di Rosalba Famà

Pace “Ponte Avente Comuni Estremi” con questo acrostico, l’italiana Elena Garbujo di soli 16 anni vinceva il concorso “Pace, Europa, Futuro” indetto dall’Unione Europea nel 2012, con cui si chiedeva ai giovani europei cosa significasse per loro la pace in Europa. Nel 2012, per la prima volta, il premio Nobel per la pace veniva assegnato a una non persona fisica. Infatti, a ricevere l’onorificenza sul palco del municipio di Oslo c’era una rappresentanza delle istituzioni europee. L’Unione Europea, sin dalla sua fondazione, come recita il comunicato stampa, ha «contribuito a trasformare la maggior parte dell’Europa da un continente di guerra in un continente di pace». Anche destre e sinistre convergono nell’individuare, tra gli achievements dell’Unione, proprio l’aver assicurato oltre sei decenni di pace e prosperità ai propri cittadini, sostituendo alle armi tavoli negoziali democratici permanenti in cui gli Stati Membri possono confrontarsi.

Dal 24 febbraio 2022, la guerra si è nuovamente affacciata sul nostro continente, spazzando via la prima delle nostre certezze: la pace, «Pace in terra, anelito degli esseri umani di tutti i tempi»[1]. In un momento delicato, quando stavamo iniziando a rialzarci dal dramma della pandemia, la guerra ci ha riportato un nuovo stato di ansia e incertezza. Allo stesso tempo, però, la nostra identità europea si è rafforzata. A fronte dell’attacco russo a un paese inerme come l’Ucraina, la risposta dell’Unione Europea è stata unanime.

L’UE ha subito condannato l’invasione, coerentemente con il diritto internazionale che considerava già l’invasione della Crimea del 2014 una violazione sia del divieto dell’uso della forza sancita dalla Carta delle Nazioni Unite, sia del Memorandum di Budapest del 1994, sottoscritto da Russia, USA, UK, in cui gli stessi riconoscono e garantiscono l’indipendenza, la sovranità e i confini territoriali dell’Ucraina, che includono la Crimea e il Donbass[2]. Al tempo stesso, l’Unione e i suoi cittadini hanno messo in campo una rete di solidarietà e di accoglienza dei profughi, mutando repentinamente il proprio approccio rispetto ai migranti: sono ad oggi oltre 5 milioni gli ucraini che hanno trovato rifugio in UE dall’inizio del conflitto.

Più complesso è il profilo relativo alle azioni da intraprendere a livello UE in risposta all’attacco russo. Già nel 2014 l’UE aveva adottato sanzioni economiche nei confronti della Russia, che tuttavia non sono riuscite a fermare l’escalation. Sono legittimi, pertanto, i dubbi di coloro che si interrogano sull’efficacia delle nuove sanzioni europee, che mirano ad indebolire il Paese destinatario dall’interno, spingendo i vari stakeholder che sostengono il governo russo a esercitare la propria influenza nella direzione della fine del conflitto per tutelare i propri interessi.

Le sanzioni, come spiega la prof.ssa Maria Paola Mariani[3], sono l’unica via pacifica per rispondere agli illeciti e portare le parti a un tavolo negoziale[4]. Al tempo stesso comportano un costo per chi le impone, con gravi ripercussioni in termini economici, che verosimilmente si andranno a scaricare sulle fasce più deboli della popolazione, ingenerando sofferenza sociale che influirà sul voto delle prossime tornate elettorali. Ma vi è di più, il grande quantitativo di gas russo che l’UE importa ogni giorno e la sua possibile riduzione preannunciano la più grave crisi energetica degli ultimi cento anni e spaventano il sistema produttivo. L’Unione Europea si sta dunque confrontando con grossi temi, pagando l’assenza di visione strategica degli ultimi vent’anni.

Nel suo discorso del 3 maggio al Parlamento Europeo, il premier Draghi ha individuato i temi centrali della Conferenza sul futuro dell’Europa che si chiuderà il 9 maggio: l’autonomia energetica europea, l’autonomia della filiera produttiva e la difesa comune. Il Presidente Draghi è ben consapevole dei meccanismi decisionali dell’Unione che in alcune aree ancora richiedono l’unanimità[5], come le questioni relative alla Politica estera e alla sicurezza. L’unanimità alimenta un sistema di “veti incrociati”, bloccando l’assunzione delle scelte più ambiziose. Per questo Draghi ha parlato di «federalismo pragmatico» e della necessità di rivedere i trattati istitutivi.[6] Tuttavia, la revisione dei trattati è un processo politicamente difficile, che richiede la ratifica a livello nazionale dei 27 stati membri, in alcuni casi anche attraverso referendum popolari dall’esito spesso incerto (cfr. Brexit). Sul tema è intervenuto anche il Presidente Mattarella con un autorevole intervento all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa il 27 aprile 2022 a Strasburgo quando ha ricordato il ruolo decisivo della comunità internazionale e la distensione, la coesistenza e il ripudio della guerra rilanciando il metodo di Helsinki e non di Jalta.

Di fronte a queste sfide senza precedenti, l’Unione deve riscoprire il proprio ruolo di costruttrice di pace. Per farlo, occorre chiederle di fare di più sul fronte diplomatico. Il dibattito pubblico sorvola sul ruolo della diplomazia nell’attuale conflitto e la banalizza. La diplomazia deve essere rimessa al centro, sull’esempio di Papa Francesco che non si arrende di fronte ad un portone ancora chiuso. Per farlo bisogna cambiare il linguaggio utilizzato dai leader, optando per la scelta di parole più miti e moderate che favoriscano l’apertura. Al netto di una condanna ferma alle brutalità, i toni devono stemperarsi; mentre quelli minacciosi impauriscono e allontano, quelli pacati promuovono il dialogo[7]. Per farlo, occorre ricostruire un terreno comune di dialogo trattando l’interlocutore alla pari e riconoscendogli quell’importanza strategica che ancora può avere sullo scenario globale[8].

Cruciale sarà la tessitura di alleanze con Paesi finora mostratisi più neutrali rispetto al conflitto russo, come Cina e Turchia, che potranno, alla luce dei loro interessi economici, accompagnare un cammino per la fine delle ostilità. Una luce metodologica è custodita nel capitolo 7 dell’Enciclica Fratelli Tutti, dove si afferma che «ogni violenza commessa contro un essere umano è una ferita nella carne dell’umanità; ogni morte violenta ci “diminuisce” come persone»[9]. Affinché questa ricerca non sfoci nella vendetta, il Pontefice ci offre due approfondimenti complementari, il primo sul perdono e il secondo sulla memoria.

Anche il perdono è vincolato alla verità, cioè al rispetto della dignità: «perdonare non vuol dire permettere che continuino a calpestare la dignità propria e altrui, o lasciare che un criminale continui a delinquere. Chi patisce ingiustizia deve difendere con forza i diritti suoi e della sua famiglia, proprio perché deve custodire la dignità che gli è stata data, una dignità che Dio ama»[10]. Ricucire la ferita inferta negli animi sarà il compito più difficile affidato alla nuova generazione, che forse, proprio per le sue caratteristiche (mobile, globale e interconnessa) potrebbe essere la più adatta a favorire questo processo di riconciliazione e perdono.

Vibrano nel cuore di chi scrive le parole della “Preghiera Semplice” di San Francesco:

Oh Signore, fa di me uno strumento della tua pace:
dove è odio, fa ch’io porti amore,
dove è offesa, ch’io porti il perdono,
dov’è discordia ch’io porti l’Unione”.

La sfida più grande di ogni Cristiano, la sfida del nostro oggi.

 

[1] Papa Giovanni XXXIII, “Pacem in terris”.

[2] Lorenzo Gasbarri, “Così il diritto internazionale condanna la guerra in Ucraina”, in www.lavoce.info/archives/93761/cosi-il-diritto-internazionale-condanna-la-guerra-in-ucraina/

[3] Professoressa associata di diritto internazionale, Università Bocconi.

[4] Paola Mariani “Le sanzioni economiche sono armi spuntate?”, in www.viasarfatti25.unibocconi.it/notizia.php?idArt=23952

[5]  Si tratta del metodo intergovernamentale, il quale ricorda quello delle organizzazioni internazionali, piuttosto che la maggioranza qualificata definito metodo sovranazionale, più vicino a uno Stato federale. Le aree in cui ancora vige l’unanimità solo quelle più sensibili per i governi nazionali.

[6] Le ultime modifiche consistenti dei Trattati istitutivi risalgono al Trattato di Lisbona entrato in vigore nel 2009.

[7] Allo stesso tempo, occorre anche interrogarsi sulle ragioni psicologiche del conflitto per comprendere il sentire della controparte senza giustificarlo, come ha fatto Papa Francesco quando con le sue parole «l’abbaiare della NATO alle porte della Russia» ha colto paure profonde del suo interlocutore.

[8] Ad esempio, onde evitare una terribile recessione a livello mondiale e garantire la pace dei popoli, perché è più che evidente che ad oggi solo alcuni Stati possono permettersi di rinunciare alle fonti energetiche russe e nessuno può permettersi la guerra. Bisogna altresì interrogarsi su cosa l’Europa sia disposta a dare per la pace, poiché i negoziati, a meno che l’avversario non venga annientato, si pensi al Giappone dopo le bombe nucleari, richiedono un “do ut des”, un do affinché tu mi dia.

[9] Fratelli Tutti, n. 227.

[10] Fratelli Tutti, n. 241.