Comunità di Connessioni compie 12 anni, ma è chiamata a vivere molti anni ancora per il servizio che sta facendo al Paese. Comunità di Connessioni, ancor prima di costituirsi in associazione, si è sempre contraddistinta per tre caratteristiche che sono riassumibili in 3 parole: formazione – amicizia – gratuità. Queste, se lette insieme, costituiscono la parola Comunità. La formazione e l’amicizia sono probabilmente le caratteristiche che meglio si notano a Connessioni, la gratuità invece è qualcosa che alle volte passa quasi inosservata, alle volte viene data per scontata. Ma è proprio la gratuità che ha contraddistinto e contraddistingue Comunità di Connessioni rispetto a tante realtà nel mondo della formazione e dell’educazione politica.
Questo non vuol dire certamente che, come associazione, non sosteniamo spese, tutt’altro, ma che il principio che risiede alla base delle nostre azioni e delle nostre attività, non è quello dell’arricchimento materiale o del profitto, ma piuttosto la realizzazione di un bene comune: donare in formazione quanto ricevuto economicamente dalle persone e dalle realtà che decidono di sostenere il nostro progetto. E questa è una scelta politica precisa, che è stata importante per orientare il nostro operato nel segno della programmazione e di una crescita costante. Per continuare a camminare insieme, dobbiamo porci tre domande: chi siamo, chi vogliamo diventare e cosa vogliamo fare.
Chi siamo?
Siamo una comunità in cammino, che ha fatto dei nostri volti il proprio volto, delle nostre diverse e interconnesse competenze le proprie competenze e del metodo inspirato alla spiritualità ignaziana che padre Occhetta ci ha insegnato, il proprio metodo.
E così, ciascuno di noi, entra in relazione autentica con l’altro e fiorisce nell’altro che non è mai mezzo ma fine, il bene della comunità diventa una priorità contro gli individualismi, le proprie conoscenze si intrecciano con quelle dell’altro e sono ampliati gli orizzonti dell’intelletto, il discernimento prevale sull’appiattimento prodotto dalla forza di gravità del “quotidiano”. In altre parole, la comunità, quelle vere come la nostra, trasforma l’individuo in persona, tutti noi eravamo diversi quando ne siamo entrati a far parte.
Il bene della comunità prevale anche sui giochi di “potere”, sulle gerarchie, sulle brame personali. Lo avevano già teorizzato sociologi come Durkheim ed avevano ragione. La nostra è un’organizzazione orizzontale in cui ciascuno ha un ruolo in virtù delle proprie competenze.
Chi vogliamo diventare?
È il secondo interrogativo che ci sbilancia sul futuro. Abbiamo premesso che la nostra è una Comunità in cammino, che non è ferma ma percorre una strada, che si lascia provocare dalla generatività di chi ne entra a far parte. Padre Occhetta nel suo editoriale di domenica scorsa, su comunitàdiconnessioni.org, ha ricordato l’insegnamento di Ungaretti secondo cui la “meta è partire”. Non abbiamo ambizioni di potere, ma di servizio. Mettersi al servizio di ideali, di persone, del Paese è la nostra missione. Molti di noi, silenziosamente, già operano in questo senso. Supportano, con ruoli diversi, famiglie, quartieri, comunità locali, città, province, regioni, istituzioni nazionali, dal Parlamento ai Ministeri.
Non intendiamo il servizio come una forma di carità ma come un debito di giustizia verso la collettività, per restituire quello che ci è stato dato. In inglese, si pronuncia “give back”. È vero: in molti contesti, diversi dal nostro, non funziona. Crediamo che il motivo sia perché manca la spiritualità della comunità, senza la quale la coscienza e le competenze inaridiscono. Tutti possiamo restituire. Non si tratta di “se” ma di “cosa”. I giovani che hanno ricevuto la formazione in Comunità di Connessioni possono restituirla ai loro territori, alle loro diocesi. Ma anche chi ha fatto qualche passo in più nella vita e nella professione può restituire gli insegnamenti che ha ricevuto a chi entra a far parte della nostra Comunità. Sono solo due esempi semplici che rendono l’idea. In un disegno più grande di noi, tutto è connesso e le strade si incrociano.
Vogliamo continuare a lavorare sul nostro essere comunità per essere uniti, ed includere l’omogeneo, aperti, ed includere meglio l’eterogeneo, generativi, e lasciar fiorire, prendersi cura e lasciare andare. Questo è quello che vogliamo diventare. Diventare ciò che siamo. I greci lo avevo scolpito a Delphi: «conosci te stesso» per diventare ciò uno è.
Cosa vogliamo e possiamo fare?
Comunità di Connessioni non ha mai smesso di operare. Anche nei mesi del Covid, le iniziative di comunità sono state tante ma virtuali. Per “diventare ciò che siamo”, abbiamo pensato ad una modello con cinque grandi sezioni. Abbiamo la responsabilità di custodirlo ma anche di affinarlo e di migliorarlo. Sono quattro i punti che ci contraddistinguono: la cura della dimensione spirituale; l’approfondimento dei temi dell’agenda politica; la rielaborazione di proposte all’interno della comunità che ha posizioni plurali e non partitiche; la cura delle relazioni tra noi per mettere in comune le caratteristiche che si hanno.
Uno dei frutti più recenti del nostro lavoro è la collana di Famiglia Cristiana, “Il mondo che vogliamo”, in cui la nostra Comunità è stata coinvolta. La nostra Comunità è stata coinvolta nella pubblicazione di due volumi: Fede e giustizia. La nuova politica dei cattolici firmato di padre Occhetta e Il lavoro che cambia. La nuova prospettiva solidale a firma di Ciro Cafiero.
Comunità di Connessioni cura inoltre un suo dossier per la rivista Vita Pastorale e alcuni di noi sono coinvolti dalla Cei nel lavoro di proposta della Settimana Sociale di Taranto, il prossimo ottobre. Anche lo scorso anno, la nostra Comunità ha dato vita ad un volume “Le politiche del popolo. Volti, competenze e metodo”. Altri ancora ne verranno. Si tratta di una strada per mettere a fattor comune le nostre competenze e restituire alla collettività la formazione ricevuta.
Lo abbiamo detto: la nostra è una Comunità aperta, anche alle idee, ai suggerimenti, alle provocazioni. Questo Congresso integra la dimensione spirituale con quella di discernimento, è per questo che ci ascoltiamo molto per progettare e guardare insieme alla stessa direzione. Per un futuro pieno di speranza il segreto è continuare ad operare con sobrietà, tenendosi per mano, senza frastuono, in povertà, facendo sacrificio negli studi e ridonando ciò che abbiamo ricevuto.