Giuseppe Milano, ingegnere edile, architetto ed urbanista, già dottorando di ricerca in Gestione Sostenibile del Territorio, è Segretario Generale del network internazionale di ispirazione cristiana Greenaccord Onlus.

Quanto incide l’utilizzo del suolo nella salute delle persone?

Dalla salute del suolo dipende la salute delle persone. Sono due dimensioni intimamente ed intrinsecamente interconnesse perché un suolo degradato pregiudica la possibilità di avere un cibo di qualità. Un suolo in salute è in grado di assicurare più agevolmente i suoi diffusi e diversi servizi ecosistemici (ossia i benefici multipli che la natura è in grado di garantire all’uomo per il suo benessere). Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente, il 33% dei suoli europei è degradato: non solo a causa dell’urbanizzazione, ma anche della deforestazione, della desertificazione, della salinizzazione, della frammentazione e dell’erosione. Queste sono manifestazioni di una fragilità ambientale, acuitasi nel tempo, che accelera gli impatti dei cambiamenti climatici, con eventi estremi sempre più intensi e frequenti. Per quanto premesso, dunque, si comprende l’appello della presidente Von der Leyen ad accelerare i processi legislativi per pervenire  ad una attuativa road map che porti l’Europa ad azzerare il consumo di suolo netto entro il 2050, compatibilmente agli obiettivi comunitari di decarbonizzazione assolutamente complementari.

L’espansione delle città sta riducendo sempre di più i grandi spazi verdi. Urbanizzazione e spazi verdi possono stare insieme?

Naturalmente le aree urbanizzate e le aree verdi possono coesistere, anzi sarebbe auspicabile che ciò avvenga in un equilibrio armonico, proprio perché oggi tante evidenze scientifiche documentano il beneficio non solo ambientale, ma anche psicologico e sociale, presentato dalle soluzioni basate sulla natura. Per questo sarebbe auspicabile che le nostre città – pur occupando soltanto il 3% della superficie mondiale – fossero rivestite maggiormente da superfici arboree, piante, fiori e quanto la natura ci mette a disposizione. Le città italiane stanno perdendo popolazione, da Nord a Sud, seppur a ritmi diversi. Questo crea uno shock residenziale: tale decremento demografico produce l’abbandono e la dismissione di migliaia di abitazioni, costruite tra gli anni ‘60’ e ’80 del secolo scorso, che oggi risultano, inoltre, troppo grandi per le famiglie contemporanee, il cui numero di componenti si è ridotto negli ultimi decenni. Eppure, nonostante questi dati, come conferma l’Ispra, si continua a costruire. Il dato del 2021 è stato il peggiore per consumo di suolo: siamo davanti a un paradosso: la crescita dei carichi urbanistici in città non è proporzionale alla crescita demografica. Per questo motivo le città, invece di diventare più verdi, diventano più grigie e si stanno esacerbando fenomeni estremi come le isole di calore. È assolutamente necessario, pertanto, sull’esempio di alcune grandi città come Copenaghen, Parigi o Barcellona, trasformare le nostre città in diversi scrigni di biodiversità umana e urbana.

Da un punto di vista geologico, il nostro Paese, come dimostrano anche gli avvenimenti recenti, è molto fragile. Come fare per prevenire al meglio questi rischi?

Il dato di partenza ce lo fornisce sempre l’Ispra sul dissesto idrogeologico. Il 94% dei comuni italiani è a medio e alto rischio sia da un punto di vista di frane, sia da un punto di vista di alluvioni. In termini di popolazione, significa che non meno di 7 milioni di italiani e decine di migliaia di plessi scolastici, monumenti e architetture di grande valore sono in territori particolarmente esposti alle variabilità meteo-climatiche. Naturalmente, questo è un problema perché a causa del global warming le condizioni di instabilità e di pericolo sono aumentate. La cultura della prevenzione è la vera grande sconfitta del nostro paese davanti alle tragedie, dalle quali si ha l’impressione di non imparare mai a sufficienza perché sembra sempre di ripartire da zero. Occorre adottare una visione ecosistemica e complessiva del governo del territorio per evitare che le tragedie e le calamità naturali non abbiano più lo stesso impatto. Inoltre, bisogna ricordare che per ogni euro investito in prevenzione se ne risparmiano almeno quattro nel momento in cui si deve andare a ripristinare lo status quo.

Come fare per avere uno sfruttamento del suolo sostenibile e nel rispetto della legalità? Quanto la formazione può giocare a favore della legalità?

Più che di sfruttamento sostenibile del suolo, io parlerei di uso sostenibile del suolo: se entriamo nel campo semantico dello sfruttamento, la sostenibilità vi esce. Questo deve essere chiaro perché il suolo è una risorsa naturale non rinnovabile per i suoi lunghi tempi di formazione. Il suolo, attraverso i suoi servizi ecosistemici plurimi, garantisce la sopravvivenza dell’uomo su questo pianeta, il suo sostentamento e la sua prosperità. Per questo bisogna assolutamente trovare una relazione con il suolo che oggi non abbiamo, che parta dalla natura nella sua interezza. Oggi, soprattutto le nuove generazioni, che soffrono per la ecoansia, avvertono il diritto negato di vivere in territori poco salubri, in territori incapaci di esprimere una potenzialità. Purtroppo, sempre più di frequente, il suolo viene concepito unicamente come deposito naturale di schifezze o scarti delle produzioni artigianali o industriali. Questa contraddizione si può risolvere tramite una formazione interdisciplinare continua che coinvolga, più e meglio di quanto fatto in precedenza, gli ordini professionali e le accademie. Nel farlo, occorre che i decisori istituzionali siano coinvolti con uno spirito assolutamente proattivo e generativo, perché poi sarà loro compito adottare le decisioni necessarie per la bonifica, per la prevenzione di ulteriori disastri e per la definitiva messa in sicurezza di quelli che sono gli spazi urbani aggrediti dal malaffare. Solo facendo così si possono creare degli ecosistemi urbani veramente accessibili e sostenibili per tutti.

Come fare per raccontare in modo corretto l’importanza del suolo? Su cosa si può e si deve migliorare nel narrare questa situazione?

La buona narrazione nasce dall’emulazione, ossia dalla capacità di accogliere con umiltà e curiosità quelle che sono oggi alcune prime e già rilevanti buone pratiche di tutela del suolo, di forestazione urbana, di agricivismo e di agrovoltaico (un modo per produrre alimentazione e cibo di qualità sotto pannelli fotovoltaici, evitando che il suolo venga sfruttato in modo anomalo per produrre energia rinnovabile). Ci sono tante esperienze nel nostro Paese, dal Sud al Nord, che meriterebbero di essere raccontate, entrando nel dinamismo culturale. Ci sono tanti giovani imprenditori agricoli e innovatori sociali, e le loro storie dovrebbero essere tutelate e disseminate dai decisori politici per valorizzare e impiegare efficacemente le risorse messe a disposizione dal PNRR per creare ecosistemi di innovazione integrata. È proprio Papa Francesco ad introdurre la visione strategica dell’ecologia integrale nella quale le dimensioni ambientale, sociale ed economica sono tra di loro interconnesse. Da qui l’informazione deve ritrovare non solo la curiosità di entrare in quelle che sono le pieghe di un paese in grande fermento, transizione e cambiamento, ma anche di uscire dalla cultura della velocità, che ha tanto preso piede in questi ultimi anni, e riscoprire il profumo della lentezza. È proprio la lentezza che ci permette di sentire il profumo di queste storie di cambiamento e di andarle a raccontare nel modo giusto, facendo un servizio al Paese.