La domanda eterna è “come mettere al centro dell’avanzamento tecnologico l’uomo?”
Si nota che in ogni rivoluzione industriale, dall’una fino alla quarta, l’accesso dell’uomo al lavoro è stato, in qualche modo, limitato. La quarta rivoluzione industriale ha fornito macchine intelligenti che non richiedono alcun intervento umano.
In quinta c’è di più? Perché la quinta rivoluzione sarebbe diversa dalle precedenti? Una risposta risiede nel fatto che quest’ultima, con il rapido sviluppo delle intelligenze artificiali, tende a privare una persona dell’istruzione. Fino ad oggi, il pericolo per l’uomo era di non trovare un lavoro dove utilizzare le conoscenze acquisite; ora il rischio è di non acquisire le conoscenze. Lavoro e conoscenza sono sempre andati insieme. Per lavorare è necessario avere conoscenze, se priviamo l’uomo della conoscenza, cosa rimane?
Antropologicamente, la libertà, la possibilità e il desiderio di conoscere qualcosa risiedono nell’essere umano. Pensare, speculare, concludere induttivamente e proiettarsi nel futuro sono le caratteristiche che distinguono l’essere umano dagli altri esseri viventi sulla terra.
L’antropologia biblica ci dice che il lavoro è una componente cruciale dell’essere umano. Creato come imago Dei, l’uomo ha la possibilità di creare, gestire e servire al creato[1]. Tutti questi attributi messi insieme costituiscono il progresso, che non può esistere senza l’uomo, come affermato da Papa Benedetto XVI: “lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune. Sono necessarie sia la preparazione professionale sia la coerenza morale”[2].Il problema è che, per come sembra ora, la realtà umana non è pronta. Il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale senza una buona coerenza morale può causare distruzione. Dobbiamo chiederci: qual è il suo scopo ultimo? Aiutare o sostituire il ragionamento umano? Se si tratta del secondo, ovvero la sostituzione del ragionamento umano, da un lato si va contro l’essere umano e, dall’altro, contro il piano che Dio aveva per lui. Lo sviluppo di una tecnologia così potente è la corona del paradigma tecnocratico che sostiene: “ogni acquisizione di potere sia semplicemente progresso, un aumento di sicurezza, utilità, benessere, forza vitale, pienezza di valori“. Ma questo tipo di sviluppo non è un vero sviluppo, non è aperto all’Assoluto. Sappiamo dalle storie di creazione e dalla Torre di Babele come l’uomo finiva sempre in difficoltà quando cercava di diventare come Dio e quando il suo ragionamento andava contro Dio. La Torre di Babele ci mostra in che modo finisce il paradigma tecnocratico.
Dunque, il progresso fa parte della natura umana. Dobbiamo chiederci se vietare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale sia un passo di precauzione per evitare il fallimento o se sia una conseguenza del fallimento stesso. Oppure dobbiamo vietare la vecchia formazione che “forma” gli esseri umani di cui dobbiamo avere paura? Lo sviluppo attuale ci costringe a cambiare la formazione, forse passando dall’imperativo categorico a quello del desiderio di volere. Non possiamo più fare finta di formare le persone e essere incerti su ciò che sono in grado di fare. Dobbiamo pensare che le persone che formiamo potrebbero tradirci evitando di amare la sapienza e la conoscenza. Perché non formiamo le persone che hanno fame di conoscenza? Perché non formiamo le persone che capiscono la ricchezza dell’agire per l’umanità?
La stessa discussione si è ripetuta quando Schopenhauer ha commentato l’etica di Kant, sostenendo che la sola deontologia non basta. È necessario unire il dovere e il volere per formare individui che mettano l’accento sull’essere umano anziché solo sul profitto. Persone che capiscono l’importanza di mantenere categorie appropriate per gli esseri umani come il pensiero e il ragionamento. Persone che apprezzano i limiti e che orientano ogni invenzione verso l’arricchimento dell’essere umano.
Vietare il progresso è solo un segno di fallimento nella formazione. Dobbiamo confrontarlo e affrontarlo con la potenza morale ed etica dell’essere umano. Allo stesso tempo, dobbiamo considerare se sta iniziando un’era dell’umanità in cui l’etica, da materia marginale, diventerà altrettanto importante come la matematica per il progresso integrale e che non ci porterà alla distruzione.
È possibile che stiamo arrivando a un punto in cui davvero dobbiamo bilanciare il progresso tecnologico con la saggezza umana e la responsabilità etica per assicurare che non ci porti alla nostra stessa distruzione.
[1] Gen 1
[2] Caritas in Veritate (CV), n. 71