«L’identità è una ricerca. In un contesto in cui ogni identità vuole essere unica senza confrontarsi con sé stessa, l’unica strada possibile è quella di intraprendere un percorso incentrato al dialogo». Con queste parole di Marco Damilano si è concluso il secondo appuntamento di #formpol di Comunità di Connessioni, svoltosi sabato 19 marzo a Roma nella Chiesa del Gesù.

Insieme al già Direttore de L’Espresso e ad Antonio Funiciello, capo di gabinetto della Presidenza del Consiglio dei ministri, abbiamo continuato il nostro percorso di formazione, riflettendo sugli scenari politici nell’era del bio-potere. Come ricordato anche da p. Francesco Occhetta nella sua introduzione, dal 19 gennaio, ultimo incontro della scuola, il mondo è cambiato, rendendo ancora più cruciale il recupero delle nozioni storia, eredità e memoria come chiavi di lettura per comprendere il presente e iniziare ad intravedere il futuro.

«Il tema della guerra – ricorda Funiciello – ha cambiato il sistema di riferimento con cui ognuno esercita il proprio ruolo. La bio-politica, – tema di questa edizione di #formpol – ovvero la politica che costudisce la vita, è messa in discussione dai conflitti». In tal senso, i fatti di cronaca ci mostrano due modi totalmente opposti di raccontare e concepire la leadership politica. Da una parte, il presidente ucraino Zelensky sta trasformando il modo di comunicare con i propri cittadini sfruttando i nuovi mezzi di comunicazione per creare un senso di appartenenza.  Dall’altra, invece, il presidente Putin fa leva su un linguaggio e un modo arcaico e autoritario di relazionarsi con il proprio paese. Questa modalità, come si intravede nelle foto dell’evento in ricordo dei fatti della Crimea, è una forma adulatoria della propria persona e del proprio narcisismo. Come racconta lo scrittore Saul Bellow, ripreso da Funiciello nella conclusione della sua relazione, l’innovativo uso della radio fatto da Franklin Delano Roosevelt durante la Seconda guerra mondiale ha saputo creare unità e senso di appartenenza in tutti i cittadini americani. Infatti, il trentaduesimo presidente degli Stati Uniti ha saputo utilizzare il nuovo mezzo di comunicazione per avvicinarsi ai cittadini, accompagnandoli nelle sofferenze causate dallo sforzo bellico. Zelensky tramite tweet e video-messaggi, come FDR, riesce stare a vicino al proprio popolo e a quello europeo, divenendone un esempio di resistenza.

Nel corso del suo intervento, Marco Damilano ha raccontano di come, da diverse visioni della storia, possano nascere idee di politica. Una di queste è quella della “inevitabilità della storia”, che comporta una rigida meccanicità dell’agire politico: «la natura ha prodotto il mercato, che ha prodotto la democrazia, che ha prodotto la felicità. Non si può fare nient’altro, bisogna solo assecondare questo movimento», dice Damilano. Dall’altra parte, la “politica dell’eternità” cerca la sua giustificazione in narrazioni millenarie e dal sapore mitologico, che motivano ogni violenza e ogni atrocità. L’individuo si trova schiacciato (e accecato) da questi macigni storici, e si trova sottratto del suo libero arbitrio. Infine, la “politica dell’anti-politica” vuole rompere con il sistema, ribaltando lo status quo. Questa concezione non è in grado di generare un’idea di persona e un’idea di società se non quella di un’illusoria e falsa incorruttibilità, che però non riesce a portare frutti o a costruire il cambiamento sperato.

A queste visioni, Damilano propone un’alternativa: la “politica del cambiamento e della libertà”, ovvero l’unica via per permettere ai fatti di non rimanere sterili accadimenti. Solo così, infatti, la realtà può essere narrata e contestualizzata. Questo approccio si basa sulla consapevolezza di quello che Mounier chiama “l’avvenimento”, ossia il “maestro interiore”. Avvenimento è ciò che accade e che irrompe nelle nostre vite: il nostro compito è riconoscerlo e farlo risuonare a favore della comunità, ancora una volta narrando ciò che ci circonda.

Oggi stiamo attraversando un esodo europeo: l’invasione russa ha cambiato lo scenario geopolitico mondiale, scardinando le vecchie consuetudini. Damilano, in conclusione, ricorda che, come si intuisce da “Esodo e rivoluzione” (Michael Walzer), la promessa insita nell’arduo cammino del deserto (l’esodo) implica la presenza della terra promessa. Raggiungerla non è facile e richiede un cammino lungo e impervio. L’unico modo per percorrerlo è unirsi, creare una nuova comunità che voglia compiere questo cammino insieme. Solo creando una nuova esperienza comunitaria, che si base sulla scoperta di sé stessi, si può costruire un futuro migliore, “più buono e più giusto, di pace”. Memoria, storia e eredità non sono nozioni sterili, ma diventano la concreta possibilità per scoprire noi stessi e leggere il presente. Facendo così, si può ambire alla profondità, andando oltre la superficie e guardando sotto il pelo dell’acqua.

Questa è l’ambizione del cammino di Comunità Connessioni e del suo percorso di formazione politica #formpol: essere una casa comune fondata su quelli che p. Francesco Occhetta ha definito, nell’introduzione, i cinque pilastri: formazione, spiritualità, progettualità, responsabilità e comunità.