di Michele Tridente*

 
 
Passata la fase più acuta dell’emergenza sanitaria, si inizia a ragionare su come accompagnare la ripartenza economica e sociale del Paese. Lo scenario, a tinte fosche per l’economia globale, per l’Italia è quasi inquietante. All’interno dell’Unione, solo la Grecia (-9,7 %) dovrebbe subire una riduzione del PIL superiore all’Italia (-9,5 %). Con il “Decreto Rilancio”, il governo ha messo in campo risorse per 55 miliardi con interventi a favore di cittadini e famiglie, lavoro e imprese. Il quadro è reso molto complesso dai problemi strutturali del sistema economico italiano: bassa crescita e debito elevato, troppa burocrazia, divario tra nord e sud del Paese e difficoltà ad operare un reskilling delle competenze. Ed è indubbio che in questa fase l’obiettivo è quello di ridurre gli effetti negativi dello shock e stimolare la ripartenza dei settori più provati dalla crisi.
 
Ma si tratta anche di stimolare la rinascita di tutte le forme di capitale depauperate dalla crisi. Non solo il capitale economico, ma anche quello umano e quello sociale. Ci chiediamo quali possano essere alcuni degli interventi per una ripartenza del Paese.
 

  • È necessario un piano straordinario di investimenti pubblici e privati a medio lungo termine da attivare rapidamente, utilizzando i fondi di coesione ancora non utilizzati per progetti nelle aree meno sviluppate.
  • Occorre dare un colpo alla troppa burocrazia e all’inefficienza della PA perché norme complesse non hanno sconfitto la corruzione e hanno bloccato il paese. Anche in questi mesi, la difficoltà ad accedere ad alcune forme di sostegno pubblico ha mostrato che il “fattore tempo” è importante almeno quanto l’importo delle misure.
  • Bisogna investire in ricerca e sviluppo su cui vi è un gap importante con gli altri paesi europei e porre fine ai disinvestimenti in sanità (soprattutto di base) ed educazione di cui abbiamo visto gli effetti negativi in questi mesi.
  • Bisogna accelerare la transizione digitale al fine di ridurre il digital divide tra persone e aree geografiche e migliorare l’utilizzo di forme di lavoro agile con evidenti benefici correlati sotto l’aspetto della conciliazione vita-lavoro e della riduzione dell’inquinamento delle aree urbane.
  • È necessario sostenere chi versa in povertà assoluta: si stima che la crisi genererà un milione di nuovi poveri ed è fondamentale che lo stato torni a fare welfare in modo sistematico, seppur in sinergia con il mondo del volontariato e del terzo settore che non va lasciato solo.
  • Si tratta poi di non immaginare che la ripartenza sia in conflitto con quello che molti hanno chiamato un Green New Deal, uno sviluppo sostenibile anche dal punto di vista ambientale (si pensi a un piano per le politiche abitative, il risparmio energetico e la rigenerazione urbana).

 
La sfida è tenere insieme la risposta all’emergenza e la ricostruzione strategica a lungo termine che non può prescindere da una visione di futuro orientata a uno sviluppo integrale della persona e della comunità. È necessario per questo rilanciare una visione comunitaria che vada oltre le molteplici (e spesso in conflitto) esigenze corporative del nostro Paese.
 
 
* vicepresidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana per il Settore giovani
m.tridente@azionecattolica.it