La capacità di influenzare le politiche globali e il grande peso economico fanno degli Stati Uniti d’America un Paese a cui anche noi, italiani ed europei, dobbiamo guardare. Infatti le politiche dell’Unione europea si intrecciano con le strategie globali degli USA. Ne abbiamo parlato insieme a Giorgio Tonini e Francesco Clementi. Tre temi, in particolare, ci interessano: la logica delle istituzioni statunitensi; i contenuti della sfida tra Biden e Trump; la base su cui ricostruire i rapporti tra USA e Unione europea.
Possiamo definire l’ossatura istituzionale americana come un gioco di check and balances: la tensione ad orientare il rapporto tra i vari livelli di governo, dalle comunità cittadine al governo centrale, verso una stabilità ideale. Questa mentalità è centrale per capire le dinamiche elettorali: gli USA sono stati fondati sul principio della libertà individuale, quindi è molto forte il senso di etica personale e di non ingerenza del Governo.
Un’eco di questa prospettiva si ritrova nel sistema elettorale presidenziale: non si conta la maggioranza dei voti presi dai candidati in tutto il territorio, ma vale il conteggio dei voti all’interno del singolo Stato. Il partito che conquista la maggioranza nel singolo Stato vince tutti i suoi delegati in palio. La totalità dei delegati eletti confluisce nel collegio dei “grandi elettori” che elegge direttamente il presidente. In questo modo, alla fine del XVIII secolo, si è pensato di equilibrare il potere del popolo, degli Stati nazionali e del Governo federale. Nonostante sia un sistema pensato per garantire ad ogni parte il giusto peso, non è privo di punti deboli.
Le elezioni del 2020 hanno mostrato uno scontro tra due visioni del mondo opposte. Trump, appena eletto nel 2016, ha puntato sull’economia, riavviando cicli produttivi anacronistici (come quello del carbone) per creare nuovi posti di lavoro. La sua presidenza si è concentrata sulla coltivazione di relazioni più forti nel Pacifico, piuttosto che al di là dell’Atlantico, con risultati altalenanti: con la Cina si è passati da un accordo commerciale sfiorato a costanti guerre dei dazi. Il presidente ha dimostrato un disinteresse nei confronti degli storici alleati europei, mentre con la Russia di Putin ha alternato intese e momenti di conflitto. Biden, già vicepresidente con Obama dal 2008 al 2016, sostiene fortemente la transizione ecologica contro il cambiamento climatico.
Per quanto riguarda la politica estera non appoggia la diminuzione dei finanziamenti alle Nazioni Unite (UNESCO) disposta da Trump ed è invece interessato a riprendere le relazioni con l’UE secondo un modello multilaterale. Un elemento che ha giocato a favore dell’elezione di Biden è stata la maldestra gestione sanitaria della pandemia da parte di Trump, il quale ha sempre negato l’importanza delle mascherine e delle altre misure di prevenzione. Anche la scelta di Kamala Harris alla vicepresidenza rimarca una differenza di stile tra i due candidati.
La sua elezione, oltre ad indicare la strada che i Democratici potrebbero prendere nel futuro, è sicuramente un messaggio di inclusione: oltre ad essere la prima donna a ricoprire quella carica, rappresenta anche una speranza per le etnie che stanno via via diventando maggioranza negli USA come gli asiatici, i latinos e gli afroamericani. La sconfitta di Trump aiuta quindi a sperare che sia archiviato anche uno stile politico pericoloso: l’utilizzo di un linguaggio aggressivo, il non rispetto per le donne e le minoranze, il sostegno alla violenza nelle manifestazioni a suo favore, un processo decisionale basato sulle proprie istanze e unilateralismo isolazionista.
Infine, è utile osservare il terreno sul quale è possibile coltivare una relazione positiva tra USA e UE alla luce dell’esito elettorale. Ricordando che sarebbe auspicabile, prima di tutto, una Europa unita intorno ad un progetto politico e a una leadership comune, la vittoria di Biden fa sperare in una ripresa delle relazioni politiche, economiche e culturali tra le due sponde dell’Atlantico. Tornando al concetto di libertà alla base dell’esperienza statunitense: essa rappresenta un’idea diversa da quella europea, ma più affine a quest’ultima nello sviluppo della democrazia contemporanea rispetto ai paradigmi adottati in altre parti del mondo. Dobbiamo tenere presente che, il modello “euroatlantico” di sviluppo, in cui si scommette sulla convivenza tra benessere economico e rispetto dei diritti e delle libertà personali, è messo in crisi da concezioni politiche derivanti da percorsi molto diversi.
Da una parte abbiamo esperienze di governo basate sull’ autoritarismo, come la Russia di Putin e la Turchia di Erdogan, dall’altra il modello di capitalismo totalitario cinese. L’economia sociale di mercato, marcatamente europea, per progredire deve aggiornarsi includendo nuove ipotesi di benessere per “gli ultimi” di questo secolo. Se gli Stati Uniti vorranno aiutare questa integrazione, dovranno riprendere a guardare all’Europa e alla sua tradizione politica basata sulla libertà della persona nella prosperità sociale.
È un passaggio difficile, ma governabile, in cui le tensioni politiche-istituzionali che la presidenza Trump ha manifestato sono le stesse che in Europa hanno avuto il volto di “populisti” e “sovranisti”. L’agitazione interna insieme al vento asiatico, però, non possono stravolgere un secolo di visione comune e di ispirazione reciproca tra Europa e Stati Uniti. L’apertura tra le due sponde dell’Atlantico potrebbe portare le due comunità politiche a unirsi in una cultura per lo sviluppo integrale, in contrasto a quelle che San Giovanni Paolo II, con spirito profetico, individuava come «democrazia senza valori» che «si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia».
Bibliografia:
Clementi, G. Passarelli, Eleggere il presidente. Gli Stati Uniti da Roosevelt a oggi, Marsilio, 2020 disponibile su ibs.it
J. Lepore, Queste verità. Una storia degli Stati Uniti d’America, Rizzoli, 2020.
G. Pellegrini-Bettoli, Shake-up America. Capire le elezioni 2020 come un americano, Castelvecchi, 2020.
F. Rampini, La seconda guerra fredda. Lo scontro per il nuovo dominio globale, Mondadori, 2019.
Alex Soros, “A Biden victory could reset transatlantic relations”, in European Council on Foreign Relations, 6 luglio 2020.
Il podcast di Francesco Costa, “Da Costa a Costa”, su Spreaker.