di Francesca Carenzi*

 
Da anni sui giornali e nel dibattito politico si va ripetendo che ormai è necessario riformare l’Europa, riscoprirne le radici e ripensare le forme del vivere comune. Già a partire dalla prima metà del secolo scorso molti intellettuali, di fronte alla II Guerra Mondiale, si sono chiesti come fosse potuto avvenire il fallimento della civiltà occidentale. In questo orizzonte di pensatori che hanno discusso della problematica europea, è possibile individuare una figura particolare: Simone Weil.
 
La giovane filosofa, di origini ebraiche e cresciuta nel magmatico clima culturale parigino, assiste sgomenta alla caduta del proprio paese sotto i colpi del nazionalsocialismo. Entrata a far parte dell’organizzazione della resistenza francese a Londra e dagli uffici di Hill Street, sede organizzativa di France Libre[1], Simone innalza il suo canto d’amore alla cultura europea. Tra il ‘42 e il ‘43 scrive documenti e testi che desidera mettere a disposizione di chi si troverà a ricostruire l’Europa al termine della guerra: essi dovranno fornire le linee guida per la stesura di una nuova Costituzione francese ed europea. La rinascita europea diventa per lei una sfida vitale tanto da lavorare a ritmo febbrile in uno sforzo intellettuale e fisico che finirà per consumarla[2].
 

Simone Weil

Per comprendere la visione di Weil occorre fare una premessa: la realtà per l’autrice è dominata dalla forza, una legge violenta e necessaria che guida lo svolgimento della storia. Tale forza presenta caratteri disumani, in essa l’uomo è soggiogato alla materia e alla realtà storica. Alcune istituzioni sono particolarmente soggette alla violenza e ne amplificano la dinamica diffondendola all’interno della realtà. Il potere, quando si esprime come volontà di dominio, deriva da una diretta filiazione della forza. Ingenuamente chi possiede il potere crede di controllare la forza, senza accorgersi di essere lui stesso soggiogato alla necessità. In quest’ottica il governante è solamente una pedina ed un propagatore della violenza. L’autrice individua alcune istituzioni e alcuni momenti storici come particolarmente esemplificativi di questa dinamica di asservimento al dominio della violenza: le guerre di espansione dell’impero romano, la pretesa coloniale francese in territorio africano, ma anche un’idea gerarchica di partito e una certa configurazione del sistema giudiziario. Nella visione dell’autrice la storia è drammaticamente dipinta come il luogo dove si combatte una battaglia di cui l’uomo è destinato a rimanere vittima, perché sia il vincitore sia lo sconfitto sono semplici pedine. In questo scenario, ispirato dalla lettura dell’Iliade omerica, la gloria e il prestigio derivante dal potere sono pure illusioni destinate a marcire al primo cambiamento della sorte.
 
A questo punto è necessario domandarsi: com’è possibile immaginare un cambiamento se la struttura della realtà appare intrinsecamente violenta? Sempre nell’Iliade, Simone trova un barlume di speranza: la forza non è tutto. Nella storia opera anche un’altra logica, silenziosa e fragile, che anche nel poema omerico appare inaspettatamente nella narrazione: l’amore[3]. Esistono nella storia quelli che l’autrice definisce  “momenti di grazia”, attimi che spaccano la scorza della violenza e portano alla luce la manifestazione di un’altra legge. Sulla fragile esistenza della compassione e della fraternità che lega gli uomini davanti all’ingiustizia, Weil fonda la propria opera di ricostruzione europea. In particolare Weil individua alcuni uomini animati da quella che definisce come una particolare “follia”, ossia un’attenzione diversa, uno sguardo nuovo capace di dirigersi su ogni essere umano con tutti i suoi bisogni, da quelli fisici necessari alla sopravvivenza a quelli spirituali altrettanto fondamentali perché una vita possa definirsi pienamente umana.
 
Esso è definito follia perché è in grado di rompere le barriere del vivere comune riportando al centro dell’azione l’uomo nella sua integralità. Esempi di ciò sono Antigone e San Francesco, dai cui gesti si irradiano una cura e un’attenzione che creano un habitus di comportamento diverso da quello inaugurato dalla forza. Costoro sono gli unici ad essere in grado di accogliere pienamente il grido di senso e di giustizia che anima il cuore di chi è schiacciato dalla forza. La follia d’amore non è da intendere in termini semplicistici come l’intrapresa di grandi gesta cariche di portata emotiva, ma piuttosto come la capacità, sempre da educare, di cogliere l’infinitamente piccolo (ad esempio la silenziosa sofferenza degli ultimi della società) che sfugge allo sguardo distratto dell’uomo comune. Questa accoglienza prende carne nel silenzio ed è carica di semplicità; l’autrice fa l’esempio di chi riveste il mendicante, di chi prima di prendere una decisione aspetta il consenso altrui ecc… .
 
Questo atteggiamento agli occhi del potere appare folle, mentre esso è ciò che di più ragionevole può esserci. I folli possono essere tali perché la loro attenzione e il loro cuore tengono lo sguardo fisso al di là della necessità della storia, in un orizzonte trascendente che ricorda all’uomo la sua più autentica natura e i suoi più alti ideali. Solo la presenza di persone così potrà garantire la costruzione di una società più umanamente autentica, inclusiva e giusta. Se tali uomini, con la loro ispirazione, saranno valorizzati e potranno educare la costruzione di un simile habitus anche in altri uomini, la cultura europea potrà trovare nuova linfa vitale. Per risolvere la crisi europea è quindi necessario per l’autrice proteggere l’opera di questi uomini e insieme, grazie alla loro ispirazione, provare ad immaginare nuove forme istituzionali che prendano forma a partire dal rimettere al centro la logica d’amore portata alla luce dai “folli”.
 
In quest’ottica si muove, ad esempio, la stesura di una bozza di Costituzione francese elaborata da Weil e intitolata Dichiarazione degli obblighi verso l’essere umano. C’è bisogno di seguire questi uomini e di rimettere al centro ideali umili, perché solo così facendo la politica potrà non soccombere al giogo della necessità e della violenza. Bisogna quindi creare una nuova coscienza politica, rimodellando le categorie intellettuali con cui ci approcciamo alla vita istituzionale. Un primo passo sarebbe per l’autrice ridefinire il rapporto tra potere e politica. L’uomo ha sempre visto il potere come il fine della politica, Weil propone invece che esso non sia più lo scopo, ma lo strumento. Allo stesso modo in cui il pianoforte è lo strumento nelle mani del musicista per creare l’armonia, in uguale maniera il potere deve essere usato dal politico. Il pianoforte non è il fine della musica, esso è infatti la sinfonia, così il potere non può essere il punto d’arrivo dell’azione dei governanti, ma il mezzo con cui chi guida possa edificare l’armonia a livello sociale. Se le cose stanno così allora il problema è saper comporre, ovvero che il politico sia in grado di poter creare luoghi di giustizia e rispetto. Solo avendo negli occhi l’esempio dei folli il politico potrà edificare una società con queste caratteristiche.
 
Lo spunto fornito da Weil è interessante perché propone la soluzione di una crisi politica e culturale attraverso la sinergia di due livelli: da una parte la creazione intellettuale e politica di forme istituzionali, dall’altra il necessario cambio di habitus nel singolo. In questa prospettiva singolo e istituzioni si muovono insieme, anche se grande spazio è lasciato alla libertà personale; ciascuno infatti dovrà scegliere da quale logica (quella della forza o quella della fraternità) farsi guidare. La riflessione di Weil spinge anche noi oggi a questa scelta. Dobbiamo sì auspicare un cambiamento politico e istituzionale per l’Europa, ma sarà nostra responsabilità preparare il terreno fertile in cui questo cambiamento si possa innestare. Fondamentale sarà quindi indirizzare la nostra ispirazione e il nostro sguardo nella direzione della follia descritta da Weil, altrimenti anche il più perfetto sistema politico rimarrebbe sterile e destinato a fallire.
 
*Dottoressa in Scienze Filosofiche alla Statale di Milano
fra.carenzi@gmail.com
 

Note:
[1] France Libre è il comitato di organizzazione politico-militare della resistenza sul suolo francese diretto da Charles De Gualle. Oltre a lavorare per la liberazione della Francia dal dominio hitleriano, all’interno dell’organizzazione vennero stesi documenti, protocolli, proposte di riforme da utilizzare una volta finita la guerra per ricostruire il paese.
[2] Simone Weil ha sofferto per tutta la vita di una salute precaria. Le fatiche e gli stenti degli ultimi anni di vita, come la privazione volontaria di cibo per potersi immedesimare con gli oppressi, arriveranno a consumarla. Simone si spegnerà il 24 agosto del 1943, stremata dalla fatica e dalla disperazione derivanti dall’avanzata hitleriana in Europa.
[3] Nell’Iliade infatti sono rappresentate tutte le forma d’amore esistenti: dall’amore fraterno fino alla compassione per il nemico di cui il dialogo tra Priamo e Achille è commovente esemplificazione.