di Francesco Occhetta
 
È vero, il centro politico, inteso in senso partitico, è stato svuotato e tanti milioni di elettori, orfani della loro appartenenza, hanno cercato rifugio in altri lidi. Le cause sono molte: dalla nascita di piccoli partiti ininfluenti alla poca attenzione verso la classe media, dalla mancanza delle riforme costituzionali alle ultime leggi elettorali che hanno premiato le ali e impedito alle forze più moderate di allearsi. 
 
Il «centro» politico, inteso come «centralità», è però molto di più di un’area: è un metodo, un processo antropologico ed etico, si qualifica dal gradualismo delle riforme, dalla moderazione dei linguaggi e dalla cultura della mediazione, tesa a cercare punti di equilibrio validi per tutte le parti. Il suo interclassismo ha sempre ridotto le disuguaglianze tra le classi sociali ed è l’equilibrio per una società aperta e inclusiva in grado di assorbire le tensioni sociali. Se il Paese è cresciuto lo si deve a questa radice culturale nascosta, ma ancora vivente, che permette alla giustizia di essere riparativa e non vendicativa, al lavoro di essere pagato, alla dignità rispettata, all’accoglienza di essere una rinascita sociale invece di una minaccia. Se si vuole far nascere una stagione costituente, con visione e competenze nuove, governance e regole, occorre ritrovarsi in questo meta-luogo culturale come fecero i costituenti per riprogettarsi e riprogettare. Altrimenti senza ricostituzione il Parlamento svuoterebbe la sua legittimità e credibilità.
 
La centralità politica è come la rosa dei venti: rappresenta il punto di intersezione dove le politiche di «destra» e di «sinistra» e le nuove politiche del «nord» e del «sud» sono obbligate a passare per mantenere il Paese nel suo assetto democratico inscritto nella Costituzione. Una sorta di terra di mezzo tra diversi soggetti che hanno a cuore il bene e il futuro del Paese. L’Europa voluta da De Gasperi, la scelta dell’euro nel tempo di Prodi, le grandi riforme sociali approvate sia dal centro-destra sia dal centro-sinistra, sono tutte iniziative passate dalla mediazione della centralità politica, intesa come griglia antropologica ed etica da cui filtrare le scelte da compiere. È questo il punto di intersezione per rifondare «politiche di fiducia», altrimenti la sfiducia, le paure e le differenze aumentano i consensi, mentre nel frattempo le tensioni sociali rendono ingovernabile il Paese. Il Presidente Mattarella è tra gli eredi più noti di questo filone culturale che include anche i suoi collaboratori, compresi quelli meno noti al grande pubblico, ma garanti credibili e qualificati di questa tradizione vivente. Lo stesso Presidente Draghi appartiene a questo filone culturale che ha conosciuto negli anni Novanta affiancando Giovanni Goria.
 
L’identità del Governo Draghi, quella di avere uno scopo ed essere di scopo, avrà bisogno di “centralità” politica che giustificherà l’appello fatto nel suo discorso all’«unità» come «dovere». Dovere funzionale, ma anche morale, per perseguire gli scopi dichiarati. La centralità aiuta a costruire unità, ma non significa unanimità. Il tempo chiarirà in fretta le vere intenzionalità morali delle parti politiche che insieme hanno applaudito la nascita di questo Governo. È per questo che occorre essere realisti e responsabili più che ottimisti e spettatori. La politica non può ridursi a tecnica o a procedura ma è sostanza e valore, altrimenti i temi come immigrazione, disoccupazione, famiglia, privacy, ambiente, fisco diventano bandiere da sventolare ideologicamente. Spesso si usa la stessa parola attribuendo significati opposti, come nel caso di “ambiente” che viene usato dalla cultura pentastellata e quella leghista con accezioni diverse. 
 
Il «centrismo» politico, invece, favorisce l’incontro: la sorgente da cui possono scaturire norme sociali per regole comuni. Per questo funge da enzima del sistema, mette in rete l’insieme delle politiche generative dei territori, si ispira ai princìpi costituzionali e, per i credenti, ai princìpi della dottrina sociale della Chiesa. Lo ribadiamo: nel tempo post-ideologico e della democrazia «im-mediata» ricostruire la «centralità» politica non significa formare o sommare forze politiche, ma permettere che tutte convergano in quello spazio “di mezzo” per custodire la cultura costituzionale e ritrovare il valore della mediazione politica. Altrimenti lo svuotamento della parola in politica fa sì che, in poco meno di una settimana, si passi ad essere da antieuropeisti a europeisti, da antiambientalisti ad ambientalisti, da giustizialisti a permissivisti. Saranno i fatti e le scelte concrete a verificare le intenzioni liquide di una classe politica che ha purtroppo perso la forza della parola.
 
C’è un dato politico da non sottovalutare: nelle ultime elezioni europee su 100 elettori cattolici che hanno dichiarato di partecipare alla Messa 16 hanno votato Lega, 13 il Pd, 7 M5S, 5 FI, ma soprattutto 52 elettori si sono astenuti. In molti si sentono ancora orfani di un’appartenenza, di parole inclusive e democratiche che David Sassoli aveva richiamato, nel suo primo discorso da Presidente del Parlamento europeo, quando ha richiamato il bisogno di «dotarci di strumenti adeguati per contrastare le povertà, dare prospettive ai nostri giovani, rilanciare investimenti sostenibili, rafforzare il processo di convergenza tra le nostre regioni e i nostri territori». In gioco non c’è un partito da sostenere, ma una grande comunità da riformare. Un progetto nelle mani di persone che guardano lontano, come insegna Victor Hugo: «Non siamo più inglesi né francesi né tedeschi. Siamo europei, siamo uomini. Siamo l’umanità». L’unica umanità fonda per la Chiesa il “tutto è connesso” della transizione ecologica.
 
Nella prefazione al nostro volume, Ricostruiamo la politica. Orientarsi nel tempo dei populismi, Marta Cartabia spiega l’idea di centrismo così: «Nelle sue riflessioni l’idea di un “centro” allude, più che ad una specifica collocazione dei credenti nell’agone politico, ad una attitudine graduale, compositiva, incompiuta, riconciliativa, temperata e mai estrema. Allude a un luogo – che è allo stesso tempo un cammino – di intersezione, dialogo, mediazione, convergenza, relazione, incontro. Un luogo che sorge da un rapporto con l’altro (qualunque altro!) valorizzato sempre come bene, piuttosto che come ostacolo: “lo spazio del compromesso […] per superare le contrapposizioni che ostacolano il bene comune”. Uno spazio di cui si avverte una esigenza tanto più acuta in un tempo in cui la digitalizzazione sta trasformando le forme di comunicazione politica e di creazione del consenso, ove il dialogo si rifrange, perdendosi, all’interno di echo chambers che alimentano la tendenza alla estremizzazione, esasperando la logica amico nemico».
 
La possibilità di una nuova centralità politica si radica soprattutto in un’intuizione di don Luigi Sturzo per il quale «non si diviene classe politica senza tradizione né senza esperienza governativa e amministrativa». La spinta della centralità politica più che dai partiti – come è stato scritto – è una spinta di molta parte dell’elettorato che obbligherà i partiti a riformulare le loro proposte. Il credente ha un dovere in più perché è chiamato a sognare nella notte, a immaginare il giorno che verrà per prepararlo con parole e legami nuovi. Questo è stato il sogno di De Gasperi o di personaggi meno noti come Paul-Henri Spaak. Le primavere del Novecento, quelle del 1919 o del 1948 si preparano nei due decenni precedenti. Senza l’Europa non può esserci l’Italia. Se il cuore rimane Roma e i polmoni i territori, la nostra mente è Bruxelles. Lo aveva ricordato il Presidente Sassoli in una sua lezione ai giovani di Comunità di Connessioni: «A noi piace un mondo dove uomini di Paesi diversi possano scambiarsi merci, informazioni, cultura e dove la forza sia sempre controllata; l’Europa è la migliore assicurazione sulla nostra vita».
 
In questo nuovo scenario alla Chiesa rimane un compito urgente: investire in formazione e partecipazione, sostenere chi si impegna, favorire cabine di regia per europeizzare i temi politici nazionali, affinché siano ispirati alla Dottrina sociale della Chiesa come abbiamo richiamato nell’ultimo editoriale. Sarebbe una grave omissione se il mondo ecclesiale non si assume la responsabilità di questa nuova stagione, superando i tanti protagonisti personali e contribuisca, attraverso la formazione delle coscienze e la selezione di politici, a governare la cosa pubblica. I criteri rimangono quelli del «buon politico» ricordati da Sturzo, in cui è centrale l’aderenza ad una serie di virtù come l’onestà, la sincerità, il distacco dal denaro, il dovere di non sprecare i finanziamenti pubblici e la correttezza di tenere lontano i parenti. Tutto questo, a livello morale, lo chiamiamo dovere verso l’ambiente, il lavoro e le nuove generazioni. L’orizzonte è quello tracciato dalle Encicliche del Pontificato di Francesco che ai politici scrive: «È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. Se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica» (Fratelli tutti, n. 186).
 
Basterebbe che ciascuna delle ventisei mila parrocchie italiane aiutasse a ritrovare le radici culturali del “centrismo” declinato, per esempio, nel sogno europeo degasperiano o del personalismo di Maritain e di Paolo VI. Davanti a noi si è aperto il tempo (spirituale) del pensare, del fare e del connettere. Esistono esperienze di buona amministrazione pubblica, associazioni del terzo settore, le community legate sull’etica ambientale e della rete, i progetti di economia sociale e imprenditoria solidale da unire insieme. Tutto questo è ciò in cui crede Comunità di Connessioni che, senza chiedere e pretendere, da anni porta avanti silenziosamente un progetto culturale che rimane al servizio di tutti.