di Paolo Bonini

La Storia è certamente in movimento in questi giorni. Pensiamo al sabotaggio del gasdotto North Stream 2, ai referendumfarsa russi in Ucraina o alle tensioni tra Cina e USA anche su Taiwan, in un quadro in cui le democrazie liberali oggi rappresentano solo il 14% della popolazione mondiale. In questo contesto internazionale l’Italia ha rinnovato il Parlamento e si appresta a formare un esecutivo, dopo la positiva esperienza del Governo guidato autorevolmente da Mario Draghi. Davanti a questi eventi l’Unione Europea vive la prova della sua stessa esistenza come soggetto politico e come attore rilevante e, per questo, il voto italiano ha un senso anche europeo.

Il vincitore è la coalizione di destra, con quasi il 44% dei voti, guidata da Fratelli d’Italia (26%) e composta da Lega per Salvini (8,7%), Forza Italia (8,1%) e Noi Moderati (0,9%). La maggioranza relativa dei votanti ha premiato la leadershipdi Giorgia Meloni, la quale, oltre a guidare Fratelli d’Italia, è presidente dello European Conservatives and Reformists Party (ECR), il partito dei conservatori europei, cui si uniscono anche il partito di governo in Polonia e VOX in Spagna.

La vittoria dei Conservatori mostra l’inconsistenza dei partiti (di ispirazione popolare cristiana o liberale) che fin qui avevamo chiamato, forse sbagliando, “moderati” o di “centro-destra”. È un dato che aiuta a ragionare sul quadro dei partiti in Europa, perché potrebbe significare una tendenziale svalutazione delle famiglie politiche tradizionali europee (Popolari e Socialisti&Democratici). Ciò a vantaggio di partiti giovani con riferimenti e categorie culturali meno ingessate, tra cui il partito liberale che ha recentemente cambiato nome da ALDE a “Renew Europe”. Affiliazione, questa, a cui appartiene il cartello elettorale di Calenda e Renzi (che arriva al 7,8% dei voti). Considerando il ricollocamento sul piano delle alleanze dei due politici (entrambi già socialdemocratici in Europa), si potrebbe pensare che il contesto di Renew Europe sia stato scelto per la dichiarata forte trazione liberale, a cui le storie di Calenda e Renzi appartengono, ma anche perché in fase di ridefinizione identitaria e relativamente fluido.

La sconfitta elettorale della sinistra (con circa il 26% dei voti) non sorprende. La flessione del principale partito di governo del centro-sinistra, il Partito democratico (con il 19%), interprete della responsabilità e dell’equilibrio in questi anni difficili segnati dal populismo, consente di fermarsi a riflettere sugli automatismi politico-culturali degli ultimi anni. Periodo in cui il pluralismo delle idee è passato in secondo piano rispetto alle contingenze sociali e internazionali, per approdare al progetto, naufragato a un passo dalle urne, di una alleanza strutturale con il populismo del Movimento 5 Stelle. Davanti allo scenario del voto, le appartenenze politiche e il voto non populista sono rimasti alla mercé di schemi sociali e retaggi culturali ormai del tutto trascorsi e obsoleti.

L’affanno delle categorie politico-culturali tradizionali, però, può essere l’inizio della speranza che nascano nuove identità o rinnovate tradizioni culturali. È forse arrivato il momento, per gli elettori di ispirazione cristiana, di cominciare a mettere a fuoco una chiave di lettura politico-culturale originale, di concentrarsi sulle convergenze, secondo formule nuove. Ad Assisi il 24 settembre scorso il Santo Padre ha indicato ai giovani una serie di elementi che potrebbero anche rappresentare il punto di partenza di un programma politico di rinnovamento. Tra questi: agire per la sostenibilità ambientale insieme alla sostenibilità “umana”, cominciando dalla natalità, su cui il governo di Mario Draghi ha già investito in maniera inedita; rifiutare il capitalismo tradizionale e non tradire la domanda giusta al “lavoro degno”; produrre “senso”, invece di materialismo; essere coerenti tra idee, parole e azioni.

Elementi che richiedono anche soggetti politici di scala europea e un impegno nazionale con orizzonte di scala continentale.

Nel nostro sistema politico è significativo che i soggetti esplicitamente populisti, come la Lega (dal 17,5% all’8%) o il Movimento 5 Stelle (dal 32,6% al 15%), siano stati penalizzati dagli elettori rispetto al passato. L’inconsistenza e la miopia delle politiche populiste, contrapposte a politiche per il popolo capaci di creare vera solidarietà sociale, hanno illuso e tradito gli elettori in questi anni, con nemici immaginari o promesse irrealizzabili.

Meloni dovrà vedersela con una sessione di bilancio molto rigida, con un sistema fiscale che genera diseguaglianze, una economia quasi in recessione e un contesto globale in ebollizione. Si vedrà quanto riuscirà a governare le anime populiste della sua maggioranza. In questa congiuntura internazionale, la stabilità dell’Unione dipende anche dalla politica interna dell’Italia. L’attenzione è puntata sulle scelte di politica estera e sul rispetto dei diritti che il probabile esecutivo guidato da Meloni sarà in grado di esprimere.

Molti delusi dal populismo non hanno votato (circa il 36%), ma la comunità politica si basa su un patto fondamentale: gli elettori hanno, sì, il diritto-dovere di corrispondere alla chiamata al voto per selezionare i propri rappresentanti. Ma questo dovere esiste in ragione del diritto-dovere, eguale e contrario, dei soggetti politici di proporre persone adeguate e un’offerta politica chiara.

Ecco perché l’astensione il “grande vuoto”come lo chiama Damilano sul primo numero del mensile “Politica” del Domaniè qualità di una classe politica bassa:simul stabunt, simul cadent”.

Lo ricorda, sempre su Politica, anche padre Francesco Occhetta: l’astensione è il risultato di una situazione dove non c’è «nessuna mediazione sociale. Nessuna reale partecipazione. Solo l’illusione del contatto diretto con il popolo». Bisogna invece «credere nella forza dei legami sociali» e «riaccendere quel fuoco che dà vita agli enti intermedi».

Per il presidente della CEI, cardinal Zuppi, il nuovo Governo «dovrà dare dignità alla politica e quindi saper affrontare nella maniera più alta le grandi sfide che ci attendono, nella difesa dell’interesse nazionale ed europeo, che è poi la vera domanda dell’elettorato».

Non resta che attendere le risposte del prossimo Governo, sicuri del ruolo delicato e di garanzia che in questa fase avrà la Presidenza della Repubblica.