Di Paolo Bonini

La guerra in Europa di questi giorni è il risultato di una tensione tra Russia, Unione europea e Stati Uniti che ha profonde cause militari, economico-politiche e culturali sviluppatesi dal crollo dell’Unione sovietica nel 1991. L’Ucraina, in particolare, si è progressivamente avvicinata all’Unione europea a partire dalla rivoluzione arancione del 2004, con false partenze e contraddizioni, tentando di autonomizzarsi dalla sfera di influenza russa[1]. Il suo territorio è già stato compromesso dall’annessione unilaterale russa della Crimea, ratificata con un referendum farsa nel 2014, e dalla destabilizzazione dei territori oggi contesi tramite note operazioni di disinformazione e appelli alla Russia costruiti ad arte (come lo scandalo “Glazyev tapes”).

A ben vendere, l’Ucraina è il teatro di una strategia russa più ampia. A gennaio, Putin ha dichiarato che il deterioramento della situazione è dovuto all’espansione della NATO nell’Europa orientale[2], posizione poi ribadita nell’incontro del 7 febbraio 2022 tra Putin e Macron. Pochi giorni prima, il 4 febbraio 2022, Russia e Cina hanno sottoscritto e pubblicato una dichiarazione congiunta[3] sulla Entrata in una nuova era delle Relazioni internazionali e sullo sviluppo sostenibile globale. In questo documento emerge un disegno complesso in cui le due Potenze si rivolgono direttamente agli Stati Uniti con la richiesta-minaccia di disimpegnare le regioni Euro-Asiatiche da presidi militari[4], fonte, a loro dire, di pericolo per la «stabilità strategica globale».

Questa alleanza mostra i suoi primi risultati il 26 febbraio 2022, due giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina: al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la risoluzione predisposta dagli Stati Uniti per “deplorare” l’invasione non passa a causa del veto russo, con 11 voti favorevoli su 15 e l’astensione di Cina, India ed Emirati Arabi Uniti[5]. Si stanno delineando gli schieramenti di quella che sembra una fase preliminare di una più vasta contesa dell’ordine politico-economico globale, tra nuovi blocchi culturali.

Nell’inquietante analogia tra la situazione attuale e l’antefatto della Seconda guerra mondiale, dobbiamo constatare il conflitto tra due visioni del mondo, due culture che hanno perso ciascuna la propria bussola. Da una parte il totalitarismo cinese e l’autoritarismo russo involuti su loro stessi dopo la stagione, positiva, del dialogo e della contaminazione con l’Occidente, vogliono imporre un modello verticale antistorico e distopico, abbinato ad un imperialismo che non può trovare terreno in culture ormai abituate a ragionare (anche se non sempre in modo lineare) di diritti e libertà, come quelle dell’Europa orientale. Dall’altra una cultura occidentale fiaccata da ideologie sterili che non coltivano sempre l’essere umano, ma accentuano le ambizioni di potere economico, consumismo e nichilismo. Le stesse categorie di democrazia e libertà sembrano, a volte, orientate allo sviluppo di potentati economici oppure a concezioni di società “neutre” in cui il pluralismo si annacqua in eufemismi, cancel culture e politicamente corretto.

Come Russia e Stati Uniti, anche l’Europa è chiamata ad un profondo esame di coscienza, a cui ha invitato il Papa il 23 febbraio 2022: «Vorrei appellarmi a quanti hanno responsabilità politiche, perché facciano un serio esame di coscienza davanti a Dio, che è Dio della pace e non della guerra; che è Padre di tutti, non solo di qualcuno, che ci vuole fratelli e non nemici. Prego tutte le parti coinvolte perché si astengano da ogni azione che provochi ancora più sofferenza alle popolazioni, destabilizzando la convivenza tra le nazioni e screditando il diritto internazionale». Papa Francesco si è anche recato presso l’Ambasciatore russo presso la Santa Sede per mediare, un gesto carico di significato simbolico e un tentativo pratico per favorire la pace.

È evidente come la prosperità del nostro continente sia condizionata ad una ricerca di ragioni serie e autentiche di unione e unificazione tra gli Stati membri che non possono più limitarsi alla gestione dei diversi interessi economici dei singoli Stati. Bisogna passare dal perseguimento degli ‘interessi’ alla cura ‘bisogni’ sociali. In questa fase è necessario che l’appello all’unità di Ursula von der Leyen si trasformi in una spinta alla coesione politica per evitare che l’Unione si dissolva davanti alle pressioni sino-russe o costringa il continente alla continua dipendenza dagli Stati Uniti.

Di fronte a questa grave situazione, vale la pena recuperare l’atteggiamento del personalismo. «Il mondo cristiano sonnecchia», così Mounier si interroga sull’atteggiamento dei cristiani e degli umanisti senza confessione davanti all’invasione del corridoio di Danzica da parte dei nazisti nell’agosto del 1939, nell’articolo L’Europe contro les hégémonies[6], affrontando ancora il tema nel saggio Les chrétiens devant le problème de la paix del 1939.

Dopo il fallimento della conferenza di Monaco del 1938, giudicata dai personalisti e dagli intellettuali coevi come il lasciapassare liberal-parlamentare al nazifascismo, Mounier precisa come la pace non sia solo evitare la guerra, la catastrofe, se tale situazione è carica di odio: nella sua prospettiva, il cristiano (e in generale l’uomo umanistico), interagisce con gli eventi e li discute guardando alle intenzioni di chi agisce, non all’esteriorità delle situazioni di fatto. La pace cristiana non è “acquietamento”, ma “pacificazione”[7].

Ecco perché la pace non può coincidere con il pacifismo delle anime belle, ma richiede un atteggiamento agonistico di chi comprende la violenza ma la domina in una prospettiva etica: «riconoscerei in un aspetto essenziale della pace cristiana una trasfigurazione della forza: non più violenza aggressiva ma vigore […] la pace non è una condizione di debolezza, ma la condizione forte che richiede dai noi il massimo di spoliazione, di sforzo e di rischio per mantenervi l’eroismo della nostra vocazione cristiana»[8]. Non c’è pacificazione, senza rischio, senza una presenza “combattiva” nella direzione della pacificazione[9]. Questa chiamata alla responsabilità ci interroga profondamente come esseri umani, cittadini europei e cristiani. Ma ci aiuta anche a comprendere quale atteggiamento, storicamente necessario e moralmente giusto, aspettarci dai nostri governanti.

 

 

[1] Si vedano i dossier di documentazioni predisposti dal Servizio Affari Internazionali del Senato della Repubblica per una ricostruzione aggiornata del quadro geopolitico ucraino e dell’andamento militare e diplomatico della crisi: cfr. il n. 50, n. 51 e n. 52 del febbraio 2022.

[2] Si legge nella trascrizione russa della telefonata tra Putin e Macron del 31 gennaio 2022 di tre preoccupazioni: fermare l’allargamento della NATO; non dispiegare armi offensive vicino al confine della Russia; ripiegare le capacità e le infrastrutture militari NATO sulle posizioni del 1997.

[3] Cfr. il testo in inglese sul sito del Cremlino: http://en.kremlin.ru/supplement/5770.

[4] Si legge al paragrafo III: «Le parti ritengono che il ritiro degli Stati Uniti dal Trattato sull’eliminazione dei missili a raggio intermedio e a corto raggio, l’accelerazione della ricerca e dello sviluppo di missili terrestri a raggio intermedio e a corto raggio e il desiderio di dispiegarli nelle regioni Asia-Pacifico ed Europa, così come il loro trasferimento agli alleati, comportano un aumento della tensione e della sfiducia, aumentano i rischi per la sicurezza internazionale e regionale, portano all’indebolimento della non proliferazione internazionale e del sistema di controllo delle armi, minando la stabilità strategica globale. Le parti invitano gli Stati Uniti a rispondere positivamente all’iniziativa russa e ad abbandonare i loro piani di schierare missili terrestri a raggio intermedio e più corto nella regione Asia-Pacifico e in Europa. Le parti continueranno a mantenere i contatti e a rafforzare il coordinamento su questo tema».

[5] Lo riporta il sito dell’ONU: https://www.un.org/press/en/2022/sc14808.doc.htm.

[6] Cfr. N. Bombaci, I cristiani e la pace di Emmanuel Mounier: la pace come trasfigurazione della forza, in www. mondodomani.org: v. n. 74 di «Esprit» (novembre 1938).

[7] E. Mounier, Les chrétiens devant le problème de la paix in Œuvres, vol. I, pp. 785-837.

[8] E. Mounier, Les chrétiens devant le problème de la paix in Œuvres, vol. I, pp. 785-837.

[9] Mounier è particolarmente critico nei confronti di chi, a Monaco nel 1938, «non aveva nel cuore né la giustizia dei Sudeti, né quella dei Cechi, né quella dei Trattati, né quella delle loro vittime, né l’ingiustizia della guerra, ma una sola ossessione: che non si interrompessero i suoi sogni di pensionato», cfr. E. Mounier, Les chrétiens devant le problème de la paix in Œuvres, vol. I, pp. 785-837.