di Paolo Bonini

Exit. Voice. Loyalty”. Le categorie di Hirschman (economista tedesco naturalizzato statunitense) possono dare uno spunto per fotografare il voto amministrativo dell’ottobre 2021 che ha rinnovato l’amministrazione della Capitale e quella di Torino, Milano, Bologna, Napoli e altri comuni. Sono state elezioni discusse per l’impatto che avranno sulle città e perché hanno dato l’occasione ai partiti per sintonizzarsi con gli elettori, in vista delle prossime scadenze: l’elezione del presidente della Repubblica e l’orizzonte per le prossime elezioni politiche. Ad un primo sguardo, sembrano aver ‘vinto’ il Partito Democratico e il centrosinistra. Tuttavia, stando alla parafrasi delle categorie di Hirschman (astensione, protesta-proposta, fedeltà), il nodo di queste elezioni è l’astensione. Questo fenomeno sembra l’ultima tappa di un percorso almeno decennale: siamo passati per la retorica del sindaco e del comune come il livello più vicino agli elettori, a una certa freddezza dei cittadini verso le elezioni amministrative. Forse oggi, a causa di alcuni elementi che cerchiamo di evidenziare, non è più scontato che il livello politico del territorio sia sentito vicino dai suoi abitanti.

Cominciamo dall’aspetto più importante. L’astensione (exit, i votanti sono stati 52,67% al primo turno e 43,93% al secondo, media nazionale) indica che molti elettori hanno deciso di uscire dal rapporto politico-istituzionale con i partiti e le amministrazioni comunali. Ciò può essere avvenuto forse per tre ragioni. In alcuni casi, come quello romano e torinese, perché l’amministrazione uscente, quando è stata eletta (2016) era percepita come una radicale cesura con i partiti tradizionali. Le elezioni amministrative del 2016 e quelle politiche del 2018 erano infatti caratterizzate dalla fiducia riposta in nuovi (o rinnovati) partiti della protesta (voice). Una protesta purtroppo senza soluzioni adeguate che, semplificando i problemi, squalificando il punto di vista altrui e scaricando le responsabilità, ha tradito la fiducia degli elettori. La seconda ragione è il senso profondo delle istituzioni democratiche cittadine. Comunità di Connessioni ha riflettuto su questo nodo nel libro curato da F. Occhetta, Le politiche del popolo. Volti, competenze e metodo[1]: con la digitalizzazione molte funzioni amministrative si svolgono fuori dalle sedi comunali e il ruolo degli intermediari (consiglieri, assessori) passa in secondo piano. I Comuni sono coinvolti in attività che non appartengono a loro e non riescono più a garantire le funzioni tipiche che invece i cittadini richiedono, come la cura delle strade, delle reti idro-energetiche, i servizi essenziali come i rifiuti. Inoltre, le Città metropolitane hanno moltiplicato i livelli decisionali creando confusione e ulteriore distanza. Bisognerebbe riformare la legge Delrio e chiarire bene “chi fa cosa” e la dimensione territoriale adeguata di ciascun ente locale, così che i cittadini possano premiare o punire a ragion veduta i buoni o i cattivi amministratori con un voto consapevole.

La terza ragione dell’astensione potrebbe essere legata al modello di partito e alla figura di un leader politico “pop”. Forse gli elettori non si sentono coinvolti dai partiti, ridotti, come spiega anche  Cassese, a «circuiti chiusi nelle direzioni nazionali». «Un leader e la sua corte» non bastano più alla società. Si può ipotizzare che gli elettori siano stanchi di inseguire leader schiavi della dittatura del quotidiano: l’astensione è quindi il frutto dell’assenza di una vera e propria offerta politica. È evidente che servono partiti strutturati, o che almeno si rivolgano a strutture in grado di nutrire, selezionare ed educare una classe dirigente di amministratori e politici. Un dato saliente, confermato da queste elezioni, è infatti il peso delle liste civiche che rappresentano stock di voti in grado di scomporre e ricomporre i propri elettori in base alla necessità politica (si veda il caso della lista “Noi Campani”, che correva a Benevento con Mastella, candidato di centro e avversario del centrosinistra, mentre a Caserta con il PD). Uno non vale l’altro: lo studio, la comprensione dell’essere umano e della società tramite la fatica del lavoro o della specializzazione intellettuale sono elementi imprescindibili per amministrare e guidare una comunità politica.

Ancora due elementi meritano di essere puntualizzati. La corsa elettorale è stata falsata, in alcuni casi, da candidati del centrodestra senza reali chances di vittoria, perché i due principali leader di destra non hanno avuto il coraggio di “metterci la faccia” e, nel caso, perdere con dignità (come fece Fini, ancora con il Movimento Sociale Italiano, nel 1993 a Roma, guadagnando però quattro ministri nel governo del 1994 – lo spiega bene un articolo di Polito). Le grandi città italiane hanno bisogno di una classe politica disposta a lottare per il proprio consenso. L’inerzia, infatti, è l’ultimo fattore da mettere a fuoco. La fedeltà (“loyalty”) ad un amministratore oppure al partito che lo candida, ha caratterizzato il voto di Milano, Bologna e Napoli. Napoli e Bologna sono amministrate dal centrosinistra da tempo, dove ha votato rispettivamente il 64,71% e il 59,66% degli aventi diritto. Si tratta di due situazioni di fedeltà-fiducia nella persona e nel suo programma, ma forse anche nel sistema rappresentativo che quel candidato esprimere. Milano rappresenta un’esperienza a sé. La riconferma di Sala al primo turno ha un significato strettamente legato alla sua gestione della città.

In conclusione, facendo un sunto di quanto emerso finora, si può dire che queste elezioni aiutano a comprendere tre aspetti: i cittadini delle grandi città sentono l’urgenza che i propri interessi siano tutelati, ma sono stati sedotti e abbandonati (e quindi profondamente delusi) dal populismo dell’ultimo decennio. Il Comune non è una sede privilegiata di democrazia, la politica cittadina passa spesso per associazioni finalizzate a singoli scopi (pulizia, sicurezza, bisogni essenziali) che i partiti, il consiglio comunale e i sindaci faticano a comporre verso un orizzonte comune. Infine, la classe politica deve necessariamente rinnovare il proprio stile, abbandonando la violenza verbale e la rincorsa all’ultimo post, per scommettere invece sulle competenze. Circola l’idea che al crescere dell’astensione aumenti la possibilità per i partiti più organizzati di replicarsi, controllando gli unici elettori che contano (la famosa retorica dei “partiti/candidati ZTL”). In realtà, l’astensione danneggia tutti, perché l’unica cosa che conta nelle democrazie non è vincere o avere ragione, ma essere legittimati. Un sindaco o un governo non legittimato faticherà a imporre il proprio punto di vista, cedendo più o meno visibilmente ad altri poteri e decisori.

 

 

[1] In particolare, nel capitolo Le riforme: l’Europa come prospettiva, la Città come paradigma, 151-159.