La pandemia ci ha costretto a ridurre i movimenti personali, ad evitare gli spazi pubblici e i luoghi affollati. Di fatto ci siamo confinati all’interno delle abitazioni accentuando il distacco sociale. In compenso, sentendo la necessità di un contatto con la natura all’interno dei centri urbani, abbiamo riscoperto le aree verdi di prossimità. La riduzione del nostro raggio d’azione ci ha dato l’occasione di scorgere intorno a noi i luoghi dimenticati, inutilizzati e degradati, sottratti, di fatto, alla fruizione collettiva.
Sono soprattutto gli edifici che hanno perso la loro funzione ad essere oggetto di abbandono, come ad esempio le ex fabbriche produttive e gli immobili dismessi al settore terziario a cui si aggiungono gli immobili a destinazione abitativa, interessati da eventi che ne abbiano condizionato la stabilità strutturale. L’abbandono interessa, inoltre, tutte le opere incompiute, che rimangono segno perenne di un fallimento economico privato o di un’evidente incapacità di gestione delle risorse pubbliche.
L’urgenza di intervenire in materia di rigenerazione urbana è sentita dal nostro Parlamento. In questi giorni è in esame alla XII Commissione del Senato (Territorio, ambiente, beni ambientali) il disegno di legge recante “Misure per la rigenerazione urbana” (Atto Senato n. 1131), che oltre a definirne i princìpi fondamentali, individua i compiti affidati ai diversi livelli istituzionali nonché le risorse e gli incentivi per gli interventi da realizzare negli ambiti urbani caratterizzati da un elevato degrado urbanistico edilizio, ambientale e socio-economico.
Bisogna avviare nuovi processi di rigenerazione che tengano conto dei diversi livelli d’azione nella città, interessata da interventi che variano dalla scala urbana sino a quella edilizia. Al fine di avviare questi processi è indispensabile allineare gli obiettivi dei lavori pubblici e di quelli privati, ma ancor prima è necessario sanare i contrasti e semplificare le relazioni tra gli strumenti di pianificazione e programmazione urbanistica.
Il degrado di una porzione della città può essere paragonato ad una ferita virulenta all’interno di un organismo che, senza un intervento chirurgico (la riqualificazione dei luoghi) ed una cura farmacologica adeguata (una corretta gestione dei servizi), si estende e peggiora con il tempo, causando malessere a tutto il corpo.
Lo stato di abbandono architettonico è spesso associato ai problemi sociali ed economici dei residenti. Il decadimento estetico e funzionale del patrimonio edilizio è fonte di malessere per chi vive e frequenta questi luoghi, e ostacolo ad una vita agevole e serena. Allo stesso tempo il degrado è l’effetto visibile di una ferita urbana più profonda, dimostrazione dell’incapacità dello Stato e degli stessi cittadini di garantire un decoro urbano in ambiti ampi di urbanizzazione.
È auspicabile, per una efficace rigenerazione urbana, che si realizzi la consapevolezza e l’acquisizione di responsabilità condivisa tra i governanti e i singoli cittadini, volta a contrastare il degrado degli spazi pubblici e di quelli privati. Il degrado e l’abbandono urbano agiscono sull’ambiente e sulla qualità della vita dei cittadini, determinando l’accentuazione delle disuguaglianze come conseguenza del un mancato rispetto qualitativo degli standard urbanistici e della cattiva gestione dei servizi pubblici. È ben noto come queste aree non consentono uno sviluppo organico e omogeneo della città e dei suoi servizi, ma rappresentano delle vere e proprie sacche di degrado, e molte volte si configurano come barriere sociali incuneate nei quartieri.
Per un’analisi corretta del problema è necessario tenere in considerazione anche l’aspetto della tutela del territorio, inteso come livello di consumo del suolo e, dunque, di quelle porzioni di città “consumate”, ovvero edificate, ma “non utilizzate”, cioè degradate. L’obiettivo è garantire, attraverso un sistema di bilanciamento complessivo, che ad ogni azione di infrastrutturazione del territorio, realizzata con una nuova copertura artificiale (nuova costruzione), vi corrisponda una azione ri – naturalizzazione del territorio, con la restituzione di un terreno alla natura.
Questo non significa decrescita ma riconversione. Un’azione di questo genere richiede innanzitutto che siano mappate le aree abbandonate e che sia realizzata una “Carta Nazionale delle aree degradate e degli edifici abbandonati”, seguendo l’esempio virtuoso della Lombardia, regione all’avanguardia sul tema della rigenerazione. L’individuazione e la mappatura delle aree dismesse, pubbliche e private, realizzate, secondo il principio di sussidiarietà, con il coinvolgimento dalle istituzioni dal livello nazionale sino a quello locale, rappresentano la condizione necessaria e imprescindibile per avere un quadro completo della situazione e, allo stesso tempo, per poter programmare e gestire in maniera efficiente gli interventi da realizzare.
Secondo questa impostazione, alle nuove costruzioni o ricostruzioni deve corrispondere un intervento compensativo per le aree da rigenerare, che si potrebbe concretizzare con la destinazione di una parte degli oneri ad un nuovo fondo dedicato alla demolizione degli edifici nelle aree abbandonate, alla loro riqualificazione mediante la costruzione di nuovi edifici e alla realizzazione di verde pubblico attrezzato. In tal modo ogni nuovo edificio contribuirà alla riqualificazione del patrimonio edilizio dismesso.
Perché l’azione possa dispiegare la propria efficacia, è necessario semplificare le procedure d’intervento su queste aree. Così, ad esempio, tutti i progetti, proposti dal pubblico ed anche dai privati aventi ad oggetto immobili in prolungato ed ingiustificato stato di abbandono, potrebbero assumere il valore di pubblica utilità, con una conseguente semplificazione delle procedure di esproprio delle aree interessate.
La rigenerazione urbana, in tema di patrimonio pubblico abbandonato, richiede che vi sia anche un cambio di visione non solo con riferimento al tema della riconversione degli edifici ma anche a quello del possibile loro completo abbattimento, in quanto non più funzionali rispetto alle nuove esigenze derivanti dall’espansione della città e connesse al benessere degli abitanti. I “relitti urbani” dovrebbero essere rimossi per lasciar spazio alla natura, concentrando gli interventi urbanistici ed edilizi in zone compatibili secondo gli strumenti di pianificazione territoriale.
Il recupero delle zone dismesse potrebbe, inoltre, realizzarsi attraverso sia l’incentivazione della collaborazione tra il pubblico ed il privato, sia attraverso l’istituzione di un “Fondo Nazionale per la Rigenerazione Urbana”. Il fondo potrebbe essere funzionale e strumentale non solo alla gestione efficiente delle aree degradate ma, soprattutto, all’incentivazione e finanziamento degli interventi di recupero del patrimonio edilizio privato, perseguendo, allo stesso tempo, i due obiettivi centrali del New Green Deal europeo: la bellezza e la sostenibilità ambientale.
Il New Green Deal si spinge oltre i puri aspetti ambientali od economici, rappresentando un nuovo progetto culturale per l’Europa. Il cambiamento sistemico prospettato dal Presidente Ursula von der Leyen deve essere caratterizzato da un’impronta che faccia convergere stile e sostenibilità. La Commissione ha scelto di lanciare un nuovo movimento, il nuovo Bauhaus europeo, ispirato all’esperienza dei primi del 900 dell’architetto Walter Gropius, basato sulla sostenibilità, inclusività ed estetica, mirando ad avvicinare la riforma in essere ai cittadini.
In questa visione, pertanto, un Fondo Nazionale per la Rigenerazione, orientato alla ricerca della bellezza e al rispetto dell’ambiente, può rappresentare lo strumento per la realizzazione del progetto europeo. In Italia, sull’onda del New Green Deal, stiamo assistendo ad un forte slancio verso l’adeguamento del patrimonio edilizio privato, mediante l’attivazione di numerose tipologie di incentivi economici.
Questi strumenti sono volti principalmente al miglioramento dell’efficienza energetica, sismica ed il decoro dell’immobile. Alcuni degli incentivi prefigurano la possibilità di interventi sugli immobili con il rimborso totale delle spese sostenute. È un’occasione unica per adeguare il nostro patrimonio edilizio, composto da edifici poco performanti dal punto di vista energetico, e metterlo al passo con quelli più moderni e sostenibili di molti paesi europei. Purtroppo, a distanza di più di un anno dall’avvio di queste opportunità il numero degli interventi di riqualificazione è minimo e stenta a decollare, rendendo tali agevolazioni non totalmente efficaci.
La causa principale del mancato utilizzo degli incentivi è rinvenibile nella difficoltà dei privati di effettuare la verifica della conformità edilizia ed urbanistica degli edifici interessati. I tecnici incaricati, infatti, in molti casi riscontrano difficoltà nel reperimento della documentazione edilizia necessaria per la valutazione della conformità edilizia, in parte dovute alla vetustà della documentazione e in parte alla stratificazione normativa verificatasi nel tempo. La mancata corrispondenza o l’assenza del titolo edilizio impedisce l’ottenimento di benefici fiscali e pertanto blocca il miglioramento e la rigenerazione del patrimonio edilizio residenziale privato. Questa incongruenza riguarda una gran parte degli immobili esistenti, pertanto è necessario capire come superare questa “strozzatura” che pone il sistema innanzi alla scelta tra la conformità e la modernizzazione degli edifici.
Come detto, la sfida europea si gioca certamente sugli aspetti dell’efficienza energetica, ma anche sulla ricerca dalla bellezza. È per questo che si auspica che ogni intervento di nuova costruzione non solo sia energicamente sostenibile ma contribuisca alla demolizione di un “eco-mostro”. Secondo questa impostazione di sviluppo la “rigenerazione urbana” può significare “togliere”, ma anche più semplicemente “riorganizzare”. Per questo, non sarà possibile immaginare città del futuro senza un’urbanistica che avvicini tra loro la pianificazione e la programmazione.
Per rendere più attuali e incisivi i processi di rigenerazione urbana, pertanto, si possono individuare cinque punti di azione. In particolare: 1) La mappatura delle aree e degli immobili degradati in un’unica “Carta Nazionale delle aree degradate e degli edifici abbandonati”; 2) La costituzione di un “Fondo Nazionale per la Rigenerazione Urbana” finanziato dai nuovi interventi; 3) Lo snellimento e la semplificazione dei processi decisionali, con l’armonizzazione del quadro normativo e degli strumenti urbanistici; 4) Un investimento sulle competenze progettuali degli enti locali e l’inserimento dei costi di gestione nei finanziamenti delle opere; 5) La partecipazione nelle scelte al fine di una maggiore responsabilizzazione dei cittadini.
I 5 punti rappresentano un programma di azione concreto per la riqualificazione urbana, in grado di fornire uno slancio di sostenibilità per la ricostruzione delle nostre città. Così facendo le aree che oggi rappresentano un freno allo sviluppo urbano potranno divenire i luoghi adatti ad accogliere i servizi e le infrastrutture previste nelle più moderne smart city.