La crisi ambientale sta ridefinendo ormai tutti gli aspetti della nostra vita individuale e comunitaria. Non sta cambiando solo l’infrastruttura di rifornimento energetico, ma anche fenomeni meno “tangibili” come i valori personali e la visione del futuro. Ad esempio, sussiste un sentimento sempre più grande di emergenza e urgenza. Un sentimento che continuerà a crescere sempre di più nei prossimi anni, poiché anche gli effetti del cambiamento climatico aumenteranno.
La chiusura della COP27 ha ribadito che gli sforzi delle nostre comunità non sono sufficienti. La necessità di un approccio olistico, dove tutto è connesso, è stata già richiamata nell’enciclica Laudato si’: è necessario, infatti, un “cambio di passo” negli stili di vita e nella visione economica e sociale.
Di fronte ai cambiamenti radicali che dobbiamo affrontare, la narrativa della crisi climatica assume grande importanza; narrativa intesa come il modo in cui una comunità decide di raccontare la crisi ambientale attuale. Le narrative possono unire il presente frammentato, sono un modo fondamentale per costruire la nostra comprensione del mondo e per dare significato al nostro passato, presente e futuro. Le narrative “sono storie che raccontano eventi, personaggi e trame, e che ci offrono una visione del mondo e della vita”[1], ma che ci permettono anche di creare “una comprensione condivisa del mondo”[2], e di “gestire l’incertezza e la complessità della vita e a fornire una struttura e una logica alle esperienze personali”[3].
Quale narrativa può allora “convertirci” alla sostenibilità ambientale, facendoci diventare enzimi per la transizione ecologica?
Prima di rispondere a questa domanda, occorre comprendere l’essenza della crisi ambientale che stiamo vivendo. In confronto ad altre crisi che l’umanità ha affrontato, la crisi ambientale è caratterizzata dai seguenti aspetti: (1) è una crisi destinata a durare per definizione; infatti, le emissioni di carbonio che abbiamo emesso nello scorso secolo, hanno già cambiato per sempre il clima terrestre (molti scienziati hanno scritto ad esempio che abbiamo già cancellato la prossima “Ice age”[4]); (2) è una crisi che necessita di azione urgenti e di una velocità d’attuazione senza precedenti (cambiamenti radicali devono avvenire in meno di 30 anni); (3) l’effetto delle azioni di contenimento saranno visibili solo tra molto tempo, mentre gli effetti negativi continueranno ad esistere per tanto tempo ancora; (4) è una crisi che investe tutti e tutte le aree del pianeta e include aspetti geopolitici, ma in aggiunta crea interdipendenze tra gli “attori” del cambiamento climatico, dalle imprese e i singoli, molto forti e senza precedenti; (5) è una crisi che necessita di ridefinire il nostro rapporto con l’ambiente e di ripensare il nostro modo di vivere in chiave olistica.
Questa complessità mostra come soluzioni semplicistiche possono portare solamente a soluzioni inadeguate con effetti inaspettati come il “rebound effect”, ovvero la tendenza di una persona o di una società a consumare più risorse o a produrre più emissioni di gas serra a seguito di una riduzione o di un miglioramento dell’efficienza energetica.
Inoltre, la crisi ambientale si accompagna anche da altri cambiamenti o “megatrend” che ne aggravano la portata[5]: l’ “ageing population”, ovvero l’innalzamento dell’età media della popolazione; la crescita continua della popolazione che dovrebbe arrivare a circa 9,7 miliardi di persone entro il 2050; la scarsità di risorse primarie in particolare le “terre rare”, che sono materiali chiave per la transizione; il cambiamento degli equilibri geopolitici tra i paesi occidentali e il “global South”; il cambiamento valoriale e di stile di vita; lo sviluppo digitale e tecnologico.
Sebbene la transizione ambientale necessiti di informazioni tecniche, ingegneristiche e scientifiche, queste sole non sono sufficienti: la narrativa della crisi ambientale riguarda la persona nella sua totalità, come singolo e comunità. La transizione necessita quindi di cambiamenti più profondi nei desideri, nelle motivazioni e negli stili di vita. L’azione di comprensione e di riflessione sul rapporto persona e ambiente non è una azione scientifica ma anche filosofica e spirituale. Scrive Byron Williston[6]: riflettere sul proprio ruolo in una crisi ambientale, è una riflessione metafisica, ovvero sulla struttura fondamentale dell’esistenza e della realtà. Occorre quindi credere alla sostenibilità ambientale, convertendo il nostro stile di vita e creando una narrativa, intesa come la narrazione necessaria del presente, che sia capace di accompagnarci per trovare un senso.
Le narrative, utilizzate oggi per raccontare la crisi ambientale e generare cambiamento, sono parziali. Si pensi alla “Gore narrative” o alla “green economy” [7]: la prima pone l’accento sul trasmettere informazioni scientifiche sul cambiamento climatico e la transizione, senza però tenere conto che le persone non sono contenitori vuoti, ma interpretano le informazioni secondo la propria scala valoriale e le nozioni precedentemente acquisite. Di conseguenza, il risultato di questa narrativa non è spesso quello desiderato, poiché non basta spiegare i numeri della crisi per attivare un cambiamento personale. In maniera simile anche la narrativa della “low-carbon Technologies” ripone la fiducia nello sviluppo tecnologico, nella speranza che un manufatto tecnologico possa sostituire gli sforzi personali richiesti al “cambio di passo”. La narrativa della “green economy” invece enfatizza solo il carattere economico (sia di costi che di potenziali guadagni) della transizione. Raramente si accetta di cambiare il modello economico attuale con quello circolare; la rassicurazione e la motivazione rimangono quelle di garantire crescita economica.
La diffusione di narrative parziali genera polarizzazione e antagonismo tra le persone e le comunità, invece di generare empatia e cercare di connettersi per comprendere le istanze dell’altro. Altre conseguenze delle narrative attuali sono: (1) rafforzamento delle pratiche convenzionali; (2) incapacità di sfidare il modo di pensare convenzionale; (3) creazione di una sostenibilità diffusa fatta di “enclave” incompatibili con politiche comunitarie e scalabili; (4) tendenza a rimanere in chiave ipotetica perché incapace di sostituire nell’immediato gli stili di vita.
La divergenza tra la retorica che circonda gli obiettivi della transizione e l’azione necessaria per raggiungerla è ben visibile nello scarto esistente tra le politiche attuali e quelle che sarebbero invece necessarie per contenere l’innalzamento globale della temperatura nei limiti definiti a Parigi nel 2015. Questa discrepanza tra narrativa e prassi politica va a minare la credibilità del processo di transizione, che invece è essenziale per sviluppare un’azione coordinata per intervenire sulle cause e sugli effetti del cambiamento climatico.
Abbiamo bisogno di una narrativa che connetta tutti gli aspetti della nostra vita e ci aiuti a trovare un senso, ad unirci creando un sentimento di “comunione”. La narrativa giusta deve colmare lo scarto tra azione e politiche, deve agire da “enzima” della transizione, spiegando quanto il cambiamento climatico sia urgente e perché dobbiamo tutti agire e cambiare il nostro stile di vita ad alta intensità di carbonio. Abbiamo bisogno di una narrativa che agisca come un filo rosso, conduttore, capace di attraversare e connettere tante storie diverse. Una narrativa che possa essere declinata in tanti contesti differenti e possa “unificare” tutte le diverse voci del dibattito contemporaneo.
Il primo passo per creare narrative olistiche è il re-inserimento del carattere spirituale e valoriale della transizione ecologica. La sfera spirituale può creare senso e fornire una narrativa adeguata. L’expertise tecnica è fondamentale per creare politiche che aiutino a risolvere la crisi ambientale, secondo l’idea platonica di “epistocrazia”, ma queste politiche possono essere efficaci solo se alimentate “dalla cura e dall’amore” per l’ambiente, come scritto da Agostino in La città di Dio. L’importanza dell’amore e della cura è centrale in ogni processo di conoscenza, così come il modo in cui questi stati affettivi devono essere allontanati dal sé per poter abbracciare una dimensione più ampia che vada oltre l’individuo, anche se un amore rivolto all’esterno è sempre in competizione con l’amore di sé. Questo conflitto fondamentale tra le cose a cui teniamo di più è al centro anche della crisi climatica. Agostino in De Civitate Dei ci mostra come l’amore e la cura siano la vera forza della “Città di Dio”. In questa città si vive l’amore “sociale”, un legame di cittadinanza, di una relazione politica che, per definizione, è pubblica e non privata.
Jaime Tatay Sj[8] ha recentemente illustrato le dieci dimensioni spirituali che possono aiutare a creare una narrativa migliore. In particolare, la dimensione comunitaria, ascetica, profetica e sapienzale della nostra spiritualità possono aiutare a superare le narrative frammentate di piccole azioni individuali, a orientare il singolo nella complessità delle forze in gioco e a ridare peso alle azioni coordinate di comunità. Le azioni comunitarie sono molto più efficaci, perché moltiplicano gli sforzi individuali. La dimensione comunitaria trasmette nella crisi un senso di appartenenza più grande, direziona l’azione individuale verso un bene comune, un bene più grande, e crea relazioni che possono riuscire a radicare nella persona un ethos della responsabilità. La dimensione ascetica aiuta la contestazione della “cultura dello scarto” orientando verso un’economia circolare. La dimensione ascetica non va strumentalizzata e vissuta come ricerca dell’essenzialità fine a sé stessa, ma come premessa per la riscoperta una dimensione di relazione, ad esempio comunitaria. La dimensione profetica della nostra vita spirituale aiuta invece a comprendere il rapporto tra la crisi ambientale e l’ingiustizia sociale, proponendo un doppio “ascolto”: quello della Terra e dei poveri, necessario per immaginare soluzioni “giuste” per la transizione. Infine, la dimensione sapienziale, che supera la frammentazione attuale dei saperi tra scientifici, tecnici, pratici e sociali ed aiuta a costruire una visione del mondo olistica in grado di creare coesione sociale, di individuare le vere necessità energetiche della persona, di spostare la fiducia nella tecnologia alla comunione dei saperi e delle relazioni.
Il compito di diffondere e far assimilare i risultati delle ricerche scientifiche sulla sostenibilità richiede un’alfabetizzazione ecologica, lo sviluppo di nuove tecnologie e di conoscenze scientifiche. Tuttavia questo sforzo esige anche una spiritualità profonda, che sostenga l’impegno sociale e politico. I vari dualismi introdotti dalla modernità – fra spiritualità e lavoro, scienza e religione, res extensa e res cogitans, ecc. – hanno ostacolato l’emergere di visioni olistiche della realtà, così come il dialogo fra sapere scientifico e spiritualità. Torna attuale la tradizione monastica, che armonizza vita attiva e contemplazione, e l’agire contemplativo di Sant’Ignazio.
[1] Paul Ricoeur, “Time and Narrative”, University of Chicago Press, 1984
[2] Michel Foucault, “The Order of Things: An Archaeology of the Human Sciences”, Routledge, 2002
[3] Hayden White, “Metahistory: The Historical Imagination in Nineteenth-Century Europe”, Johns Hopkins University Press, 1973
[4]Stager, C. (2011). Deep Future: The Next 100,000 Years of Life on Earth. New York: Harper-Collins.
[5] EEA Report No 25/2019
[6] Byron Williston, Philosophy and the climate crisis: how the past can save the present, Routledge, 2021
[7] Bushell S. et al. “Strategic narratives in climate change: Towards a unifying narrative to address the action gap on climate change”, Energy Research & Social Science Volume 28, June 2017, Pages 39-49
[8] Jaime Tatay Sj. “Credere nella sostenibilità: un approccio interreligioso all’ambiente”, Novembre 2019, Aggiornamenti Sociali.