di Fabrizio Urbani Neri

Dei tre grandi principi sui quali è nato lo Stato moderno, la libertà, l’uguaglianza e la fraternità, quest’ultimo è certamente il più dimenticato. Persino la nostra Costituzione pone la libertà (art.2) e l’uguaglianza (art.3) tra i principi fondamentali, ma non dedica spazio alla tutela della fraternità.

Eppure, l’essere fratelli, oltre che un afflato religioso, è (o dovrebbe essere) un carattere che accomuna laicamente tutti gli esseri umani. C’è, infatti, differenza tra fratellanza e fraternità: la fraternità è un valore “orizzontale”, riguarda indistintamente tutte le persone, è connaturata all’essere umano, è ontologica alla sua esistenza, laddove la fratellanza è un valore “verticale” (religioso, pensiamo all’Islam), che riguarda chi appartiene a un credo o ad un gruppo chiuso (il cameratismo) e quindi sta bene su ogni habitus.

Ovviamente, noi cattolici e noi di Connessioni proponiamo il “sentirsi fratelli” come atteggiamento e stile esistenziale, come virtù, che appunto affratella ogni vivente ed ogni creatura: in questo senso la fratellanza genera dalla fraternità, come la misericordia genera dal sentirsi tutti coinvolti in un medesimo destino esistenziale, essendo tutti nello Spirito figli dello stesso Padre.

La mancanza, nondimeno, di una regola che sottolinei l’importanza della fraternità non è senza conseguenze, innanzitutto, sul piano del diritto. Di recente, ad esempio, la Corte Costituzionale (sentenza 262/2020) ha ritenuto incostituzionale l’indeducibilità dell’Imu sugli immobili strumentali (in pratica, per intenderci l’Imu che si paga sui capannoni industriali) dal reddito d’impresa, prevista da una norma per l’anno 2012. Il legislatore aveva previsto quella norma per fare fronte ad una grave crisi economica, evitando che alcuni costi delle imprese, peraltro non collegate ad un’attività produttiva, ma consistenti nel mero pagamento di imposte, gravassero interamente sulla collettività. Ma tant’è, la Corte ha inteso la solidarietà fiscale ex art. 53 Cost. nel senso che siano i cittadini ad accollarsi il carico fiscale delle imprese in un periodo di profonda crisi economica.

Ora, a parte l’interpretazione liberista alla quale tale assunto potrebbe condurre (prima si salvaguarda il mercato, poi la società), ciò che sembra emergere da questa lettura degli eventi, è una sostanziale discriminazione tra fratelli (nel linguaggio giuridico, i consociati) della stessa comunità. Si badi bene, il tutto in linea con la Costituzione che tutela la libertà d’iniziativa economica e l’uguaglianza (nella fattispecie tra chi usa beni di sua proprietà e chi usa immobili presi in locazione), ma non, appunto, la fraternità.

Ma in fin dei conti cosa sarebbe questa fraternità? Per la dottrina sociale della Chiesa essa è la “piena cittadinanza”, – come si legge nella recente enciclica Fratelli tuttiche esige una governance globale che avvii progetti a lungo termine, andando oltre le singole emergenze (132), in nome di uno sviluppo solidale di tutti basato sul principio della gratuità. La fraternità è pensarsi come “una famiglia umana” (139-141), dove il tutto è più delle singole parti, ma ognuna di esse è rispettata nel suo valore (145-146). Già il personalismo negli anni Sessanta aveva messo in guardia la società dall’«immenso fallimento della fraternità umana» (Mounier, Il Personalismo, 57), ossia dal relazionarsi con l’altro basato sui bisogni di possedere e di sottomettere.

Lo scetticismo è dietro l’angolo: il diritto, come pare, non sembra in grado di tutelare la “giusta relazione” tra le persone, apparendo più sensibile alla tutela dei bisogni di categoria (ed a volte del più forte); né la morale comune, ormai imperniata sull’immagine e sul consumo, sembra attenta al tema del contesto; né infine, la società, come nell’attuale pandemia, sembra offrire modelli alternativi che sappiano smentire il fatto che ormai abbiamo perso il senso di sentirci parte di un tutto.

Il pensiero del secolo scorso ha esteso fino al possibile la tutela dell’Altro mediante la nozione di solidarietà: la Costituzione italiana, nel ricordato art. 53 ed ancor più nell’art. 2, da un lato, garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e, dall’altro, esige il rispetto dei «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»; il Preambolo del Trattato sull’Unione europea (TUE) prevede che gli Stati membri promuovano la solidarietà tra i loro popoli, in quanto la solidarietà è uno dei «valori comuni agli Stati membri» su cui si fonda l’Unione, che deve promuoverlo tra gli Stati membri e, nelle relazioni internazionali, tra i popoli (art. 2, 3, 21 e 24); il Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE) ribadisce che «le politiche dell’Unione e la loro attuazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri» (art.80).

Ma nella sua radicale accezione, la solidarietà è sempre l’aiuto che il forte dà al debole e viene meno, laddove, come nell’attualità troppo spesso accade, la forza è a servizio della sopraffazione. Per questo la solidarietà, che potrebbe essere intesa quale declinazione novecentesca della fraternità, oggi non è più sufficiente!

La fraternità allora dovrebbe acquisire lo status di principio di ordine sociale, etico e giuridico e costituire l’antidoto ai tre mali del mondo di questi giorni, l’individualismo sul piano giuridico, l’egocentrismo sul piano etico ed il narcisismo sul piano psicologico. Saprà questa generazione raccogliere la sfida del proprio tempo?

La fraternità, è vero, in fin dei conti è un concetto trascendente, che rimanda al riconoscimento della comune paternità di Dio. Tuttavia, come detto, essa è universale e accomuna tutti come fratelli, vuole eliminare gli ostacoli naturali e storici che ci separano. In sintesi, il terzo termine, che apparve secoli fa nella bandiera della Rivoluzione Francese (Liberté, egalité, fraternité), ha una storia lunga alle spalle, ma un divenire ancora da progettare nel futuro.