di Francesca Carenzi
 
«È un periodo di profonda inquietudine» ha detto la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel discorso sullo stato dell’Unione il 16 settembre 2020. Tutti noi ne siamo testimoni: un’inquietudine sociale e personale ci ha accompagnati in questi mesi in cui la quotidianità è rimasta sospesa, dando vita a nuove forme del vivere e, a volte, trasformandoci radicalmente.
 
Un’inquietudine con cui anche la vita dell’Unione europea ha dovuto fare i conti. Le radici storiche dell’Europa affondano nel terreno di una crisi, tra cui quella delle guerre mondiali è solamente la più recente. In un certo senso le “crisi” sono parte integrante della sua storia. Negli ultimi anni abbiamo sentito spesso questa parola: crisi economica, crisi sanitaria, crisi sociale. L’Europa è stata chiamata più volte a riprendersi da un male che propagava al suo interno, dalla guerra al nazionalismo, fino alle tensioni interne tra le sue parti e fazioni.
 
Molti autori hanno riflettuto su questo fenomeno, misurandosi con i limiti del proprio orizzonte culturale e politico. Tra questi oggi ci sembra particolarmente rilevante María Zambrano, che dal suo punto di osservazione personalissimo e peculiare, nel vedere l’Europa cedere sotto i colpi della violenza delle dittature, si interroga sul destino di quella che definisce sua “madre”. La posizione dell’autrice risulta interessante per due motivi: da un lato la filosofa guarda l’Europa della Seconda Guerra Mondiale dall’esterno, dall’esilio in America latina in cui l’opposizione al regime franchista l’ha costretta, dall’altra perché la sua analisi non è solo politica, ma chiama in causa le radici della cultura europea stessa.
 
L’inquietudine accompagna tutta la vicenda di Zambrano così come tutto il periodo storico che ha davanti agli occhi. La sua esperienza dell’esilio è essa stessa un’esperienza di crisi; da questo sentimento di abbandono, ma allo stesso tempo di profonda riflessione e scoperta, tra il 1940 e il 1945 nascono alcuni saggi sul fascismo e sulla guerra che verranno raccolti nell’opera intitolata L’agonia dell’Europa. Nel testo emerge chiaramente che per l’autrice c’è una sorta di “peccato originale” alla base della nostra cultura: la volontà di innalzarsi a potenza divina in una frenesia creatrice dell’azione e del pensiero, che porta l’uomo europeo a cercare di dominare la storia.
 
Il volersi fare padroni della storia e dell’esistenza, invece di creare, distrugge e rompe il legame intimo e profondo con la realtà (che per l’autrice merita un amore rispettoso del suo mistero), spazza via il senso del limite della conoscenza e dell’azione e porta, come ultima manifestazione, all’assolutismo. «L’assolutismo è un’immagine della creazione ma al contrario. Creando, fa il nulla. Annulla il passato e nasconde il futuro […] per questo è un inferno» (Persona e democrazia).
 
L’uomo, credendo di poter dominare ogni cosa, perde il legame con la realtà, la “passione” per l’esistenza; in questo l’autrice vede anche una colpa della filosofia occidentale che, con la sua pretesa di rendere intelligibile ogni fenomeno, ha contribuito ad accrescere il distacco tra uomo e realtà e, quindi, al conseguente trasformarsi della storia in tragedia. Quando il mito del progresso e un modello di ragione onnipotente sono diventati l’ideale a cui l’uomo europeo tende, si è creata la prima crepa tra l’essere umano e la realtà. Senza un contatto intimo con la vita, anche i frutti più positivi di una cultura possono mutarsi nei fantasmi di loro stessi.
 
La malattia che sta uccidendo il vecchio continente ha i suoi sintomi più evidenti nella vita politica, che però rivela la debolezza di tutto il sistema culturale e sociale circostante. L’idea della perfettibilità umana divora lo spazio del dialogo, la storia e la politica. In un orizzonte così nero, dove guardare per rialzarsi? Zambrano ha un’intuizione che, probabilmente, deriva anche dall’esigenza personale di dare un significato alla circostanza che domina la sua esistenza, l’esilio in cui ha abitato per quarant’anni. In un percorso che parte dal grido di Giobbe passando per il fallimento della ragione greca, Zambrano indica il punto d’inizio della nostra storia: la confessione agostiniana.
 
Lo scritto di Sant’Agostino è l’affresco di di un pensiero aperto al futuro, che sorge sulla sponda opposta del Mediterraneo e dove dall’abisso delle proprie viscere scaturisce la speranza di una vita nuova. È questo che Zambrano propone: una confessione esistenziale e storica, che porti alla consapevolezza di sé. Non una retorica nostalgica delle “radici”, ma uno sguardo lucido che accompagna il riconoscimento del proprio limite alla consapevolezza che solo lì si dà la possibilità di un’esistenza nuova. Confessione e, quindi, consapevolezza: l’invito che Zambrano rivolge a tutta la cultura europea.
 
È proprio nelle Confessiones che l’autrice fissa la nascita dell’Europa: essa sorge dalla morte del mondo classico e dal suo ridarsi spalancato ad una nuova dimensione storica e temporale. Tramite la voce personale di un uomo è la storia intera a confessarsi, Agostino ci racconta quindi la storia de «l’uscita da una crisi» (L’agonia dell’Europa). Attraverso la nuova nascita dell’Europa nell’orizzonte cristiano, il Dio creatore, imitato da chi pretende di “fare” la storia, è anche il Dio della misericordia. L’uomo europeo si rivela così il suo doppio volto, in quanto porta dentro di sé la sua volontà di potenza e, contemporaneamente, un anelito inesauribile di speranza.
 
Attraverso la confessione possono cadere le maschere che si muovono nella storia, lasciando emergere il volto umano che la abita. Dalla riscoperta del proprio essere autentico deriverà nuova speranza, che potrà aprire un nuovo orizzonte della cultura europea riportando sulla scena, al posto dell’annichilimento e della violenza, la pietà, il dialogo e l’amore aperto all’altro. È il luogo di un divenire, del dialogo che costruisce l’identità, in un ordito che racchiude in sé tutte le trasformazioni e le identità, dando vita ad un arazzo armonioso.
 
La nostra cultura nasce dal rialzarsi di Agostino, dall’uomo figlio della classicità e dell’oriente che, scoprendo l’interiorità e la misericordia, getta le basi della nostra storia. Le nostre istituzioni nascono sulle macerie lasciate dalla guerra, dal faticoso rialzarsi cercando di trovare una nuova forma di vivere comune per garantirsi un futuro. Per questo la crisi non deve soffocarci, la storia della nostra civiltà è costellata di continue morti e continue rinascite.
 
«Ogni resurrezione non è che la trasmutazione di qualcosa che continua ad essere la stessa […] trova una nuova ispirazione, trova cioè che la sua speranza e la sua disperazione erano aggrovigliate o troppo difficili, e ne scopre di nuove. […] In Sant’Agostino l’uomo nuovo è già nato: ormai sa cosa deve sperare» (L’agonia dell’Europa). Dobbiamo augurarci, dopo l’inquietudine dell’ultimo anno, che anche la nostra sia la storia di un’“uscita da una crisi” per riguadagnare una nuova speranza del vivere insieme.