di Rosa D’Angelo

 
 
Quello che ci troviamo a vivere da due mesi a questa parte con l’avvento del Covid-19 è un qualcosa che probabilmente nessuno si sarebbe mai aspettato e mai lontanamente immaginato.
Sicuramente si è trattato di un qualcosa di nuovo che ha riguardato tutti e che è stato in grado di sconvolgere programmi, scompigliare progetti, riorganizzare il quotidiano e indurre a rivedere le priorità. Questa esperienza lascerà un segno che difficilmente potrà essere dimenticato e che solo il tempo potrà dire quanto ha saputo insegnare a ciascuno nella propria condizione.
 
Sarà improbabile che ci potrà essere un ritorno esattamente uguale al periodo prima dell’emergenza. Uno degli insegnamenti che credo di poter cogliere di questo periodo è proprio l’abitare il presente, per correggere quello sbilanciamento che talvolta spinge ad essere troppo incentrati sul passato oppure troppo proiettati verso il futuro. Il rallentamento dei ritmi di vita che ha interessato molti di noi può essere considerata un’opportunità per imparare a vivere questo presente e abitarlo per prepararsi meglio al futuro, ciascuno con le proprie potenzialità.
 
Nello specifico l’emergenza del Coronavirus ci ha indotto ad un nuovo modo di pensare e abitare le nostre case la cui conseguenza più immediata è un nuovo modo di abitare in particolare la stanza del proprio cuore.  Può essere un’occasione per fare una più profonda esperienza di Dio dove nel silenzio, particolarmente generoso nelle nostre città in questo tempo, ci si apre ad un dialogo fecondo con il Signore e alla contemplazione.
 
Da una rinnovata relazione con il Signore ne scaturisce una profonda gratitudine per tutte quelle piccole e grandi cose che sono parte della nostra vita e che la velocità della modernità rischia spesso di non farci vedere bene. Ne deriva uno sguardo rinnovato nei confronti di chi si trova in condizione di fragilità, una nuova assunzione di responsabilità nel contribuire al bene comune e una maggiore fiducia che offre una spinta a rialzarsi con la forza della Risurrezione. Il cristiano, nei momenti di difficoltà, ha una marcia in più ed è rappresenta dalla speranza che vive in lui, perché come ci ha ricordato papa Francesco, in un passaggio di quella preghiera straordinaria del 27 marzo scorso, sul sagrato della Basilica di S. Pietro, “Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza”.
 
In questa fase dell’emergenza siamo anche chiamati ad abitare l’attesa, in particolare l’attesa fiduciosa che lo sforzo collaborativo tra gli studiosi possa approdare a cure efficaci e a validi strumenti di prevenzione, che gli esperti diano un nuovo volto all’economia in modo da non lasciare indietro nessuno, collochi in una giusta importanza la ricerca, la sanità e la cultura. Per lo scrittore francese Chiristian Bobin “l’attesa è un fiore semplice, germoglia sui bordi del tempo”. Se saremo riusciti ad abitare un po’ il nostro presente forse saremo anche capaci di riflettere un po’ di più l’eternità di Dio.
 
 
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