di Giulia Milani

L’impatto della pandemia sulla salute pubblica è stato senza precedenti. Sia la salute fisica che quella mentale sono state gravemente colpite da questa crisi, come denunciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Le dure restrizioni, sebbene necessarie, hanno cambiato drasticamente le abitudini di tutti, compresi i più giovani. Bambini e adolescenti hanno visto la loro quotidianità cambiare da un giorno all’altro, ma non sempre (e non da subito) sono stati proposti interventi specifici per loro. La mancanza di attenzione ai più giovani ha comportato difficoltà non solo dal punto di vista del benessere e della salute mentale, ma ha avuto anche ripercussioni nel loro percorso di istruzione e formazione, tanto da cambiare radicalmente in alcuni di loro l’approccio nei confronti della scuola e dell’apprendimento, e più in generale della crescita e della scoperta di sé. Per capirne l’impatto basta pensare al fatto che le restrizioni imposte sono del tutto in contrasto con quel periodo della vita in cui una persona sente in modo particolare la spinta e il desiderio di uscire, di scoprire ed esplorare il mondo, le relazioni e se stessi. Uno slancio naturale, un’apertura al futuro che invece è stata frenata dalle, pur giuste, regole sociali.

I giovani, privati degli spazi educativi e di crescita che avrebbero dovuto permettere loro di formarsi, di sperimentare e fornire l’opportunità di fiorire, sembrano aver risentito fortemente del cambiamento del proprio stile di vita. Tutto questo ha provocato un profondo senso di disorientamento e di invisibilità.

Durante la pandemia, sembrava che la presenza nel dibattito pubblico dei giovani fosse unicamente legata ad atteggiamenti pericolosi che veicolavano la trasmissione del virus. Per questo, i giovani sono spesso stati definiti irresponsabili. Quasi mai, però, si è dato loro lo spazio per esprimersi e la possibilità di essere ascoltati. Per dare un nome a questa sensazione di invisibilità e disorientamento possiamo usare un termine dal sociologo Corey Keyes (2002)[1]: languishing, ossia il languire, ovvero una condizione di assenza di benessere, di motivazione e di felicità. Non è solo una sensazione subdola, stagnante, in cui si è incapaci di mettere in gioco le proprie risorse e le proprie capacità, ma anche un fattore di rischio per patologie e disturbi mentali più gravi. L’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, all’interno del suo report di maggio 2021[2], ha dedicato una sezione agli effetti della pandemia su bambini e sugli adolescenti rilevando che “i bambini e gli adolescenti, in particolar modo i più vulnerabili, sebbene non siano stati coinvolti in maniera importante nella battaglia al virus, continuano a subire più o meno indirettamente gravi ripercussioni a diversi livelli, dal piano emotivo a quello educativo, da quello fisico a quello psicologico”. Però, nonostante questa consapevolezza, i giovani non sono mai stati al centro di interventi che non fossero dettati dalla necessità del momento. Sono stati trascurati ed esclusi dal dibattito tutti quegli aspetti che permettono a un giovane di arricchirsi di esperienze e di legami.

Abbiamo assistito all’aumento delle situazioni di fragilità che hanno richiesto servizi di assistenza specifici. Ora, invece, è importante chiedersi se le istituzioni che si occupano di tali bisogni fossero preparate e abbiano avuto le risorse e il tempo necessari per fornire a chi ne ha bisogno una risposta adeguata, tempestiva e accessibile a tutti.

Come accogliere questo bisogno? Rafforzando le modalità di supporto alla fragilità dei più giovani nel territorio e nelle scuole attraverso progetti di psico-educazione e di collaborazione con le famiglie, con le istituzioni e con le organizzazioni che rappresentano i luoghi di vita dei più giovani.

Recentemente, nel dibattito pubblico, è stato in parte affrontato il problema del benessere mentale con la discussione in merito al cosiddetto Bonus Psicologo, un primo passo verso la consapevolezza che la salute psicologica va considerata al pari di quella fisica. Questo momento può essere l’opportunità per rimettere al centro dell’agenda delle politiche sociali il tema dei giovani, del loro benessere psicofisico e della promozione della salute mentale. Per fare questo dobbiamo impegnarci a costruire spazi dedicati ai giovani nei quali possano esprimere le proprie inclinazioni, scoprire chi sono attraverso esperienze relazionali di valore e significative.

Quali sono, invece, gli strumenti individuali che possiamo fornire ai più giovani per aiutarli a superare la sensazione di languishing? Probabilmente favorendo il flourishing (che possiamo tradurre con il verbo fiorire), ossia lo stato mentale di benessere, di fioritura emotiva e di serenità psicologica. È importante promuovere quei fattori che facilitano un buon funzionamento psicologico e la crescita personale: tutto ciò è possibile solo attraverso un percorso continuo di sviluppo del sé e l’apertura a nuove esperienze.

Esiste un modello proposto da due psicologi, Ryff e Keyes (1995)[3], che definisce il concetto di benessere secondo sei dimensioni: l’accettazione di sé, l’autonomia, la padronanza ambientale, le relazioni positive, l’avere uno scopo nella vita e la crescita personale. Negli ultimi due anni sono mancate tutte quelle dimensioni che vivono delle relazioni con gli altri, dell’interazione con l’ambiente, dell’esplorazione e sperimentazione che ci fanno sentire autonomi, autodeterminati e consapevoli. Dobbiamo sostenere i più giovani in questo percorso: lo possono fare le istituzioni e lo possiamo fare tutti noi ponendoci come figure di supporto, aiutandoli a trovare la strada e i valori che danno significato alla vita.

Dare significato alla vita passa anche per l’accettazione che non tutto è sempre positivo: accettare non vuol dire rassegnarsi ma essere capaci di trovare nelle difficoltà dell’oggi un significato, vivere il presente nella pienezza delle opportunità che ci offre. La fragilità, quella che abbiamo sperimentato in questi difficili anni, fa parte di questo faticoso e delicato percorso di crescita personale.

Abbiamo visto con quanta facilità un virus ci ha fermati e messi in ginocchio, ci ha resi vulnerabili. Partiamo da questa consapevolezza per riconoscere che non siamo infallibili, ricordandoci che prendendoci per mano e costruendo relazioni sane e positive, si può uscire dai periodi più bui,

Nel discorso di fine anno tenuto dal Presidente Sergio Mattarella possiamo trovare un messaggio di speranza da condividere e fare nostro: “Alle giovani generazioni sento di dover dire: non fermatevi, non scoraggiatevi, prendetevi il vostro futuro perché soltanto così lo donerete alla società[4]. Troviamo insieme, come comunità, la forza di non fermarci e di andare incontro al nostro futuro.

Sitografia:

Relazione Tecnica_Pandemia, disagio giovanile NEET_pubblicazione (politichegiovanilieserviziocivile.gov.it)

Disagio giovanile e pandemia, uno scenario complesso: il progetto Zero-17 Fatebenefratelli

L’altra faccia della pandemia. Malessere dei giovani e crisi delle Neuropsichiatrie Infantili – Quotidiano Sanità (quotidianosanita.it)

[1] Keyes, C. L. (2002). The mental health continuum: From languishing to flourishing in life. Journal of health and social behavior, 207-222.

[2] COVID-19 E ADOLESCENZA – OSSERVATORIO NAZIONALE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA -Gruppo Emergenza COVID-19. Dipartimento per le politiche della famiglia, Presidenza del Consiglio dei ministri.

[3] Ryff, C. D., & Keyes, C. L. M. (1995). The structure of psychological well-being revisited. Journal of personality and social psychology69(4), 719.

[4] Messaggio di Fine Anno del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – Palazzo del Quirinale, 31/12/2021 (I mandato)