di Alessandra Luna Navarro

Mahsa Amini, 22 anni, è morta il 16 settembre a Tehran dopo essere stata arrestata e percossa dalla polizia morale per non aver indossato in maniera appropriata l’hijab. Da quel giorno, migliaia di persone, uomini e donne, sono scese in strada per chiedere giustizia. La canzone di Shervin Hajipour “Baraye”, ovvero “Per”, accompagna questo cammino di protesta di tante comunità iraniane in tutto il mondo e che noi dobbiamo accompagnare.  Non è un cammino solitario, ma comunitario, che vuole un cambiamento «per le nostre paure», «per mia sorella, per tua sorella, per le nostre sorelle». La repressione e la censura del regime, che ha anche bloccato l’accesso ad Internet, non è ancora riuscita a fermare questo cammino.

Molte sono state le vittime da quando la protesta è iniziata: Nika Shakarami (16 anni), Hadis Najafi (22 anni), Sarina Esmailzadeh (16 anni) e altre ancora. Non sappiamo cosa succederà, quanto ancora questa marcia verso la libertà riuscirà a resistere all’oppressione del regime. Sappiamo però che il rispetto della vita delle donne e la loro tutela, tramite politiche che non solo diano pari libertà e diritti, ma aiutino a far fiorire la donna sono ancora una questione aperta in molti paesi, compresi i paesi occidentali e l’Italia. In questo momento, da parte nostra, solidarietà e fraternita non devono mancare perché siamo tutte sorelle e fratelli delle donne in Iran.

Sono ancora tante le battaglie aperte per il rispetto e la tutela delle donne. In Corea del Sud, ad esempio, a discapito della modernità tecnologica del paese, le donne combattono quotidianamente per maggiore uguaglianza in una società ancora molto patriarcale e con aspettative molto diverse per donne e uomini. Negli Stati Uniti molte più donne che uomini vivono in povertà, la disoccupazione femminile è molto più alta di quella maschile e percepiscono paghe più basse. L’Italia è penultima in Europa per partecipazione femminile nel mercato del lavoro: solo una donna su due in età lavorativa è attiva e il 73% delle dimissioni volontarie rassegnate nel 2017 sono state di lavoratrici madri. Sempre in Italia, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni è stata vittima di violenza.

Ma, a discapito delle disuguaglianze, spesso proprio le donne sono enzimi del cambiamento. In parte perché portano troppo spesso le conseguenze più gravi della mancanza di libertà, in parte per la loro grande capacità di coesione sociale e partecipazione collettiva. Come ricordato da Papa Francesco: «Quante scelte di morte sarebbero evitate se proprio le donne fossero al centro delle decisioni!».

Ad esempio, recentemente le donne sono state una forza trainante in Sudan, durante mesi di proteste contro i trenta anni di governo del presidente Omar al-Bashir, prima che fosse sostituito da un consiglio militare ad aprile. In Ucraina, le donne sono parte integrante della resistenza, molte sono rimaste anche se rischiano orribili atrocità dall’aggressione militare russa. Eppure, rimangono, per esempio, prendendosi cura delle vittime della guerra o distribuendo le provviste.

La solidarietà reciproca e la fraternita ci devono aiutare ad arrivare insieme ad un futuro migliore e dobbiamo iniziare dal garantire l’educazione, la libertà di espressione e il diritto di voto, la partecipazione politica e l’informazione attiva soprattutto tra le bambine, le ragazze e le donne. Dobbiamo incoraggiare le ragazze con esempi positivi di leadership femminile. L’educazione e l’informazione fanno paura ai regimi e sono il seme per un futuro migliore. Sono ad esempio la miccia della partecipazione politica e l’antidoto contro l’assenteismo politico. Non a caso, la chiusura dalle scuole secondarie per le ragazze in Afghanistan è stata tra le prime azioni del nuovo regime talebano. L’educazione era al centro del premio Nobel per la Pace a Kailash Satyarthu e Malala Yousafzai, entrambe allora diciasettenni.

Ma, anche in Europa, il diritto di voto alle donne non è stato una conquista facile. Il movimento delle Suffragette era stato ostacolato in Regno Unito per paura potesse “ledere al Paese e all’Impero”, paura radicata nell’idea che le donne avrebbero votato misure troppo riformiste e a sinistra. I diritti delle donne in Europa hanno avuto e hanno ancora bisogno di incessanti battaglie quotidiane e non possiamo pensare di salvarci da soli. Lo dimostra la connessione profonda tra educazione femminile e lotta al cambiamento climatico. Come ricordato da Sir David Attenborough, consentire alle ragazze, in particolare, di rimanere a scuola il più a lungo possibile aiuta la transizione verso modelli di sviluppo più sostenibile.

Le paure e i desideri delle donne in Iran, Ucraina, Sudan o in Afghanistan devono diventare anche le nostre paure e desideri e ci devono spronare a difendere un’informazione libera e vera, investire nella Scuola, aiutare l’Università nella terza missione e stimolare la partecipazione politica delle nostre comunità, secondo una visione comunitaria di fraternità sovranazionale.