Per il nostro editoriale abbiamo scelto parole della storia che vanno oltre la cronaca. Lo facciamo in silenzio e nel dolore per le conseguenze della guerra in corso. Queste parole sono solo una piccola fiamma di candela nelle notti illuminate dalle bombe. Ma sono anche la condizione interiore per sostare, ascoltare la storia e comprendere verso dove andare. Colpisce perché è già stato tutto scritto, lo dimostrano i testi che abbiamo scelto e vi offriamo da meditare. Nella storia ritorna tutto ciò che si dimentica. Il nostro compito però rimane quello di ricostruire (umanamente) il nostro futuro.

Veglia, Giuseppe Ungaretti

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

Guerra, Alda Merini

O uomo sconciato come una fossa
in te si lavano le mani i servi,
i servi del delitto
che ti cambiano veste parola e udito
che ti fanno simile a un fantasma dorato.
Viscidi uccelli visitano le tue dimore
sparvieri senza volto
ti legano i polsi alle vendette
degli altri
che vogliono dissacrare il Signore.
O guerra, portento di ogni spavento
malvagità inarcata, figlia stretta
generata dal suolo di nessuno
non hai udito né ombra:
sei un mostro senza anima che mangia
la soglia
e il futuro dell’uomo.

L’Iliade o il poema della forza, Simone Weil (passi scelti)

Tra il 1936 e il 1939 Simone Weil scrive L’Iliade o il poema della forza, opera che uscirà tra il 1940 e il 1941 sui Cahiers du Sud mentre si trova a Marsiglia. In un momento così drammatico della storia europea la filosofa francese si rivolge a chi per lei ha saputo descrivere più efficacemente gli effetti della violenza e della forza sulla condizione umana: Omero. L’opera è più di un commento ai testi omerici, in essa l’autrice illumina con sguardo lucido la contraddizione che caratterizza la guerra: non esistono vincitori o vinti, forti e deboli, perché chiunque venga toccato dalla violenza diventa schiavo della sua dinamica mortifera. Anche Achille è destinato a perire miseramente. In tutto il poema non si trova un solo uomo, nemmeno tra i vincitori, che non rimanga in qualche modo sconfitto e schiacciato dalla forza.

«La necessità propria della guerra è terribile, completamente diversa da quella connessa alle attività della pace; l’anima vi sottostà solo quando non può più sfuggirvi e finché la evita trascorre giorni privi di necessità, giorni di gioco, di sogno, arbitrari e irreali. Il pericolo è allora un’astrazione, le vite distrutte risultano indifferenti al pari di giocattoli rotti da un bambino; l’eroismo è una posa di teatro insudiciata di vanteria. Se inoltre, per un attimo, un afflusso di vita moltiplica la potenza dell’azione, ci crediamo irresistibili in virtù di un aiuto divino che garantisce contro la disfatta e la morte. La guerra allora è facile e viene amata in modo meschino. Ma nella maggior parte dei casi questo stato non perdura. Arriva il giorno in cui la paura, la sconfitta, la morte dei compagni amati fa piegare l’anima del soldato alla necessità. La guerra smette allora di essere un gioco o un sogno; il guerriero capisce insomma che essa esiste realmente. È una realtà dura, infinitamente troppo dura per poter essere sopportata in quanto racchiude la morte […] La guerra quindi cancella ogni idea di scopo, persino l’idea degli scopi della guerra. Essa cancella anche il pensiero di porre fine alla guerra. L’eventualità di una situazione così violenta è inconcepibile fintanto che non vi ci si trova coinvolti; e quando ci si trova coinvolti porvi fine è inconcepibile. Così non facciamo nulla per uscirne, non possiamo smettere di imbracciare e usare la armi in presenza di un nemico armato; la mente dovrebbe predisporsi a trovare una via d’uscita, ma ne ha smarrito ogni capacità. È interamente occupata a farsi violenza. Che si tratti di schiavitù o di guerra, le sventure intollerabili, sempre presenti tra gli uomini, durano a causa del loro stesso peso e così dall’esterno sembrano facili da portare; durano perché sottraggono le risorse necessarie a uscirne. Ciononostante, l’anima sottomessa alla guerra grida per essere liberata»

Il potere dei senza potere, Vàclav Havel

Havel, nel suo libro “Il potere dei senza potere”, ha lasciato come eredità all’Europa alcuni poteri: anzitutto evitare che i sistemi politici autoritari esproprino l’uomo della sua coscienza, della sua ragione e del suo linguaggio naturale, mentre il secondo potere è la forza mitezza, far verità senza annientare l’altro. Con questa virtù Havel contribuì a far cadere il comunismo in Cecoslovacchia nel 1989 con la Rivoluzione di velluto. Non solo, come Presidente scelto dal suo popolo Havel aiutò a superare il Patto di Varsavia nel 1991 nonostante le incredulità di Gorbaciov e della Russia per poi entrare nell’Alleanza Atlantica per allargare la pace in Europa. Un terzo potere è la parola. Grazie alla sua drammaturgia, Havel ha esaltato la parola, l’ha condivisa e resa dialogica come politico. E con la parola, vincere ogni tipo di menzogna. Ecco come liberarci dai totalitarismi.

Scacciare il totalitarismo dalla nostra anima[1]

Lei parla di post-totalitarismo, e si riferisce evidentemente al regime comunista del blocco dei Paesi satelliti dell’Unione Sovietica. Che c’entriamo noi uomini e donne dell’occidente libero?

Da tempo ormai non si tratta più del problema di una linea politica o di un programma: si tratta del problema della vita. Questo riporta la politica all’unico punto da cui può ripartire se vuole evitare tutti gli antichi errori: all’uomo concreto. Nelle società democratiche, in cui l’uomo non è così palesemente e così brutalmente violentato, questo cambiamento fondamentale della politica è ancora lontano, e forse quando le cose peggioreranno la politica ne scoprirà la necessità.

Se non è un problema di scelta fra alternative politiche, qual è allora il nostro compito?

Il processo di anomizzazione e spersonalizzazione del potere, la sua riduzione a mera tecnica di dominio e manipolazione che ho descritto è la dimensione essenziale di tutta la civiltà moderna. Il sistema, l’ideologia e l’apparato hanno espropriato l’uomo – tanto i governanti quanto i governati – della sua coscienza, della sua ragione, del suo linguaggio naturale e perciò anche della sua concreta umanità; gli Stati divengono simili a macchine; gli uomini si tramutano in insiemi statistici di elettori, di produttori, di consumatori, di malati, di turisti o di militari; il bene e il male – categorie appartenenti al mondo naturale – perdono un senso reale in politica: il solo metodo diviene l’utilità, il solo criterio il successo oggettivamente verificabile.

Insisto, che c’entriamo noi occidentali?

Credo che per quanto riguarda il rapporto con i sistemi totalitari l’errore peggiore che l’Europa occidentale possa commettere sia quello che la minaccia di più: la mancata comprensione di ciò che sono realmente i sistemi totalitari, ossia uno specchio convesso di tutta la moderna civiltà e un pressante invito – forse l’ultimo – a una revisione generale del modo in cui questa civiltà concepisce sé stessa.

Le rifaccio la stessa domanda di Lenin: che fare?

Di fronte all’oppressione in cui noi viviamo molti intellettuali occidentali dicono: “Che cosa possiamo fare per voi?”. Certo, si può far molto, ma al fondo di questa domanda è racchiusa un’incomprensione: il problema non è quello di aiutare noi dissidenti perché non ci arrestino: dobbiamo prima di tutto aiutare noi stessi. È in gioco qualcosa di ben diverso: la salvezza di tutti. Se si distrugge la vita di un uomo a Praga, non la si distrugge a tutti? Abbiamo di fronte un unico compito fondamentale, da cui derivano tutti gli altri compiti: il compito di lasciarci guidare dalla nostra stessa ragione e di servire in ogni circostanza la verità come nostra esperienza essenziale. Il miglior modo di resistere al totalitarismo è di scacciarlo dalla nostra anima.

 

Sunday bloody Sunday, U2 (War, 1983)

Sunday bloody sunday è la canzone degli U2 uscita a circa dieci anni dalla tragica uccisione di quattordici civili nella domenica del 30 gennaio 1972, durante il conflitto nordirlandese. Oggi, cinquant’anni dopo quella “domenica di sangue”, il mondo ha gli occhi sul conflitto russo-ucraino dove stanno perdendo la vita molti civili, donne e bambini. Nessuno sperava che questa canzone dovesse tornare ad essere cantata per gridare il suo sdegno nei confronti della guerra e per le morti innocenti, ma a quanto pare non ha ancora esaurito il suo compito (link per ascoltare la canzone).

I can’t believe the news today
I can’t close my eyes and make it go away.
How long,
How long must we sing this song?
How long, how long?
‘Cos tonight
We can be as one, tonight.

Broken bottles under children’s feet
Bodies strewn across the dead-end street.
But I won’t heed the battle call
It puts my back up
Puts my back up against the wall.

Sunday, bloody Sunday.
Sunday, bloody Sunday.
Sunday, bloody Sunday.
Sunday, bloody Sunday.
Oh, let’s go.

And the battle’s just begun
There’s many lost, but tell me who has won?
The trenches dug within our hearts
And mothers, children, brothers, sisters
Torn apart.

Sunday, bloody Sunday.
Sunday, bloody Sunday.

How long,
How long must we sing this song?
How long, how long?
‘Cos tonight
We can be as one, tonight.
Sunday, bloody Sunday.
Sunday, bloody Sunday.

Wipe the tears from your eyes
Wipe your tears away.
I’ll wipe your tears away.
I’ll wipe your tears away.
I’ll wipe your bloodshot eyes.
Sunday, bloody Sunday.
Sunday, bloody Sunday.

And it’s true we are immune
When fact is fiction and TV reality.
And today the millions cry
We eat and drink
While tomorrow they die.

The real battle just begun
To claim the victory Jesus won
On…

Sunday, bloody Sunday
Sunday, bloody Sunday.

 

 

Non riesco a credere alle notizie oggi
Non posso chiudere gli occhi e farle andare via.
Per quanto,
Per quanto dovremo cantare questa canzone?
Per quanto, per quanto?
Perché stanotte
Noi possiamo essere uniti, stanotte.

Bottiglie rotte sotto i piedi dei bimbi
Corpi sparsi ai lati del vicolo cieco.
Ma non darò retta al richiamo alla lotta
Mi mette le spalle
Mi mette con le spalle al muro.

Domenica, maledetta domenica.
Domenica, maledetta domenica.
Domenica, maledetta domenica.
Domenica, maledetta domenica.
Oh, andiamo.

E la battaglia è appena cominciata
Ci sono molte perdite, ma dimmi chi ha vinto?
Le trincee scavate nei nostri cuori
E madri, figli, fratelli, sorelle
Separati.

Domenica, maledetta domenica.
Domenica, maledetta domenica.

Per quanto,
Per quanto dovremo cantare questa canzone?
Per quanto, per quanto?
Perché stanotte
Noi possiamo essere uniti, stanotte.
Domenica, maledetta domenica.
Domenica, maledetta domenica.

Asciuga le lacrime dai tuoi occhi
Asciuga le tue lacrime.
Asciugherò le tue lacrime.
Asciugherò via le tue lacrime.
Asciugherò i tuoi occhi arrossati.
Domenica, maledetta domenica.
Domenica, maledetta domenica.

Ed è vero siamo immuni
Quando la verità è romanzo e la TV realtà.
Ed oggi a milioni piangono
Mangiamo e beviamo
Mentre domani loro morranno

La vera battaglia è appena cominciata
Per reclamare la vittoria che Gesù ottenne
In una…

Domenica, maledetta domenica
Domenica, maledetta domenica.

[1] U. Casotto – F. Magni (a cura di), Il potere dei senza potere. Interrogatorio a distanza con Václav Havel, Itaca, 2019, p. 30-31.