Pietro Genova Gaia è un giovane violinista classico italiano. Diplomato in Conservatorio a Genova, Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali. Continua la sua carriera musicale studiando a Genova, Berlino e concludendo gli studi nel 2022, al Royal College of Music (Londra), dove si è laureato con un Master of Performance sotto la guida di Itzhak Rashkovsky. Oltre all’attività concertistica e didattica, dal novembre 2021 Pietro è manager e fondatore di una stagione concertistica al Netherhall House Auditorium. Vincitore della borsa di studio RCM Accelerate, collabora con il Royal College of Music nella creazione di eventi a supporto di giovani artisti.

 

L’Arte educa, ma quanto è importante essere educati all’arte e alla musica per poterla apprezzare pienamente?

La musica si può apprezzare senza nessuna sovrastruttura, questo è il bello dell’arte!

Un’educazione specifica può aiutare ad apprezzarne a pieno il significato. Personalmente ritengo che l’educazione alla musica richiedendo tempo e pazienza e ne valorizzi la sua complessità, rispecchiando nella maniera più onesta l’animo umano.

 

La musica classica ha a che fare con il mondo, con la quotidianità o riguarda solo un mondo sublime e irraggiungibile?

Tutta la musica e, più in generale, tutta l’arte non possono essere scisse dalla vita, dalla quotidianità, perché è da lì che prende forma. I sentimenti di trascendenza, che sembrano essere tra le cose meno tangibili, al contrario pervadono e riempiono la realtà quotidiana. La musica, che nasce proprio da questi sentimenti, parla a ciascuno di noi di ciascuno di noi, rappresentando un linguaggio capace di unire le persone. La musica è il linguaggio che più si avvicina al mistero dell’animo umano, che più assomiglia alla profondità dei sentimenti. Per questo le istituzioni pubbliche hanno il dovere di garantire l’accesso alla bellezza della musica classica ai cittadini, rendendola fruibile a tutti, fuori da una logica elitaria, che non può appartenere al mondo dell’arte. Fa parte di quel famoso “pieno sviluppo della persona umana” presente nel secondo comma dell’Articolo 3 della Costituzione italiana.

 

Alla musica classica può essere attribuita una funzione sociale?

Ne sono profondamente convinto e faccio mie le parole del direttore d’orchestra Riccardo Muti: “Quello che in Italia non si capisce è l’importanza didattica della musica per formare un buon cittadino: un’orchestra è l’immagine di una società civile, è fatta da un insieme di persone che non si devono dar fastidio e raggiungere un obiettivo comune”.

La musica, ed il lavoro d’orchestra, ci insegnano a rapportarsi con gli altri, sollecitando la persona a conoscere sé stessa nei suoi propri limiti e potenzialità in un rapporto costante di confronto ed interazione con il prossimo e la collettività.

Disciplina fisica e mentale, costanza, pazienza, dedizione, spirito di sacrificio sono tutte prerogative di ogni strumentista.

Lo studio di uno strumento musicale, inoltre, è una pratica antica che rappresenta una grande opportunità per l’individuo di conoscere il proprio corpo, dando forma nel suono a sentimenti ed emozioni, che non si rivelano mai nella loro interezza.

L’individuo che è in sincera ricerca della sua vocazione trova nello strumento musicale un mezzo straordinario per realizzarsi. Una ricerca che assume un significato collettivo nel lavoro d’orchestra, generando e donando bellezza in una prospettiva comunitaria.

 

Chi è per te il maestro?

Il maestro è una guida, una persona che in virtù delle cognizioni e delle esperienze acquisite risulta all’altezza di contribuire alla preparazione e formazione di un’altra persona.

È una parola ricca di significato: non tutti riescono ad essere maestri. Essere maestri è più che essere insegnanti. È la chiamata a dimostrare ai propri allievi, quotidianamente, di essere credibili e degni di fiducia. Il maestro ha la responsabilità, senza sminuire il valore della tecnica e della disciplina, di accompagnare l’artista e l’uomo nella sua crescita personale preservando la sua unicità.

Ritengo che essere maestro sia lo scopo a cui ogni musicista debba aspirare. In primis, maestri di se stessi, e, se si ha inclinazione all’insegnamento, anche maestri di altri al fine di ridonare, in segno di riconoscenza almeno, ciò che è stato ricevuto dagli insegnamenti precedenti.

 

Come è nata in te la scelta di fare della musica il tuo lavoro?

Nella nostra società ciò che non porta profitto, comfort o che non risolve direttamente un problema concreto viene considerato non utile e quindi non degno di esistere o, peggio, una perdita di tempo. Così il denaro, lo vediamo, è diventato l’unico generatore simbolico di valori.

Rifuggendo da questo schema positivista, mi sono avvicinato alla musica per la profonda e magnifica utilità dell’arte. Sono convinto che l’arte sia in grado di educare le persone avvicinandole alla bellezza, così come la natura. Questa voglia di creare bellezza e di approfondire le potenzialità del mio corpo mi hanno portato a coltivare la passione per la musica, portandola a diventare il mio lavoro. Personalmente non riesco a dire di averlo scelto come lavoro, perché la musica ha sempre riempito le mie giornate. È sempre stato un lavoro se vogliamo. Forse è la musica ad aver scelto me come mandante. Probabilmente, molto più banalmente, il mio amore per il violino semplicemente si è trasformato anche in una fonte di reddito.