Ombre gli appaiono in sogno. E se è vero che solo nei sogni gli uomini sono veramente liberi, è lì che Hirayama, interpretato da Koji Yakusho, il protagonista dell’ultimo film di Wim Wenders, si spoglia delle sue paure.

Non è un caso che uno dei suoi libri preferiti spieghi la differenza tra ansia e terrore.

La scelta di un lavoro umile e meccanico sembrerebbe il frutto di fallimenti, ma in realtà gli consente di sedare quell’ansia imperante di controllo del tempo.

L’orologio, infatti, lo indossa solo nei giorni di riposo perché necessita di una bussola temporale contro i risvolti imprevedibili di una giornata non scandita dalle stesse azioni.

Il resto della settimana è un susseguirsi di rituali: dalla sveglia naturale della scopa della vicina che scansa lo sporco da terra, all’annaffiamento delle piante, di cui ama prendersi cura, passando per il suo lavoro e i pasti nei locali dove viene riconosciuto, e senza dimenticare lo sguardo verso il cielo ogni mattina: una dose di grazia per un nuovo inizio.

È solito fare la doccia nei bagni comunali dalle generazioni passate.

Hirayama è un intellettuale, non perché ama la lettura, ascolta musica di nicchia o cerca di cogliere il riflesso di luce tra gli alberi, ma perché si impone autodisciplina per non impazzire.

Un poeta romano Daniele Mencarelli, nel suo libro “La casa degli sguardi”, raccontando la vita di un addetto alle pulizie di un ospedale afferma: “ L’aspetto più importante, però, è un altro e fa tutta la differenza del mondo: il mio lavoro mi calma. I gesti meccanici, come possono essere quelli che servono per lavare per terra o pulire un vetro, mi permettono di ragionare senza finire in pasto all’ansia, forse perché la testa è impegnata a gestire il corpo preso dalle azioni da svolgere e non può concentrarsi tutto sul ragionamento o l’ossessione di turno”.

Grazie ad una fotografia perforante, il film invoglia a partire subito per il Giappone e trasmette una filosofia di vita, facilmente sintetizzabile nella frase pronunciata dal protagonista e ripetuta più volte dalla nipote: “Un’altra volta è un’altra volta, mentre adesso è adesso”.

Solo alla fine, in una delle ultime scene, nell’incontro con un malato terminale, sembra chiudersi il cerchio, o meglio sembra concludersi quella partita giocata contro un Qualcuno non identificato.

Hirayama si lascia andare ad un pianto di felicità solo quando gli viene chiesto di prendersi cura della donna per cui prova un’intima simpatia e scopre che le ombre sono sovrapponibili.

Quelle ombre che sono le sue paure. Scopre che si possono anche calpestare…

Perché è vero, forse si finisce di vivere senza sapere nulla, “ma se niente cambiasse sarebbe veramente assurdo”.