Il 68° governo della Repubblica italiana ha giurato nelle mani del Presidente della Repubblica. Compirà i primi passi in una situazione internazionale in cui emergono più ombre che luci.

Sta circolando la notizia che il cancelliere tedesco, Olaf Sholz, intenda vendere alla società cinese Cosco (China Ocean Shipping Company) la gestione di un terminal commerciale del Porto di Amburgo. Il grande disegno della Cina è di realizzare la nuova Via della Seta, passando anche per il mare e i porti europei, punti chiave del nostro continente su cui Pechino esercita un controllo importante. La Cina, con l’utilizzo di strategie commerciali, intende dar vita a un nuovo assetto delle relazioni internazionali. È opportuno che i governi europei si coordinino nell’Unione su questi temi per non agire separati e preservare, invece, una più conveniente unità di intenti.

Non è l’unica sfida lanciata dalla Cina. Questa settimana si è tenuto il 20° congresso del Partito Comunista Cinese, che ha rinnovato il mandato del presidente in carica. Attuando la modifica costituzionale del 2018, Xi Jinping sarà il primo tra i successori di Mao a compiere tre mandati. Dopo il voto unanime del Partito unico, il presidente della Cina diventa “primo sopra le parti”: la costituzione ora lo considera come “nucleo del partito”. Sarà il primo leader cinese a non lasciare spazio a una nuova generazione, seguendo il percorso costituzionale e politico della Russia di Vladimir Putin. Proprio alla fine del Congresso, Xi ha regolato i conti anche con la generazione precedente, facendo rimuovere fisicamente Hu Jintao, predecessore riformista, aperto alle relazioni con l’Occidente e soprattutto sostenitore di un metodo collegiale di governo.

Sono segnali chiari. Un prototipo di leadership senza passato e, quindi, di fragili prospettive. La Cina consolida il suo capitalismo autoritario, una società che scommette sul potere del vertice, che utilizza la tecnologia e l’intelligenza artificiale per il controllo della popolazione e che aspira al suo espansionismo nella regione asiatica. La seconda economia del mondo proietta la sua ombra di influenza sulle istituzioni internazionali. Le stesse istituzioni che vengono criticate da Pechino per la presunta “eccessiva” ingerenza negli affari interni, in particolare rispetto al tema dei diritti umani.

Anche al di là della Manica la situazione non sembra incoraggiante. Lasciata l’Unione europea nel 2016 inseguendo l’illusione della “Global Britain”, il Regno Unito appare smarrito sia sul piano economico sia in campo politico. Con la successione al vertice monarchico tremano i riferimenti più solidi della società e, poche settimane dopo, i conservatori perdono l’ennesima premiership. Sembra che l’inquietudine politica e sociale degli anni ’20 abbia raggiunto anche l’isola che oggi si ritrova a fare i conti da sola, per la scelta di sganciarsi dalla comunità europea, con disoccupazione e inflazione.

La vittima di queste scosse è la cultura politica e istituzionale che tradizionalmente caratterizzava il sistema politico. Il conservatorismo britannico sembra aver esaurito i propri argomenti e la società inglese deve adesso fare i conti con le conseguenze del populismo e di Brexit.

La confusione non manca anche sotto il cielo di Washington. L’amministrazione Biden si prepara alle elezioni di midterm con tutte le incertezze proprie del sistema di voto degli USA. L’8 novembre si vota per il Congresso, rinnovando tutta la Camera e un terzo del Senato. È possibile che emerga un Parlamento diviso: la Camera ai Repubblicani e il Senato ai Democratici. I temi prevalenti nel dibattito sono inflazione, armi e prezzo della benzina. Ma anche l’aborto e il fattore Trump. Trump è stato l’elemento populista che, come Brexit per i conservatori nel Regno Unito, ha frammentato il fronte repubblicano con conseguenze sulla stabilità di tutto il sistema politico.

In questo quadro, nell’ultimo Consiglio europeo di Mario Draghi, l’Unione europea ha recepito le proposte dell’Italia, approvando misure per fronteggiare la crescita dei prezzi di gas e energia. È importante che in questo contesto internazionale gli Stati membri dell’Unione concentrino i propri sforzi nel mantenere l’unità di prospettiva, anche nell’affrontare la guerra in Ucraina e le sue conseguenze.

L’Unione europea deve avere chiara la propria identità culturale di democrazia liberale, aperta al multilateralismo, antitetica ai modelli autoritari orientali ma anche distinta dagli alleati atlantici. I grandi temi di questo secolo, come l’ecologia, l’eguaglianza e il lavoro, meritano spazio di dibattito e un adeguato processo decisionale che solo la visione sociale europea è in grado di garantire.

Uno strumento per mettere ordine in questo contesto è certamente la riforma dell’ONU, a più riprese promossa anche da papa Francesco, per il multilateralismo e il concetto di famiglia di nazioni. La strada in questo senso appare in salita. Per questo una grande responsabilità è nelle mani delle comunità pensanti che animano, già oggi, la vita culturale e civile dei paesi dell’Unione. Il dialogo tra queste realtà potrà rinsaldare i tratti fondamentali della nostra cultura e delle istituzioni europee, concretizzandoli in realtà in grado di affrontare le sfide politiche e sociali del XXI secolo.