Quando si esercita una funzione pubblica si possono avere due atteggiamenti, quello del professionista o quello del burocrate. La linea è sottile e dipende da tanti fattori, tra cui il carico di lavoro e la passione. L’ambiente in cui si opera e l’atteggiamento di chi adempie ai propri doveri possono far oscillare i funzionari pubblici tra due poli, creando vere e proprie dissociazioni.

Infatti, proprio tra i due poli del “burocrate” e del “civil servant” nasce la crisi del Pubblico. Una crisi che si palesa in quei momenti in cui lo Stato non appare più agire in funzione del cittadino.

Tuttavia, proprio il cittadino e i suoi bisogni sono i fattori del dramma. Norberto Bobbio, ne Il futuro della democrazia, insegnava che l’ampliamento dei diritti sociali necessita di un apparato burocratico più corposo e in grado di rispondere meglio alle maggiori richieste di servizi.

La dinamica della crisi non è, però, solo dal basso in alto, ma anche dall’alto verso il basso. Il problema è l’organizzazione e l’efficienza della Pubblica Amministrazione, che necessariamente si riverbera sull’attività dei funzionari, troppo spesso lontana dal modello costituzionale (art. 98 Cost.) Si comprendono, così, le invettive dei politici contro gli apparati del Deep State, contro l’alterigia dei “competenti”, la spocchia dei “professoroni”, la proposta di “tagliare col machete” il contorto ginepraio delle regole e dei controlli.

In realtà, così facendo, la politica scarica colpe e difetti che le sono propri. Nel Novecento era la politica a nominare i dirigenti, funzionari egli organi non apicali. Poi, tramontati i grandi partiti tradizionali, quel vuoto di comando è stato riempito da una classe di civil servant, che si è distanziata dalla referenza partitica al punto da costituire una classe di potere a sé stante, svincolata dalla politica, anzi in antagonismo con essa.

Questo problema appartiene alle democrazie mature ed è da tempo presente, ad esempio, negli Stati Uniti e in Francia. Più di recente, Macron nel 2021 ha rifondato la mitica École nationale d’administration, per permettere la diversità sociale dei burocrati nella formazione della “noblesse d’Etat”. Si tratta di un’istituzione che nel ‘900 ha consentito allo Stato francese di reclutare un corpo di burocrati altamente qualificati ed affidabili rispetto all’interesse nazionale. La riforma potrebbe rivoluzionare la situazione apportando novità forse troppo radicali, con il rischio di compromettere anche la tradizione virtuosa dell’istituzione.

In Italia, la guerra tra politica e apparati amministrativi ha trovato formale rimedio nel 1998, mutuando il sistema americano dello spoil system, la possibilità per il nuovo governo di cambiare gli incarichi dirigenziali apicali. L’intento, a causa della durata effimera dei governi, sembra rimasto sulla carta: la prevista soggezione della burocrazia alla autorità politica ha lasciato più prosaicamente il posto ad apparati dirigenziali, che facilmente impongono le direttive al ministro di turno, spesso incapace di organizzazione complesse reti di comando e governo degli uffici pubblici.

Di qui il cerchio si chiude: i rappresentanti non riescono a permeare la burocrazia delle istanze dei rappresentati, ovvero del popolo, e l’apparato amministrativo, sganciato dalla realtà, non dialoga con i necessari bisogni della cittadinanza.

Come uscire dal corto circuito? La via è culturale. La politica dovrebbe prendere a cuore la selezione delle classi dirigenti, formando politicamente professionisti presi dalla società civile e, da canto suo, il dirigente pubblico dovrebbe riscoprire la propria origine di civil servant, di servitore dello Stato; figure quali Sturzo, Einaudi, Mattei, Dalla Chiesa, ricordano come si possa essere mediatori tra il popolo e le istituzioni. Il mondo d’oggi e le sue problematiche globali chiedono risposte nuove. In tal senso, le leadership del futuro dovranno essere comunitarie, perché quelle individuali non sono più funzionali al contesto.

Sono temi complessi che richiedono coraggio e impegno per essere affrontati in modo ordinato con uno spirito di convergenza delle forze politiche verso un obiettivo alto e comune. È necessario dunque recuperare questo “spirito” di servizio dello Stato anche rispetto alla riforma della burocrazia. Uno spirito che potrebbe richiamare, come immagine di fondo, quanto espresso anche negli Atti (2,4): “essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi”. Il passaggio, dunque, sarà la riscoperta di una sorta di “spirito pentecostale”, più che personale, di azione politica ed amministrativa, basata sul lavoro di squadra, di eccellenze, nei propri ambiti, cooperanti tra loro.