di Ferdinando Tufarelli

La Corte costituzionale ha sede a Roma, nel Palazzo della Consulta, accanto al Palazzo del Quirinale. Già questa collocazione illumina simbolicamente sul suo posto nel disegno della nostra Carta fondamentale. La Corte, insieme al Presidente della Repubblica, è un organo di garanzia, e ciò si deve alla sua funzione: verificare se una legge sia conforme o meno alla Costituzione (controllo di costituzionalità della legge).

Scarsa è, tuttavia, la conoscenza da parte dei cittadini della sua composizione (art. 135 Cost.), e al suo funzionamento (art. 134 e 136 Cost.)[1]. Ciò è dovuto anche alla stessa tessitura costituzionale, che assegna alla Corte un ruolo di giudice delle leggi: una posizione contigua alle altre istituzioni repubblicane, ma non partecipe delle loro vicende. Questa diversità si deve anche alla sua particolare composizione (un collegio di quindici giudici votati ed eletti in maniera proporzionale da Presidente della Repubblica, Parlamento, Magistrature) e per le funzioni di arbitro che deve verificare decidendo se una legge sia conforme alla Costituzione, o di quale organo sia la competenza quando fra questi sorga un conflitto relativamente ad un atto o un comportamento. «Presidio di garanzia dei principi della nostra Carta», questa la definizione che descrive chiaramente il ruolo della Corte nell’ordinamento; definizione data dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso pronunciato in occasione del suo giuramento per il secondo mandato di Capo dello Stato, il 3 febbraio 2022, davanti al Parlamento.

La Corte potrebbe apparire isolata rispetto alle altre istituzioni: ad esempio la fibrillazione presente nel Parlamento e nel Governo per via dell’elezione del Presidente della Repubblica non ha coinvolto la Corte, che, però, è spesso considerata come organo in grado di poter offrire (come nel caso dell’attuale Capo dello Stato) un idoneo candidato al ruolo di Presidente della Repubblica, viste le caratteristiche di imparzialità e indipendenza che connotano i suoi componenti.

Negli ultimi anni è, tuttavia, molto chiaro l’intento dei giudici di far conoscere l’attività della Corte e di avvicinare i cittadini all’istituzione. Per raggiungere questo obiettivo sono state percorse due strade: la prima, attraverso modifiche delle regole che disciplinano l’accesso di soggetti “terzi”, (non quindi parti costituite nel giudizio) rispetto al processo costituzionale; la seconda, attraverso l’uso di una comunicazione più capillare, anche tramite i canali social e l’organizzazione di incontri a carattere più informale con gruppi di cittadini. Quanto al primo percorso, vi è ora, infatti, la possibilità anche per soggetti non parti del giudizio di avere accesso al processo costituzionale. Nelle parole del comunicato stampa del 11 gennaio 2020, che accompagnava le innovazioni appena introdotte, si legge: «Anche la società civile, d’ora in poi, potrà far sentire la propria voce sulle questioni discusse davanti alla Corte costituzionale».

In primo luogo, le nuove regole prevedono che la Corte costituzionale possa decidere di ascoltare durante il processo interventi di soggetti che non sono parti del giudizio, ma che siano «titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio». Si lega invece a una pratica presente negli ordinamenti anglosassoni, e recepita anche da diversi giudici sovranazionali (Corte dei diritti dell’uomo e Corte di Giustizia), la più innovativa introduzione: nei giudizi «le formazioni sociali senza scopo di lucro e i soggetti istituzionali, portatori di interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione di costituzionalità», senza assumere la qualità di parti, potranno presentare, entro venti giorni dall’introduzione della questione in Gazzetta ufficiale, opinioni scritte, di lunghezza non superiore a 25.000 caratteri, inviate per posta elettronica alla cancelleria[2].

Il novero di chi è, oggi, potenzialmente “chiamato a Corte” è dunque vastissimo: da soggetti istituzionali come il Garante per i detenuti o l’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), sino ad arrivare a sindacati, Confindustria, alle realtà associative e di promozione sociale. La Corte diventa, così, sempre più un’istituzione attenta ad ascoltare e valutare i cambiamenti della società, verificandone la compatibilità con la Costituzione, da sempre parametro unico e fondamentale del giudizio della Corte.

Va anche evidenziata l’importante novità relativa all’introduzione del processo telematico, partito fra luglio e settembre 2021. Le norme integrative per i giudizi davanti alla Corte sono state adottate con la delibera del 22 luglio 2021 e le regole tecniche di funzionamento del processo costituzionale sono contenute nel decreto del 28 ottobre 2021 del Presidente della Corte costituzionale. Tramite queste integrazioni sarà possibile procedere telematicamente al deposito e alla consultazione degli atti. È, quindi, più facile dialogare con la Corte, venendo a conoscenza di tutti gli atti processuali. Importanti novità sono state introdotte anche relativamente alla comunicazione. Premessa di ogni strategia comunicativa è un caposaldo fondamentale: la Corte, sin dal primo insediamento, è abituata a lavorare nel silenzio e a parlare attraverso le sue sentenze. E la lettura delle sentenze deve indubbiamente rimanere il canale privilegiato per la conoscenza dell’operato della Consulta.  Leggendo le decisioni della Corte, capiamo come queste riguardino frequentemente problemi concreti e come sia ancora, purtroppo, evidente il ruolo sostitutivo della Corte nei confronti di un Parlamento spesso assente. Essenziale per il corretto funzionamento della Corte è la collaborazione con il Parlamento.

Sino a qualche anno fa la Corte, dichiarando che una legge non conforme alla Costituzione (dichiarazione di illegittimità costituzionale), creava un vuoto normativo, in quanto eliminava semplicemente dall’ordinamento quella legge (che cessava di avere effetti sin dal momento della pubblicazione della decisione nella Gazzetta Ufficiale); a quel punto, la Corte aspettava che il Parlamento provvedesse a colmare quel vuoto, conformandosi alla decisione presa.  Negli ultimi anni, tuttavia, in assenza di un intervento parlamentare, la Corte ha spesso indicato al Parlamento quale soluzione da adottare. Soluzione che rimane poi in attesa di una decisione da parte del Parlamento. È il caso, ad esempio, delle decisioni relative all’ergastolo ostativo (sent. n. 97 del 2021), al cognome da dare al figlio (ord. n. 18 del 2021), al suicidio assistito (sent. 242 del 2019); la Corte indica precise soluzioni, che però dovrebbero essere recepite dal Parlamento attraverso un corretto bilanciamento dei valori in gioco, possibile attraverso un confronto costruttivo tra le diverse forze politiche che rappresentano i cittadini.

L’importanza per la Corte di esprimersi solamente attraverso quanto riportato nelle proprie decisioni è stata confermata in questi giorni dal Presidente uscente della Corte che, nel saluto di commiato, ha deciso di far capire quale sia il ruolo della Corte costituzionale attraverso l’illustrazione di una delle decisioni più importanti assunte nel corso dello scorso anno concernente la fase pandemica: la sentenza n. 37 del 2021[3].

Con questa sentenza è stato messo ordine nel riparto delle competenze fra Stato e Regioni, decidendo l’illegittimità costituzionale di una legge della regione a statuto speciale, che aveva attenuato, rispetto a quelle statali, le misure da osservare nella fase più acuta dell’epidemia. Lo stesso Presidente della Corte ha affermato che tale decisione rappresenta «una bussola nella gestione della pandemia». La pronuncia ha funzionato da richiamo, valido per tutte le Regioni, ad esercitare le funzioni di tutela della salute che spettano anche a loro, nei limiti in cui esse si inseriscano nel quadro delle misure straordinarie adottate a livello nazionale”.

I giudici della Consulta ben consapevoli della difficoltà che, in alcuni casi, può esservi per il cittadino nel capire le sue decisioni, hanno da diverso tempo deciso di pubblicare un comunicato stampa[4] dopo la Camera di consiglio, dove anticipano le motivazioni poste alla base della decisione che sarà poi pubblicata in forma estesa. Questa nuova “strategia comunicativa” ha permesso alla Corte di essere più conosciuta, attraverso una spiegazione dei passaggi delle decisioni che potevano non essere chiari a tutti i cittadini. Si rivela fondamentale partire proprio dalla spiegazione delle proprie decisioni attraverso un aggiornamento dei canali comunicativi adottati dalle diverse fasce di età della popolazione.

Sempre in quest’ottica va ricordata l’iniziativa, mai intrapresa sino ad ora, di incontrare i cittadini che per la loro condizione hanno bisogno maggiormente di capire quali sono i loro diritti e le tutele apprestate dall’ordinamento costituzionale. Diversi giudici costituzionali, infatti, si sono così recati presso le carceri, rispondendo alle domande dei detenuti e illustrando loro le garanzie e tutele di cui sono soggetti. In modo analogo, continua il “viaggio” dei giudici nelle scuole al fine di chiarire agli studenti quali siano i compiti e le funzioni della Corte[5]. È quindi chiaro il messaggio della Corte: un impegno maggiore nel farsi conoscere ribadendo la centralità di sentenze e ordinanze, unica voce che deve essere spiegata, ma non sostituita.

 

[1] Francesco Occhetta in Civiltà Cattolica anno 2018, n, 4028, ripercorre attraverso anche gli interventi in Assemblea costituente, le motivazioni e le caratteristiche della Corte costituzionale illustrandone anche importanti decisioni che hanno contribuito a delinearne il ruolo all’interno dell’ordinamento giuridico.

[2] [Il presidente, sentito il relatore, deciderà con decreto l’ammissibilità di quelle «che offrono elementi utili alla conoscenza e alla valutazione del caso, anche in ragione della sua complessità»;]

[3] Intervento del Presidente Coraggio nel saluto di commiato, Palazzo della Consulta 28 gennaio 2021, in https://www.cortecostituzionale.it/default.do

[4] È interessante rilevare come elemento di novità che da oramai qualche anno il ruolo di Capo Ufficio stampa è ricoperto da una giornalista professionista e non più da un funzionario della Corte. Questo cambio di rotta di deve all’esigenza avvertita dai giudici di rendersi maggiormente conoscibili.

[5] Si tratta rispettivamente nel “Viaggio nelle carceri” (da cui è stato è stato realizzato anche un documentario presentato dalla Rai alla mostra del cinema di Venezia) e Viaggio nelle scuole”