Tommaso GaleottoUna domanda, più di tutte, domina il momento di crisi politica che stiamo vivendo: quale destino per l’Europa?A mio avviso non si può dare una risposta di speranza a questo interrogativo se non facendo sì che l’azione politica dell’Unione venga nuovamente ispirata e fondata sui suoi principi costitutivi di solidarietà, pace e condivisione. Nel suo libro Da Fuori. Una filosofia per l’Europa, Roberto Esposito scriveva: “La crisi che attraversa l’Europa […], prima ancora che un significato storico-politico, ha un rango metafisico. Essa si esprime in una dimenticanza della propria identità costitutiva che blocca ogni possibilità di sviluppo. L’unico modo per superare tale strozzatura è quella di riappropriarsi dell’origine perduta, rinnovandola in un nuovo inizio”.[1] Sono tre le parole che è importante trattenere da questa citazione: crisi, dimenticanza e identità. Potremmo addirittura inserirle in un circolo per cui la dimenticanza della propria identità porta inevitabilmente ad una crisi che, prima ancora di essere storica, politica e istituzionale, sarà ideale. Dunque, la via da seguire per un nuovo inizio è quella di riconoscere i propri caratteri costitutivi per riaffermali nel proprio agire politico. Qual è, però, l’identità costitutiva originaria dell’Europa di cui (almeno apparentemente) ci dimentichiamo? Di certo, non possiamo parlare di identità europea se non intendendola come unità nella diversità. Dove i principi di solidarietà, pace e condivisione tra i popoli, che sono all’origine dell’Unione europea come istituzione, ne rappresentano il collante tra i suoi elementi.Ciò che invece risulta più enigmatico da comprendere è il concetto di crisi europea. Essa, a mio avviso, può essere intesa sotto un duplice aspetto. Da una parte, può essere considerata come una crisi istituzionale e politica, sintomo di una crisi ideale più profonda. Dall’altra, la crisi può assumere un’accezione positiva, in quanto l’Europa, proprio in virtù del suo essere unità nella diversità, possiede in sé una tensione continua la quale rappresenta il suo motore di progresso e di avanzamento. Il primo aspetto mette in luce che le istituzioni e gli ingranaggi dell’Unione sembrano non riuscire più a rispondere con efficacia alle esigenze dei popoli e a sostenerli nei loro drammi e nel loro cammino. Le vicende odierne della crisi sanitaria ed economica causata da COVID-19, scoprono i nervi di un’Europa ancora poco capace di fare quel passo in più verso una solidarietà piena e reale in cui domini totale fiducia reciproca tra i Paesi. Certo, è una sfida ambiziosa e la fiducia va guadagnata. Ma questo è l’unico modo in cui l’Europa potrà fare la differenza, non soltanto in casa ma anche a livello mondiale, dimostrandosi all’altezza del suo ideale originario. Permettendo quindi che quella fiducia possa essere costruita insieme, ed evitando che vada persa per sempre. Nella drammatica situazione in cui ci troviamo oggi, tante persone avvertono un forte distaccamento tra le istituzioni e il popolo che esse dovrebbero rappresentare. Ciò è ulteriormente rimarcato dal linguaggio antieuropeista, per cui viene portata all’estremo questa distanza che intercorrerebbe tra i “palazzi di Bruxelles” e i singoli Stati membri lasciati alla deriva. Il primo passo è dunque quello di recuperare la fiducia di queste persone, attraverso un impegno politico che possa dimostare la vicinanza delle istituzioni ai cittadini e ai Paesi più in difficoltà. Ciò può avvenire se la crisi da momento drammatico si trasforma in occasione di rinascita. In questo senso essa può venire intesa come “generativa” ed essere motore di progresso. Ciò accade quando il conflitto e il dibattito politico, democraticamente istituzionalizzato, vede i suoi diversi attori agire e confrontarsi (anche aspramente) guardando e facendo fede ad un ideale comune, nonché i principi di cui accennavamo prima. Per comprendere ancor meglio che cosa intendo con “crisi generativa”, vorrei citare uno dei padri fondatori dell’Unione, Jean Monnet, il quale diceva: “l’Europa sarà forgiata dalle sue crisi, e sarà la somma delle soluzioni trovate per risolvere tali crisi”.[2] Questa affermazione ci pone di fronte all’evidenza che, proprio per l’ambizione che l’Europa ha di essere unità nella diversità, il concetto di crisi è qualcosa a lei connaturato. Sarebbe pertanto illusorio liberarsene una volta per tutte. Dalle crisi essa è sorta (le due guerre mondiali) ed è attraverso il loro superamento che proseguirà il suo viaggio, cercando al loro interno le ragioni di una rinascita. Certo, serve coraggio. Ma la grande missione per cui l’Europa è nata di mettere insieme le sue diversità in nome di un ideale comune, non può essere abdicata proprio adesso.

L’Europa è qualcosa in continua evoluzione che non può procedere per inerzia, essa necessità di un’azione continua, individuale e comunitaria, per potere andare avanti. Ad esempio, sul piano giuridico-istituzionale, è solo attraverso la volontà dei singoli Stati membri che l’Europa può acquisire i poteri, espandersi e via dicendo. Capiamo dunque l’importanza che la nostra azione abbia un ideale al quale rifarsi, poiché, senza un’identità comunitaria e senza quei principi di cui parlavamo prima, essa diventa mera fabbricazione, come affermato da Hannah Arednt in Vita Activa. Ossia un’azione svuotata di ogni ideale che degenera in mero tecnicismo.

Dunque, alla domanda con cui siamo partiti, “quale destino per l’Europa?” un’ipotesi di risposta è che: può esserci un futuro per l’Unione europea, solo se verrà recuperata la sua narrazione originaria fondata sui principi di solidarietà, pace e condivisione, e facendo sì che la sua azione politica trovi ispirazione da questi stessi principi. Utilizzando gli strumenti a sua disposizione come l’economia, la giurisprudenza e la politica, al servizio di essi. Ciò non significa essere nostalgici, bensì memori della propria storia per la costruzione del futuro.

[1] R. Esposito, Da fuori. Una filosofia per l’Europa, Einaudi, Torino, 2016, p. 23
[2] Da le Memorie di Jean Monnet