di Alessandra Luna Navarro
“Spezzare il pane della Scienza” è un’espressione comune. Significa mettere a disposizione di qualcuno le proprie conoscenze, donare all’altro ciò che si è appreso. Questa immagine semplice di un gesto quotidiano e fraterno racchiude il fuoco motivazionale della scienza: scoprire e conoscere per poi poter donare alla propria comunità. Il gesto dello spezzare il pane non è però una mera donazione o un’offerta, ma è dono che genera “vita” all’interno di una dimensione comunitaria, in cui si dà in “caritas” il meglio di noi all’altro per farlo vivere in pienezza.
La verità, o meglio l’impegno a perseguire la verità, quando si fa Scienza rappresenta invece il “come” occorra generare e spezzare il pane della Scienza. Senza verità non ci possono essere rispetto e donazione di vita. Verità non significa solo risolutezza nel seguire metodologie verificate e nel non falsificare dati, ma anche ammettere onestamente i limiti intellettuali del nostro lavoro, affermare con chiarezza dove non si hanno certezze, cosa sia stato frutto di una collaborazione e ammettere, anche davanti allo studente o a un cliente, di non sapere.
Due sono i principi cardine del fare Scienza: il donare con carità per generare vita e il perseguire con impegno la verità. Secondo questi principi possiamo anche reinterpretare le parole di Ulisse nella Commedia «fatti non foste per viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscienza» (Inf., XXVI, 119-120)
Al di là delle molte sfumature in cui questi due principi si declinano nel nostro vivere quotidiano, e i molti luoghi in cui generiamo Scienza, dalle Scuole all’Università, dai nostri luoghi di lavoro ai luoghi di incontro e associazionismo, è fuor dubbio che si tratti di due principi carichi di forza spirituale. Non a caso, durante le cerimonie di laurea o di proclamazione di cariche acquisite, si “giura” con formule simili a preghiere e all’interno di atmosfere quasi “religiose” l’impegno di rispettare entrambi questi principi.
Tre fattori limitano oggi la nostra capacità di “spezzare il pane della Scienza”. In primis, un certo atteggiamento riduzionista al sapere. La tendenza contemporanea alla specializzazione, al concentrarsi su un particolare dominio o tema del sapere, che ha consentito di raggiugere alti livelli di conoscenza, ha avuto come conseguenza la frammentarietà della conoscenza stessa, creando muri e “fraintendimenti” tra ambiti solo apparentemente opposti del pensiero. Scienza e fede, soggettiva e oggettività: sono molte le dicotomie che costellano il nostro panorama scientifico.
La realtà, però, è una e l’essere umano è unità. La coscienza unificante del soggetto, ossia la persona, ha in sé più canali di conoscenza: quella razionale, sensoriale, estetica, etica, filosofica, teologica. Per questo motivo è legittima, pur nel rispetto dei diversi statuti epistemologici un’interlocuzione tra approcci diversi. L’attuale riduzionismo ad un unico modo di fare Scienza allontana quest’ultima dallo “spezzare il pane” e dalla “verità”. Ad esempio, le incursioni tra biologia e fisica, tra psicologia ed economia, tra elettronica e psicologia sono motore di innovazione profonda. Per esempio, le incursioni in campo biologico del fisico Niels Bohr, durante la conferenza Light and Life del 1932, spinsero alcuni giovani fisici quantistici (tra i quali Max Delbrück) a raccogliere la sfida e a individuare nelle mutazioni genetiche un fertile campo di ricerca. Come disse Stephen Gouldoccorre riconoscere che Scienza e Fede sono “Non overlapping Magisteria”, ovvero hanno statuti epistemologici paralleli, indipendenti e quindi non conflittuali, con differenze nell’approccio e nella tipologia di ricerca. È facile vedere che questo vale anche per la filosofia, l’arte, la letteratura, la musica e altri campi del sapere solo apparentemente contraddittori. Invece di frammentare, dobbiamo creare approcci integrati che riescano a vincere le sfide di oggi, che sono intrinsecamente multidisciplinari.
In secondo luogo, la velocità con cui siamo chiamati a fare Scienza o semplicemente a elaborare opinioni e scrivere nei media sta diventando una grande barriera. Sbagliamo «perché spesso andiamo di fretta, ragioniamo in maniera superficiale e sbrigativa e ci basiamo su conoscenze o convinzioni malsicure, soltanto perché sono le prime che ci vengono in mente». Boncinelli e Calvaruso (autori di Che cosa abbiamo nella testa?, pubblicato a maggio 2021) hanno recentemente scritto che è in definitiva tutto un problema di «precipitazione, specialmente se accompagnata da un interessamento tiepido e talvolta anche da testardaggine». La fretta e la ripetizione, anche di notizie false, «induce molti a credere che sia la realtà dei fatti, perché la familiarità di un concetto tende a confondersi con la verità».
In terzo luogo, c’è la tendenza ad attaccare l’altro per difendere la propria posizione intellettuale o sfera di influenza. “Spezzare il pane della Scienza” necessita invece di un dibattito costruttivo e di ambienti che aiutino a leggere i propri errori. Ri-leggere la propria esperienza è un esercizio fondamentale da fare sia da soli che insieme alla nostra comunità. Occorre insegnare agli studenti che l’errore non è mai il problema, il vero problema è non accettarli e non mettersi in gioco.
L’esame di coscienza di Sant’Ignazio, in questo senso, ci aiuta a riflettere sulla nostra esperienza per poter leggere e comprendere quello che abbiamo vissuto. Insegnare la Storia aiuta ad evitare gli errori del passato. Ma per evitare di lavorare su percezioni errate o deformate, pregiudizi e ideologie estranee al giudizio critico, occorre incontrare l’altro e farlo insieme: stare con gli altri, mettersi in gioco, dibattere in onestà.
Le grandi sfide di oggi, ovvero la pace, il pianeta e la democrazia, richiedono un approccio olistico e mai riduzionista, dove tutti i “magisteri” trovino il proprio posto. Ma soprattutto hanno bisogno di una comunità capace di “spezzare il pane della Scienza” con verità e carità.