Lo studio ha un ruolo essenziale all’interno della formazione della persona. Ad una diffusa consapevolezza dell’impegno e del sacrificio richiesti allo studio, si accompagna una scarsa riflessione sull’importanza che lo studio ha per la crescita e formazione della persona, a prescindere dalla materia studiata e dai suoi risultati, come ad esempio il conseguimento di un lavoro e di un titolo[1].

Eppure, lo studio è soprattutto il mezzo con cui aprire i nostri cuori allo stupore, spalancare la nostra mente all’alterità e abituarci a cercare la verità con metodo e competenza per porla al servizio della comunità. In questo senso, si potrebbe dire che lo studio è un esercizio di carità universale[2]. In questo lo studio delle materie scientifiche, le scienze naturali, fisiche e tecnologiche, non si allontana dalle materie umanistiche: anch’esso ricerca un senso, insegna un metodo in cui l’umiltà, la disponibilità e l’apertura sono fondamentali.

Tuttavia, oggi, l’insegnamento della Scienza sembra essersi discostato da questi principi fondativi. Per capire cosa riformare nell’educazione alla Scienza, occorre innanzitutto chiedersi: qual è oggi il ruolo della Scienza nella formazione dei ragazzi dalla scuola dell’obbligo all’Università? Qual è il ruolo della formazione, ovvero dell’insegnamento, in chi fa Scienza? A quale servizio e responsabilità verso la comunità rimandano entrambi?

Nel cercare una risposta, partiamo dall’insegnamento delle materie scientifiche nelle scuole. Spesso l’insegnamento delle materie scientifiche si riduce a nozioni da imparare a memoria, mentre si dimentica di insegnare il “metodo”, che consiste nel vedere con occhi nuovi il mondo circostante, sviluppando capacità critiche e creative. Ridurre lo studio alla memoria è evidentemente inefficiente: gli studenti, con il passare del tempo, non si ricorderanno delle formule, ma solo dell’approccio alla risoluzione dei problemi.

Occorre invece insegnare ai ragazzi e alle ragazze a “dimenticare” per poter ricordare o, in altre parole, a ricostruire ciò che si è studiato tramite la sua logica sottostante. Insegnare la Scienza significa quindi, innanzitutto, insegnare a porsi domande e a cercare possibili risposte. Studiare serve anche per imparare a reagire, dibattendo dentro di sé le conoscenze acquisite ed operando una trasformazione interiore. In questo modo, il metodo scientifico diventa lievito per la formazione della persona aiutandoci a scoprire la nostra vocazione.

Una maggiore attenzione sul metodo aiuterebbe ad appassionare un maggior numero di studenti e, soprattutto, di studentesse alle materie scientifiche, andando ad aumentare anche il numero di iscritti alle facoltà scientifiche dopo la scuola superiore. Chi si appassiona di Scienza, infatti, non lo fa perché interessato a nozioni da imparare a memoria, ma perché prova meraviglia e stupore verso il mondo che lo circonda e possiede la consapevolezza che, dentro di sé, ha a disposizione il metodo con cui poterlo decifrare.
 
Per sviluppare questa consapevolezza sarebbe utile insegare il metodo scientifico fin dalla prima età con attività “hands on”, utilizzando il gioco e i robot didattici. Si è infatti osservato che quando da piccoli si è stati stimolati all’uso della logica e della creatività, da grandi si è più predisposti verso lo studio e l’approfondimento delle Scienze. Il divario tra generi inizia proprio nel mondo dei giochi, dove occorre sostituire i giochi per le bambine, legati al ruolo domestico e familiare, con attività che ne stimolino le capacità scientifiche. Anche nell’educazione alla Scienza una visione europea, piuttosto che nazionale e autoreferenziale, è la strategia vincente. Guardare ad altri modelli d’insegnamento può aiutarci infatti ad integrare prospettive diverse nel nostro sistema didattico.

Da un confronto tra sistema didattico italiano e finlandese, ad esempio, si possono trarre alcuni spunti di riflessione sull’importanza della multidisciplinarietà e di metodi di verifica alternativi. Il coraggio di sperimentare ha portato il sistema didattico finlandese in cima alla classifica OCSE nel 2020. Questo successo è dovuto in parte ad una riforma del 2015, che ha sostituito le lezioni frontali con sessioni innovative dove allievi e insegnanti lavorano in maniera collaborativa, superando il concetto di materia come insegnamento mono-disciplinare e proponendo sessioni multidisciplinari. Insegnanti e allievi decidono insieme gli argomenti da approfondire e sviluppare e, una volta individuato, l’argomento viene affrontato in chiave interdisciplinare. In questo modo, fin dai primi anni, si insegna ai ragazzi ad osservare e ad affrontare i problemi da più prospettive, integrando le conoscenze acquisite in singole materie per poter leggere le sfide multidisciplinari della vita.

Un altro aspetto molto interessante è l’abolizione del voto fino all’età di tredici anni, dando a chi è più indietro la possibilità recuperare senza abbattersi, ma imparando a studiare per sé stessi, per il piacere della scoperta invece che per la valutazione. Questo è un principio presente anche nel modello olandese, dove la connessione avviene prima della correzione: “connection before correction”[3]. Questo significa, ad esempio, chiedere alle studentesse e agli studenti quale approccio abbiano seguito per la risoluzione di un problema prima di focalizzarsi sugli errori. Significa, proprio come ricordava Paolo VI, stare «in mezzo agli studenti, ascoltandoli, cercando di comprenderli, facendo del nostro meglio per aiutarli a scoprire la verità»[4]. Significa dare spazio ed ascoltare prima ancora di insegnare una nozione, accompagnare studentesse e studenti nel processo prima di “giudicare” tramite un voto, facendo crescere la loro sicurezza nel metodo e, molto spesso, allenandoli a scoprire da soli l’errore.

Infine, dobbiamo porci un’ultima domanda: come viene insegnata la Scienza nelle Università e che spazio viene data alla formazione degli insegnanti delle materie scientifiche? Nei modelli nord-europei la formazione degli insegnanti ha un ruolo centrale, fin dalla loro selezione le istituzioni si impegnano per il loro aggiornamento e la loro continua formazione, corrispondendo anche l’impegno richiesto dalla loro professione con un’adeguata remunerazione. Occorre quindi riposizionare al centro la formazione e la remunerazione del corpo docente investendo, già dall’Università, su futuri insegnanti tramite l’offerta di nuovi dottorati in didattica della matematica, della fisica e delle scienze.

Secondo Aristotele insegnare «è infatti la forma più alta di comprensione», ma diversa da quella necessaria per fare ricerca. Occorre valutare il corpo docente sulla capacità di trasferimento della conoscenza oltre che sulle competenze, perché si può essere ottimi divulgatori ma dei pessimi ricercatori e viceversa. La scuola è piena di persone preparate, ma è carente di bravi divulgatori, capaci di far appassionare le ragazze e i ragazzi allo studio.

La Scienza nelle scuole richiede quindi un cambio di paradigma: è necessario rivedere i metodi di valutazione, di insegnamento e di assunzione del corpo docente fin dalle scuole dell’infanzia per poter insegnare un metodo multidisciplinare che ponga la persona al primo posto. Anche nell’insegnamento della Scienza non dobbiamo dimenticarci che prima delle nozioni vengono i metodi, prima delle correzioni viene la connessione e l’ascolto perché, in ultima analisi, prima della conoscenza vengono le persone.

Una Scienza che non è in grado di predisporre all’ascolto della Natura e di chi ci è all’interno della nostra comunità, non sarà mai la Scienza a misura di uomo e di donna di cui abbiamo bisogno oggi per rispondere alle sfide attuali. L’ascolto e il rispetto reciproco, tra studente e insegnante, sono i primi passi fondamentali per la creazione di una relazione di “connessione”, che sia lievito per la formazione della persona e di una comunità scientifica a dimensione umana.

[1] Pani G., Studio e Sapienza, Pietro Vittorietti edizioni
[2] Paolo VI messaggio indirizzato a padre Gemelli il 15 febbraio 1959, in occasione della Giornata per l’Università Cattolica
[3] “Humans don’t develop like machines” Stefan Persuad TU Delft
[4] Discorso al XVI Congresso internazionale degli Studenti di Scienze economiche e commerciali [9 marzo 1964], in Insegnamenti di Paolo VI, vol. II: 1964, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1965, pp. 166-167. Cfr. anche Discorso nella visita all’Università di Roma [14 marzo 1964], ivi, p. 1094