Il futuro della cura è fatto di concretezza
di Giulia Milani
Marco Trabucchi è professore ordinario nella Facoltà Medica dell’Università di Roma Tor Vergata, Presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, società che studia le condizioni di benessere della persona anziana in relazione allo stato di salute somatica. Direttore Scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica (GRG) di Brescia, è autore di 20 volumi in ambito clinico e 570 lavori su riviste internazionali.
La parola “cura” è una delle parole a cui siamo affezionati e che ritorna spesso nei nostri interventi e nelle nostre discussioni. Nel 2018 ha pubblicato in volume Cura – una parola del nostro tempo, vuole condividere con noi quale significato ha questa parola per Lei e cosa ha significato nella sua esperienza lavorativa e di ricerca?
La parola “cura” ha una valenza umana fortissima, vale per tutti, ciascuno di noi deve avere cura dell’altro che faccia il medico, l’avvocato, lo scienziato o il contadino. Ad esempio, se il contadino non ha cura della sua opera, che serve a dar da mangiare alle persone, è chiaro che nemmeno lui esprime fino in fondo la sua umanità. Nella mia esperienza come medico la parola cura ha avuto un significato segnante, del tutto particolare, perché vuol dire capire che l’atto tecnico ha valore soltanto se arricchito dalla relazione. Ha valore se è arricchito dall’impegno a fare il bene dell’altro e così vale anche per la ricerca che non è mai fine a sé stessa, ma è sempre volta a migliorare quell’atteggiamento di cura che il medico ha naturalmente nella sua struttura mentale, per dargli delle basi scientifiche e tecniche, poiché la tecnica è sempre importante. La cura senza la tecnica è un imbroglio, in tutti i campi, nel campo medico, ma anche nella ricerca o nella giustizia. Non dobbiamo fare l’errore di separare l’avere cura dal resto.
Secondo diversi studi epidemiologici circa un terzo delle persone anziane soffre di solitudine, sia chi si trova in una condizione di isolamento ma anche chi vive circondato da molte persone. La solitudine predispone a condizioni più gravi che possono sfociare in depressione o in altre patologie. Come mai le persone soffrono sempre più la solitudine? Quali politiche si possono attuare per contrastare gli effetti della solitudine, in particolare negli anziani?
La solitudine è il portato della nostra struttura sociale: la famiglia è sempre più sfilacciata, se esiste è sempre più portata a separatezze geografiche, psicologiche e sociali. La solitudine, specie nell’anziano, è un fatto che dobbiamo accettare come fenomeno sociologico al quale dobbiamo porre rimedio e trovare delle risposte, ma pensare che possa essere evitata a monte non è possibile. La solitudine è un evento al quale possiamo opporci. E come fare per opporci? È chiaro: bisogna creare dei luoghi di aggregazione, spazi in cui c’è vita, non soltanto per andare a bere il caffè o fare quattro chiacchiere insieme. Bisogna creare luoghi di vita in cui si riallacciano relazioni che si erano perdute, e questo non sempre è facile perché, ad esempio, mettere insieme un ottantenne di Milano con una signora settantacinquenne di Bologna o di Sorrento può essere difficile. Tutti questi tentativi di riavvicinare le persone richiedono molto tempo, a volte molte difficoltà e anche molta competenza. Per esempio, dobbiamo chiederci cosa può fare chi media questi riavvicinamenti. La risposta è difficile, non esiste una tecnica psicologica per governare i luoghi di incontro, però è importante che questi ci siano e che vengano creati dagli enti pubblici e da soggetti privati. Una delle più grandi crisi in questo ambito è stata quella che ha colpito il ruolo della Chiesa che una volta costituiva un luogo di aggregazione vivo e per tutti ma che negli anni ha perso questo senso di essere un luogo di incontro. Nel nome della fede (che è personale, c’è chi ne ha di più, chi di meno), c’era, però, possibilità di incontro per tutti. C’erano poi possibilità di incontro anche in altri luoghi, ad esempio, i sindacati pensionati che adesso però sono ridotti a delle parvenze vuote e inutili, oppure le osterie nelle città, che adesso non ci sono quasi più perché sostituite da luoghi più raffinati o da altre modalità di acquisto di beni che hanno tolto il gusto dell’incontro tra persone. È importante quindi trovare degli spazi che favoriscano le relazioni e l’incontro con l’altro.
In occasione dell’istituzione della prima giornata mondiale dei nonni e degli anziani, Papa Francesco ha dichiarato: «Prego il Signore che questa festa aiuti noi che siamo più avanti negli anni a rispondere alla sua chiamata in questa stagione della vita e mostri alla società il valore della presenza dei nonni e anziani, soprattutto in questa cultura dello scarto». Molto spesso si affronta il tema dell’invecchiamento con uno sguardo non del tutto libero da stigma e pregiudizi infelici che vedono gli anziani come persone “non indispensabili allo sforzo produttivo del paese”. Quali politiche suggerirebbe per abbattere questi pregiudizi e favorire l’incontro tra generazioni?
Dobbiamo aiutare l’anziano a vivere bene. Dobbiamo aiutarlo a pensare e a camminare, cioè dobbiamo garantirgli che la sua testa funzioni e che le sue gambe funzionino. Prima di tutto vengono il benessere somatico e il benessere psichico, intenso come prevenzione e cura della demenza, prevenzione e cura della depressione, cioè di quelle situazioni che allontanano l’anziano dalla comunità. Non sono convinto che il congiungimento tra le generazioni avvenga su tante parole, dobbiamo dire basta a questa storia dello scarto, cerchiamo di fare dei piccoli passi: iniziamo a creare luoghi di aggregazione nei nostri paesi e nei nostri quartieri in cui le persone si possano incontrare e creare delle esperienze di relazione interessanti. Quello che conta in questi casi è la realizzazione di piccoli progetti locali, le grandi affermazioni ideologiche non servono a niente. Ci vogliono piccole cose concrete perché il nostro futuro è fatto di concretezza e di poca ideologia. Non abbiamo bisogno di ideologie perché non portano da nessuna parte. Dobbiamo costruire a monte una forte motivazione sociale (visto che manca la motivazione religiosa) che porti il messaggio che se sta meglio il tuo prossimo, stai meglio anche tu. Il giovane sta meglio se sta meglio anche l’anziano perché questo crea le condizioni per le quali quando anche il giovane sarà fragile o ammalato troverà qualcuno che lo assiste. Allo stesso tempo dobbiamo convincere l’anziano che il volontario non va da lui per divertimento personale, ma perché insieme si può costruire qualcosa di grande valore umano.
La pandemia ha evidenziato la grave situazione in cui versano molte strutture residenziali per anziani come RSA e casa di cura. Le disuguaglianze nei servizi sanitari presenti nel nostro paese sono evidenti e sotto gli occhi di tutti. Qual è lo stato attuale in cui si trovano i servizi di assistenza alla persona anziana o fragile e come si dovranno evolvere i modelli di cura e assistenza nel prossimo futuro per affrontare la crisi generale dei servizi sanitari
Lo stato dei servizi di cura in alcuni luoghi del nostro paese versa sicuramente in gravi condizioni. I modelli di cura e di assistenza dovranno affrontare e superare tre problemi per evolversi nella giusta direzione: problemi economici, problemi di formazione del personale e infine le grandi motivazioni.
La diversità dei servizi tra nord e sud è evidente. Prendiamo ad esempio il tema del maltrattamento degli anziani: in alcune zone del nostro Paese assistiamo ad una situazione indegna, ma in altri luoghi è tutto molto diverso. Il problema più grave sono le diseguaglianze che non abbiamo il coraggio di cambiare. In alcune regioni (Veneto, Emilia e Lombardia) la buona politica ha fatto grandi interventi. Pur colpita dalla crisi dovuta al Covid-19, i servizi sanitari di queste regioni hanno sempre avuto dei livelli buoni e gli standard di tantissime strutture per anziani sono ottimi. Ci sono alcuni problemi che valgono per tutte le regioni, per esempio i finanziamenti inadeguati e soprattutto quantitativamente limitati. Ci sono nelle nostre regioni decine di migliaia di persone che non possono permettersi la RSA perché, se la regione non eroga il contributo (circa la metà del finanziamento), le famiglie non ce la fanno a sostenere questa spesa. In media le regioni del nord danno tra i 45 e i 50 euro al giorno, ai quali il cittadino ne aggiunge altrettanti. Senza questo contributo, rischia di essere difficile per le famiglie poter accedere a questi servizi. La disuguaglianza tra regioni è talmente evidente che in alcune regioni del sud Italia questi discorsi sul finanziamento non vengono nemmeno affrontati.
Il secondo problema è quello della formazione. Ad esempio, la formazione dei medici, degli operatori e degli infermieri è limitata e ristretta a pochissime persone. Inoltre, la formazione degli operatori sociosanitari è stata resa teorica e questo non è affatto utile quando si va a spiegare come si assiste una persona anziana. Anche dal punto di vista formativo abbiamo assistito ad un fallimento completo e non abbiamo la testa per cambiarlo. Esistono nel nostro paese luoghi in cui vediamo ancora più viva la motivazione del noi inteso come comunità e consideriamo gli anziani “nostri” anche se vivono in strutture. Le comunità vivono la propria casa di riposo come un luogo dove si vive, non come un luogo diverso, non come un una prigione. Questo è un passaggio fondamentale che in alcune zone è stato fatto, ma che deve essere portato in tutti i luoghi in cui ci sono strutture di assistenza e di cura di questo tipo.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede importanti interventi nel campo del sostegno agli anziani non autosufficienti che potrebbero rappresentare un punto di svolta per la crisi dei servizi sanitari. Gli interventi a favore degli anziani fragili e delle persone non autosufficienti sono previsti in tre delle missioni di cui si compone il Piano (missione inclusione e coesione sociale, missione salute, missione digitalizzazione e innovazione). Quali sono, secondo il suo parere, le riforme e gli interventi imprescindibili sui quali puntare per un miglioramento concreto dei servizi sanitari nazionali?
Gli interventi imprescindibili sono sicuramente il miglioramento dell’assistenza domiciliare, che è già previsto dal PNRR ma senza una descrizione esatta di come organizzare i servizi predisposti. Per le RSA non è stato previsto nulla: dobbiamo purtroppo renderci conto che il PNRR per gli anziani sarà un fallimento, perché sono stati previsti dei fondi per fare le strutture, ma per farle funzionare. Inoltre, non si è messo mano al contratto dei medici di famiglia e non è possibile migliorare l’assistenza domiciliare se non si ripensano anche i contratti dei medici coinvolti. Sono ancora poche le realtà che possono dire di avere un’assistenza domiciliare funzionante e di qualità. Non si prevede un investimento per l’operatività delle strutture, non viene spiegato chi guiderà il sistema nei prossimi anni né con quali operatori. Quindi mi chiedo: dopo che saranno costruite le strutture, chi finanzierà il sistema se non abbiamo previsto finanziamenti per la gestione? Mi meraviglio di come le persone non si rendano conto delle lacune negli investimenti e nei ragionamenti rispetto alla gestione delle strutture, ma forse io sono pessimista. Ci saranno sempre delle aree fortunate dove privato e pubblico riusciranno a collaborare, dove la politica più intelligente riuscirà a collaborare con il medico più bravo e il personale più generoso, dove il sindaco con più iniziativa riuscirà a mettere in piedi qualcosa di buono e strutturato, ma saranno, a mio giudizio, situazioni rare. Voi con la vostra Comunità occupatevi di questo: connettete queste situazioni fortunate per condividere agli altri le buone pratiche che funzionano, sia in ambito di amministrazione, sia nella sanità, sia nella politica locale.