La violenza iniziata il 7 ottobre 2023 con gli attentati di Hamas contro Israele, seguita dall’intervento militare israeliano nella Striscia di Gaza, è una grande crisi per l’intera umanità, costituendo una grave minaccia per il mediterraneo allargato, con ripercussioni globali.
La Guerra in corso si è velocemente allargata, con scontri in Siria, in Iraq e nel Mar Rosso e con i gravi attentanti in Iran ed in Russia ad opera dell’Isis-K, tutti eventi collegati allo scontro tra Israeliani e Hamas.
La guerra tra Israele e Hamas ha in effetti rivitalizzato l’Asse della Resistenza guidato dall’Iran che include gli Hezbollah in Libano, gli Houthi in Yemen, Hamas e il Movimento per il jihad islamico palestinese, nonché varie milizie filo-iraniane operanti in Siria e in Iraq.
Questa coalizione, centrata sul regime di Teheran, rende le prospettive di un’escalation decisamente preoccupanti.
A seguito degli scontri a Gaza, le azioni militari degli Houthi hanno danneggiato i flussi commerciali di aziende commerciali attraverso il Mar Rosso, causando importanti conseguenze economiche a livello internazionale, principalmente dei paesi occidentali.
L’acuirsi degli scontri nel Mar Rosso ha indotto i paesi occidentali a predisporre varie missioni diplomatico-militari volte alla salvaguardia dei percorsi marittimi, come l’operazione europea Aspides a guida italiana.
Al riguardo, si rileva come, a seguito della ripresa dei rapporti diplomatici tra Arabia Saudita e Iran, la posizione dei paesi musulmani del medio Oriente e nord Africa sia compatta nel sostenere il popolo palestinese e condannare le operazioni militari di Israele, minando alle basi il processo di pacificazione dei paesi medio orientali promosso dagli accordi di Abramo del 2020 e la strategia statunitense di sviluppo dell’area mediante il riconoscimento di Israele e la cooperazione di Tel Aviv con i paesi musulmani Sunniti.
In questo scenario, l’Arabia Saudita, storicamente, intrattiene stretti rapporti nel settore della difesa con gli Stati Uniti, mentre l’Iran ormai dal lontano 1979 ha azzerato quasi completamente i rapporti diplomatici con Washington e rappresenta alleato stabile della Russia.
Tale accordo è stato agevolato dal lavoro diplomatico e di mediazione della Repubblica Popolare Cinese, la quale, ponendosi come alternativa in una prospettiva bipolare del sistema internazionale, persegue una politica estera volta alla critica aperta del modello statunitense, accusato di perseguire una visione di egemonia politica, economica e culturale.
Inoltre, il ritiro delle truppe americane dell’Afghanistan del 2021 e la presa del potere dei Talebani, forza sunnita, hanno spinto l’Iran a cercare una pacificazione con i paesi sunniti guidati dall’Arabia Saudita, al fine di evitare un pericoloso accerchiamento di forze ostili sui propri confini orientali e occidentali.
In questa prospettiva, l’attacco del 7 ottobre 2024 può essere interpretato come l’effetto della volontà di formazioni estremistiche di far saltare il progetto di pacificazione del Medio Oriente proposto dagli Stati Uniti, nel momento del riavvicinamento delle super potenze del mondo musulmano Arabia Saudita e Iran.
Dopo il grave attacco di Hamas, gli USA hanno effettuato un grande sforzo diplomatico e militare volto nel breve periodo a garantire il sostegno ad Israele, ponendo azioni di deterrenza al fine di evitare il coinvolgimento di ulteriori forze della regione nel conflitto.
Con il passare dei giorni e dall’esacerbarsi del conflitto, gli Stati Uniti hanno cambiato la propria postura, sollecitando percorsi diplomatici tra le parti mediante il coinvolgimento diretto dei paesi alleati della regione, quali Qatar ed Egitto, e andando sempre più ad assumere una posizione umanitaria volta alla tutela delle persone colpite dalla Guerra.
Dall’altro lato, la Cina ha assunto una posizione di aperta critica ad Israele, non subendo alcun effetto negativo dagli attacchi degli Houthi alle proprie navi e dunque, indirettamente acquisendo un vantaggio commerciale nello sviluppo della propria rete mercantile marittima.
Ed ancora, la Russia, nel manifestare piena condanna alle azioni condotte da Israele, ha sostenuto l’asse della resistenza guidata dall’Iran, rinsaldando le proprie alleanze militari ed i propri interessi geopolitici nella regione, in particolare in Siria, la quale rappresenta importante sbocco militare ed economico nel mediterraneo.
Al contempo, Mosca ha subito un grave attacco terroristico da parte dell’ISIS-K, fazione terroristica sunnita, in aperto conflitto con l’Iran e con i paesi suoi alleati.
Nel decennio 2010-2020, da un lato Iran e Russia, dall’altro le forze occidentali a guida statunitense e saudita sono stati impegnati nella guerra contro l’ISIS in Siria e in Iraq, risultando determinanti nella caduta del Califfato islamico instauratosi nella regione.
A seguito dell’inizio del conflitto a Gaza, inoltre, il 3 gennaio 2024, l’Iran è stato colpito da un grave attentato terroristico, ad opera dell’ISIS, a Kerman presso la tomba di Soleimani, causa di 84 morti e 284 feriti.
Nella crisi mediorientale, la posizione europea non è compatta, i singoli Stati membri assumono posizioni condizionate dai singoli interessi e relazioni, senza una strategia e visione unitaria, così come accaduto nel corso della votazione tenutasi presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 12 dicembre 2023 in merito alla proposta di una tregua umanitaria.
La politica estera europea non essendo unita, coerente e decisa, rischia di risultare irrilevante nel complesso e fragile scenario geopolitico.
La crisi mediorientale, oltre a provocare gravi danni ai commerci marittimi europei, così come rilevato in merito all’instabilità del Mar Rosso, potrebbe essere la scintilla per il riacuirsi di ulteriori atti di terrorismo, anche all’interno dei confini europei.
E’ opportuno evidenziare come il contesto del fondamentalismo islamico non sia omogeneo e le diverse organizzazioni siano spesso in aperto contrasto tra loro.
Nel dettaglio, Hamas, gli Hezbollah e gli Houthi hanno matrice sciita e si caratterizzano per il perseguimento di obiettivi limitati alle proprie aree di interesse, collaborando per fini condivisi, quale ad esempio il non riconoscimento dello Stato d’Israele.
Dall’altro lato, il terrorismo islamico sunnita è diviso in Al Qaeda e ISIS, le quali sono organizzazioni con vocazione internazionale capaci di federare gruppi eterogenei, ma animate da radici profondamente differenti.
Se per Al Qaida la creazione del Califfato sarà l’approdo finale della strategia del terrorismo che porti tutta la popolazione araba a insorgere contro l’Occidente e a creare uno Stato islamico, per l’ISIS la creazione di uno Stato islamico è già una realtà e tutti i musulmani dovrebbero riconoscere e difendere una comunità già esistente.
Dunque, ISIS e Al Qaeda sono in aperta competizione tra loro e, in alcuni casi, in guerra.
In Afghanistan, Al Qaeda sostiene il potere dei Talebani, mentre l’Isis, nella sua fazione Khorasan, è in aperto contrasto con il potere talebano ponendo azioni terroristiche e di guerra, come nel caso dell’attentato all’aeroporto internazionale Hamid Karzai di Kabul del 26 agosto 2021.
Nell’attentato sono state uccise almeno 180 persone, in gran parte civili afghani.
Per motivi diversi, interesse comune delle organizzazioni terroristiche è la non pacificazione del Medio Oriente, il capovolgimento del potere degli attuali governi della regione e la diffusione dell’instabilità anche in Europa.
I fenomeni terroristici di natura islamica potrebbero crescere esponenzialmente colpendo principalmente quegli Stati che negli anni hanno appoggiato alcune fazioni terroristiche a discapito delle altre o che si sono impegnate in guerre contro organizzazioni estremiste.
La Turchia e l’Arabia Saudita posso essere considerati paesi ad alto rischio in ragione del ruolo di leadership assunto negli ultimi anni.
Ed ancora, non è da escludersi che l’ISIS, approfittando dell’instabilità della regione, riaccenda il conflitto in Iraq ed in Siria.
Questo scenario complesso di contrapposizione di Stati e fazioni terroristiche dimostra in maniera evidente la fragilità del sistema politico internazionale.
Al fine di evitare l’aumento di azioni terroristiche capace di minare i diritti dei popoli, tutti gli Stati sono chiamati a rinunciare alla logica del predominio e del perseguimento dell’interesse, abbracciando la strada del dialogo, della fraternità e della pace.
Le parole di Paolo VI nel suo celebre discorso alle Nazioni Unite del 4 ottobre 1965 ci ricordano che “Non si può essere fratelli, se non si è umili. Ed è l’orgoglio, per inevitabile che possa sembrare, che provoca le tensioni e le lotte del prestigio, del predominio, del colonialismo dell’egoismo; rompe cioè la fraternità”.
La risoluzione 2728 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 25 marzo 2024 rappresenta un segno di speranza e di consapevolezza, segnando un primo passo verso la pace e la convivenza dei popoli.
Infatti, gli Stati Uniti hanno deciso di non esercitare il diritto di veto, permettendo l’approvazione di una risoluzione che prevede il cessate il fuoco a Gaza e il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi, votata anche da Russia e Cina, fuggendo dalla logica della contrapposizione ad ogni costo.
Al contrario, l’attacco del 1 aprile da parte di Israele al consolato Iraniano di Damasco e la dura offensiva dell’Iran su territorio Israeliano del 13 aprile rendono evidente come le potenze regionali, offuscate dai propri interessi di parte, non riescono a comprendere la necessità di una pacificazione dell’area.
La comunità internazionale ha il dovere urgente di ricomporre i conflitti nel rispetto delle regole condivise, altrimenti si fa concreto il rischio di una insicurezza sempre più diffusa, non gestibile dai singoli Stati.
Le grandi potenze devono riavviare tavoli diplomatici e negoziali, facendo tacere le armi ed impegnandosi in una lotta comune agli estremisti.
L’Europa, con una politica estera unita, coerente e decisa, potrebbe svolgere un ruolo centrale in quanto testimone nella Storia di una pace che dura da oltre 70 anni.
Il perseguimento del benessere e dello sviluppo del singolo Stato trovano un limite invalicabile nel rispetto dei diritti fondamentali non della Nazione ma dell’uomo, di tutti gli uomini, in una condizione universalistica che ci impone di intervenire per costruire la pace.