Ai confini europei, tra Croazia e Bosnia Erzegovina, ci sono persone per cui la pandemia è l’ultimo dei problemi. Su quei confini, nell’indifferenza generale, vivono migliaia di migranti esposti alle intemperie dell’inverno, senza alcuna protezione contro il gelo. Per comprendere a fondo il problema è necessario tornare indietro di qualche anno: la cosiddetta “rotta balcanica” è la via di terra percorsa dai profughi provenienti principalmente da Siria, Afganistan, Iraq e Pakistan. Questa rotta fu aperta dai trafficanti nel 2015, anno nel quale passarono per i Balcani circa 850.000 migranti. Numeri tali portarono l’Unione Europa ad occuparsi del problema, siglando un accordo con la Turchia (il 18 marzo del 2016) che prevedeva di mantenere i migranti all’interno del confine turco in cambio di ingenti somme di denaro.

L’accordo però non impedì ai migranti di continuare il cammino attraverso la Bulgaria, tanto che nel 2019 i numeri della rotta balcanica tornarono ad essere significativi. Infatti, in seguito alla decisione di chiudere i porti italiani, voluta dall’allora Ministro dell’interno Matteo Salvini, la via terrestre tornò a essere la strada principale per raggiungere l’Europa. Di fatto la migrazione non si è mai fermata, si è semplicemente spostata dal Mediterraneo ai Balcani. Sempre nel 2019 il governo bulgaro, guidato da Orban, decise di costruire un muro lungo i suoi confini per respingere i migranti nei Balcani. Per questo motivo, circa 80.00 persone si riversarono in Bosnia, mentre altre 120.00 persone furono rispedite in Grecia.

La situazione in Bosnia Erzegovina è definitivamente degenerata dopo che il 23 dicembre 2020 l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) si è ritirata dalla gestione del campo profughi di Lipa. I migranti, in segno di protesta per le condizioni di estrema difficoltà e povertà in cui versano, hanno dato fuoco al campo. Il Governo bosniaco ha promesso di installare nuove tende dove i migranti potranno rimanere fino alla ricostruzione del campo, ma la decisione è arrivata dopo le proteste degli abitanti di Bihac, cittadina situata al confine ovest tra la Bosnia Erzegovina e la Croazia, in mezzo ai boschi del parco nazionale di Kozara. Contro l’ipotesi di spostare i migranti nel centro di accoglienza della propria città. Allo stesso tempo molti migranti hanno protestato perché non vogliono tornare a Lipa, essendo questo solo un centro provvisorio che non garantisce quindi le condizioni necessarie per sopportare l’inverno.

Per questo, da dopo l’incendio e le proteste di dicembre, i migranti sono abbandonati al freddo nell’indifferenza generale: bloccati dal continuo braccio di ferro tra l’Unione europea, che chiede il rispetto dei diritti umani, tra le decisioni del governo federale Bosniaco e tra le proteste dei cittadini di Biach capeggiate dagli amministratori locali.

La situazione è resa ancora più drammatica dai continui tentativi da parte dei migranti di attraversare i confini per raggiungere un posto sicuro in Europa. Dal dicembre del 2019 all’ottobre del 2020 le ONG che operano sul territorio hanno registrato circa 21.422 respingimenti al confine con la Croazia. Inoltre, i respingimenti da parte della polizia croata sono spesso caratterizzati da violenze e abusi; i migranti rientrano in Bosnia spaventati dalle violenze subite e decidono di far ritorno nei paesi d’origine, dove spesso però sono vittime di altre violenze o si trovano su un fronte di guerra, dopo aver speso migliaia di euro nella ricerca di una vita migliore per le loro e per i loro figli.

Le responsabilità della situazione non sono però solo dei Governi dei Balcani, infatti queste violazioni dei diritti umani avvengono all’interno dei confini europei, nell’indifferenza della maggior parte delle istituzioni e dell’opinioni pubblica dei nostri paesi. Il governo italiano, ad esempio, ha ammesso di aver respinto in Slovenia 1240 persone tra il primo giugno del 2020 e il 15 novembre del 2020. La cosa che colpisce di questi respingimenti, definiti riammissioni informali, è che non lasciano alcuna traccia e dunque, di fatto, riconsegnano le persone alle violenze della polizia croata e alle condizioni disumane a cui sono sottoposte nei campi profughi.

Nonostante i vari tentativi di interrogazione da parte del Parlamento Europeo e di dialogo, attraverso le ambasciate del governo croato, bosniaco e italiano, non si è avuto alcun riscontro pratico. Infatti, il 30 gennaio una delegazione di parlamentari europei si è recata sul confine tra la Croazia e la Bosnia Erzegovina per cercare di fare chiarezza sulla difficile situazione, alimentata anche dalla violenza della polizia sul confine. La delegazione parlamentare è andata sul posto, oltre che per comprendere a fondo la situazione, anche per raccogliere le istanze del governo di Zagabria. I parlamentari però sono stati respinti dalla Polizia di confine, che ha interesse a nascondere le violenze esercitate in quelle zone, nonostante le dichiarazioni del governo croato sul rispetto del diritto internazionale ed europeo

Lasciarsi toccare dalle ingiustizie è il primo passo per cercare di cambiare, partendo proprio dall’informazione. Si può e si deve iniziare a trovare una soluzione poiché, come ci ha ricordato la Senatrice Liliana Segre nel Giorno della Memoria: «l’indifferenza è la prima forma di violenza, e racchiude la chiave per comprendere la ragione del male, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. L’indifferente è complice. Complice dei misfatti peggiori».

FONTI:

  • Intrappolati nel ghiaccio dei Balcani, Annalisa Cammilli, Internazionale 22/28 gennaio 2021
  • Bloccati sulla rotta dei Balcani, Danijel Kovacevic, Bulkan Insight
  • Dossier Rivolti ai Balcani a cura di Matteo Astuti, Caterina Bove, Anna Brambilla, Anna Clementini, Duccio Facchini, Carlotta Giordani, Silvia Maraone, Paolo Pignocchi, Diego Saccora, Ivana Sojanova
  • Nel gelo dei Balcani, intervista a Claudia Caldonato, podacast a cura di ANGinRadio Milano- Gioventù Europea