di Elena Grazioli
L’epidemia sanitaria che stiamo affrontando da più di un anno a questa parte ha messo in luce la lentezza e la complessità della macchina burocratica. Tanto è vero che il legislatore ha scelto di utilizzare i provvedimenti d’urgenza per intervenire anche sulla burocrazia, nel tentativo di rendere i procedimenti più semplici ed accessibili. La scelta operata dai decreti cosiddetti di semplificazione va nella direzione del potenziamento della digitalizzazione, con la speranza che le piattaforme informatiche riducano tempi di attesa delle pratiche e gli oneri connessi. Tuttavia, non si considera l’evidente arretratezza dell’apparato burocratico in termini di digital skills, la scarsa propensione degli enti a condividere i dati attraverso banche dati interoperabili e quella dei cittadini ad abbandonare il “pezzo di carta”.
La traduzione in protocolli di ogni aspetto della vita quotidiana fa apparire l’Italia come un sistema iperburocratizzato, ipercentrista e digitalmente arretrato nel quale si pone un’enfasi alle procedure ma non si verifica realmente lo stato della loro attuazione. Motivo per il quale la lotta alla burocrazia dovrebbe cominciare con una lotta del corpo politico contro le sue stesse decisioni. Decisioni prese a più voci, che hanno creato troppe norme da una parte e un incentivo a non fare per non sbagliare dall’altra.
Questo perché la pubblica amministrazione è troppo frammentata: è composta da 10.500 istituzioni, di cui solo l’1,7% degli organi burocratici è centralizzato, mentre il restante 98% è disseminato in organi locali. Il risultato è un eccesso di norme, che si sovrappongono e si annullano tra loro, un vero e proprio labirinto amministrativo che costringe le imprese a dedicare circa 12.000 ore all’adempimento degli oneri amministrativi.
In base ai dati raccolti nell’Osservatorio nazionale della CNA “Comune che vai burocrazia che trovi”, si comprende chiaramente quali e quanti sono gli adempimenti che vengono richiesti agli aspiranti imprenditori per avviare la loro attività. Dal 2018, anno di realizzazione dell’indagine, ad oggi tutto è rimasto invariato. Il tema della semplificazione occupa sempre un posto rilevante nell’agenda politica ma dal 1990 ad oggi, i 19 governi, le 8 legislature e le oltre 16 riforme della pubblica amministrazione sono riusciti ad alleggerirne il carico.
L’Osservatorio analizza per cinque tipologie di attività artigiane: il numero dei dipendenti, gli enti coinvolti, gli adempimenti e i costi delle pratiche. Ebbene, per aprire un’officina di autoriparazione, la PA pretende 86 adempimenti, che si traducono in quasi 19.000 euro di costi da affrontare. Lo stesso vale per i falegnami: 78 adempimenti e 19.700 euro di costi. Le gelaterie prevedono 73 adempimenti a fronte di 12.700 euro, mentre i bar 71 adempimenti a fronte di 114.700 euro di costi e agli acconciatori ne sono richiesti 65 a fronte di un onere di 17.500 euro. Tutte le attività evidenziano profonde differenze tra i comuni italiani in termini di utilizzo delle piattaforme telematiche, tempi, costi, ed enti coinvolti che, in alcuni casi, arrivano ad essere 30 e tra loro diversi.
Oltre alle procedure propriamente amministrative, lo studio ha analizzato, tra gli altri, anche gli oneri connessi all’assolvimento degli obblighi di salute e sicurezza sul lavoro e all’installazione di insegne di esercizio prospicienti i locali d’azienda. E da qui sono emersi alcuni paradossi. La normativa su salute e sicurezza sul lavoro si caratterizza per l’eccessiva complessità e per l’assenza di modularità rispetto alla grandezza dell’impresa: ad un’impresa alimentare artigiana di 2 dipendenti vengono richiesti gli stessi adempimenti in tema di formazione di un’industria alimentare di 1000 addetti.
L’autorizzazione al posizionamento di un’insegna di esercizio di un’attività finisce per coinvolgere fino a 12 enti diversi: se l’attività è prospiciente la strada statale possono intervenire nel rilascio dell’autorizzazione all’insegna anche provincia e Anas. Discorso a parte se l’attività si trova nel centro storico delle città perchè potrebbe occorrere un nullaosta paesaggistico e l’intervento di sovrintendenza e polizia municipale.
Il risultato dell’indagine, chiaramente indicativa, fa riflettere su quanto il nostro sistema sia fuori dal tempo e ancorato a logiche e ad istituti completamente superati. Brecht definiva la burocrazia “governo dei funzionari” e, per quanto detto, pare essere proprio così. Dare continuità alle regole del passato rispetto alla mutevolezza dei tempi sembra essere l’obiettivo principale (“non si può fare ma si fa così”). Il conformismo alle norme e alla routine non ha fatto altro che rinchiudere nelle procedure gli stessi funzionari della gabbia d’acciaio di cui parlava Weber. Per far uscire la burocrazia dal suo piccolo mondo antico ottocentesco bisogna agire su più fronti. Il primo riguarda le procedure, in quanto la realtà è fatta di categorie artificiali astratte che tante volte non corrispondono alla natura effettiva degli adempimenti richiesti. Per questo bisogna puntare su alcuni procedimenti necessari, capire quali sono i vincoli ineludibili e liberalizzare le attività il più possibile. Si eviterebbe un controllo eccessivo ex ante da parte degli enti e si potenzierebbero autocertificazioni e controlli ex post.
Altro fronte è la frammentarietà dei centri decisionali. Abbiamo 20 regioni che si comportano come 20 stati diversi e costringono cittadini e imprese ad adeguarsi alle loro prassi e alle loro interpretazioni, anche se eccessive e ripetitive. L’approccio vincente è la cooperazione di tutti gli attori coinvolti per eliminare sovrapposizioni e sprechi nella PA. La sede potrebbe essere una cabina di regia partecipata da stato, regioni, comuni e associazioni di categoria che verifichi lo stato di salute delle leggi attraverso: testi unici, refit legislativo, valutazione di impatto. In questo modo le norme potrebbero essere periodicamente aggiornate, sistematizzate e abrogate nei passaggi superflui.
Da dove partire per arrivare a sconfiggere il minotauro della burocrazia degli uffici? I cambiamenti dell’assetto geopolitico uniti ad una conoscenza delle informazioni dei cittadini dovuta alle nuove tecnologie ci fanno comprendere come il filo rosso potrebbe essere il ridimensionamento del potere degli uffici secondo un modello telocratico e non soltanto gerarchico. Ma le riforme non basta annunciarle, bisogna davvero volerle e quella del PNRR sembra essere l’occasione adatta per attuare un rilancio economico del Paese nell’era post Covid.