Negli ultimi due anni, la stampa ha ampiamente riportato sulla scoperta degli embrioni umani sintetici. I giornalisti hanno affrontato questo argomento con un approccio cauto, concentrandosi principalmente sulle implicazioni etiche legate alla manipolazione dell’uomo. La comunità scientifica e i media[1] sono preoccupati per le potenziali difficoltà che potrebbero sorgere se questa ricerca dovesse svilupparsi senza un controllo adeguato.

L’analisi antropologica e ontologica del fenomeno degli embrioni umani sintetici solleva alcune difficoltà rilevanti. In primo luogo, si ipotizza che un “essere umano sintetico”, da un punto di vista ontologico, potrebbe potenzialmente soddisfare tutti i criteri per essere considerato una persona, in conformità alla definizione classica di Boetie: “ogni individuo di natura razionale”. Tuttavia, la vera domanda che si pone è se la persona sia limitata esclusivamente alla razionalità o alla biologia. Sicuramente se fosse così l’essere umano sarebbe ridotto al concetto di Homo sacer[2] di Agamben in senso pieno. Nel diritto romano antico, Homo sacer indicava un individuo che era escluso dalla protezione legale e poteva essere ucciso senza che l’assassino fosse punito, ma non poteva essere sacrificato in un rituale religioso. In tempi moderni, il termine Homo sacer funge da concetto critico per comprendere come le strutture legali possano essere sospese o abusate in modo tale da mettere in pericolo i diritti umani fondamentali e la dignità.

Un utile riferimento per ampliare a nuovi orizzonti nello spiegare il mistero della persona è da ritrovarsi nell’antica etimologia latina della parola stessa che significa “maschera”. È importante sottolineare che le maschere venivano usate durate gli spettacoli teatrali in contesti corali con altre persone/personaggi. Ogni persona per portare la sua maschera dovrebbe passare l’integrazione sociale primaria (in parentela) e secondaria (nella società di cui fa parte)[3]. In tale maniera, osservando l’essere umano si comprende che la vita in sé supera la vita nuda biologica e sempre coesiste insieme a quella sociale. Inoltre, ogni persona ha una propria personalità, un mistero che si forma nelle relazioni con gli altri e fa seguito ai dati genetici, nascosti, non predeterminati e non intenzionalmente scelti dai genitori.

La maschera di chi e di che cosa porterebbe la creatura nata dall’embrione umano sintetico? È quasi impossibile immaginare una vita in cui non sappiamo da chi e come siamo nati, senza genitori, che fanno concretamente parte di un popolo, e immaginare che siamo completamente da soli al mondo, senza un parente, differentemente dagli orfani, naturalmente nati da genitori. L’essere derivato da una provetta sarebbe sempre un essere umano? D’altra parte, egli sarebbe uno straniero senza la storia comune, come lo descrive Schutz, nel senso letteralmente concepito. Invece, la stabilità delle relazioni sociali è molto importante per gli esseri umani.  Il fenomeno dell’importanza della stabilità delle relazioni umane veniva studiato già da Durkheim nel suo libro “Suicidio”. Il problema esiste anche oggi, ad esempio ci sono tante sfide nella società svedese[4] dove la maggioranza dei giovani ha difficoltà relazionali. Secondo Karin Schulz, esiste un’altra sfida che è individuata come solitudine emotiva: alcuni giovani possono avere grandi problemi “se non hanno un caro amico o un parente con cui parlare veramente della loro vita e delle loro emozioni[5]. Questo, da solo, conferma che la persona non può esistere senza “l’altro”. Essere consapevole della propria diversità sarebbe sicuramente un grande peso da portare per “l’uomo sintetico”.

Inoltre, produrre un essere umano in una provetta lo ridurrebbe a una sola struttura biologica come lo spiega Feuerbach nella sua antropologia, cioè viene ricondotto alla sua individualità e alla pura struttura biologica.[6] L’uomo sintetico è, d’altra parte, concretizzazione della concezione sartriana della persona come tabula rasa, indipendente da tutti e da tutto. Aggiungendo a queste teorie il volontarismo di Schopenhauer in cui solo la voglia per la vita fa crescere e muovere tutto, nonostante le implicazioni problematiche che esistono nell’esistenza, ne deriva che “l’essere sintetico” sia una semplice deduzione sulla struttura biologica e un frutto dell’egoismo neoliberale che non si occupa di questioni etiche. In questo modo si aprirebbe il vaso di Pandora, in quanto per la prima volta un essere simile potrebbe essere legalmente usato per esperimenti scientifici. Tutto questo avrebbe conseguenze paradossali, in una società in cui la lotta per i diritti degli animali potrebbe essere accompagnata da una regressione dei diritti umani.

Tuttavia, la discriminazione non sarebbe solo ontologica. La discriminazione potrebbe essere di natura sociale, nel senso che questo progetto potrebbe avere successo. Immaginiamo la situazione in cui il datore di lavoro rifiuti un candidato per una posizione, riscontrando che l’uomo naturale abbia più difetti di coloro che sono nati dall’embrione artificiale, con la genetica perfetta. Questo sarebbe possibile in un mondo guidato dal neoliberalismo in cui tutto è concentrato intorno al profitto.

Sorgono inevitabilmente alcune domande che ci inducono a riflettere: (i) a chi appartiene un essere sintetico, quali sono le sue origini?; (ii) la scelta assoluta della struttura genetica in una provetta, da parte di uno sconosciuto, determina la libertà di un neonato?; (iii) L’utilizzo dell’embrione sintetico rappresenterebbe il culmine del miglioramento della struttura della società oppure la vetta di discriminazione e dell’esclusione?

[1] M.Antonacci,«Embrioni umani sintetici. Dubbi e pericoli etici, il commento di Giorgia Brambilla». https://www.provitaefamiglia.it/blog/embrioni-umani-sintetici-dubbi-e-pericoli-etici-il-commento-di-giorgia-brambilla

[2] G. Agamben, State of exception; G. Agamben, A che punto siamo? L’epidemia come politica.

[3] P.L. Berger – T. Luckmann, The social construction of reality.

[4] M. Savage, «Why so many young Swedes live alone».

[5] Ibidem.

[6] M. Cingoli, «Giulio Preti “Marx E Il Pensiero Contemporaneo”. Cap. III»