che il progresso tecnologico sia già permeato negli studi legali come utile supporto per semplificare la mole di lavoro (es. svolgimento di ricerche legali, sistemi di archiviazione, etc.): un robot può senz’altro immagazzinare un corposo numero di norme e di precedenti giurisprudenziali ed elaborarli con una velocità maggiore di quanto possa fare un avvocato, non bisogna tralasciare, tuttavia,  requisiti e aspetti rilevanti che sono peculiari della persona umana.

Infatti, sin dal primo incontro con l’assistito, l’avvocato analizzerà il problema legale, non offrendo certamente risposte automatiche ed impersonali, ma interloquendo con il cliente, cercando di acquisire tutte le informazioni utili ad elaborare una strategia difensiva consona al caso concreto per rappresentare ad hoc le strade da intraprendere e indirizzare la decisione del giudice nel senso più favorevole al cliente. Inter alia, gli strumenti e le attività compiute per l’indagine difensiva coinvolgono consulenti tecnici, l’analisi delle prove raccolte dal Pubblico Ministero, la selezione degli elementi di prova a discarico, dei precedenti giurisprudenziali e dei testimoni potenzialmente favorevoli per la posizione del cliente.

Bisognerebbe interrogarsi sul quanto una funzione automatizzata possa garantire il corretto esplicarsi di una difesa adeguata al reato commesso, riducendo i margini di errore e permettendo il giusto esercizio della funzione giurisdizionale. Sebbene relegata a casi più lievi, pur riconoscendone l’indispensabile supporto fornito alla natura pratica delle attività di un avvocato, al momento si stenta ad immaginare che l’intelligenza artificiale possa sostituire le competenze e l’ars oratoria peculiare di ciascun legale: guardare con fiducia al progresso tecnologico si può, senza tuttavia dimenticare l’aspetto umano e singolare che spetta ad ogni uomo meritevole di difesa.

Il sempre maggiore utilizzo delle nuove tecnologie potrebbe certamente supportare gli operatori della giustizia (avvocati, magistrati e personale amministrativo) nell’adempimento delle loro attività quotidiane. Va in questa direzione il progetto Isa, un “ambiente di intelligenza artificiale” finanziato dal Ministero della Giustizia “Start UPP – Modelli, Sistemi e Competenze per l’implementazione dell’ufficio per il processo”. I primi passi per la sperimentazione del prototipo sono stati mossi proprio in questi giorni con la collaborazione dell’Università di Salerno, degli uffici giudiziari e degli Ordini forensi del distretto di Corte d’appello di Salerno.

L’obiettivo è duplice: implementare i modelli operativi innovativi negli uffici giudiziari e smaltire l’arretrato nei Tribunali.

L’intento è quello di continuare a dare centralità ed importanza all’operatore del diritto, in questo caso il giudice, e l’assistente virtuale, impostato secondo i modelli dell’intelligenza artificiale, dovrà essere considerato esclusivamente come strumento di razionalizzazione organizzativa in grado di far fronte alle criticità di scopertura e sottodimensionamento degli organici del settore giudiziario.