Il 25 novembre ricorre la giornata internazionale contro la violenza di genere, istituita nel 1999 dalle Nazioni Unite in memoria delle sorelle Mirabal violentate e uccise il 25 novembre 1960 in Repubblica Dominicana. I dati ISTAT mostrano uno scenario italiano preoccupante: il 31,5% delle donne ha subito nel corso della propria vita una forma di violenza fisica o sessuale. Inoltre, gli atti di violenza più gravi sono condotti dalla cerchia più intima degli affetti ossia partner o ex partner, parenti o amici. Anche da una mera prospettiva economica, si sottovaluta l’impatto che questo fenomeno produce. Si stima che la violenza di genere costi all’Unione europea 286 miliardi di euro l’anno. Ad oggi nulla si investe in prevenzione. Una delle proposte è agire nelle scuole primarie sulla educazione affettiva, perché il valore del rispetto si impara nell’infanzia, così come un presidio offerto da uno psicologo di base. Altri ritengono utile supportare le famiglie creando istituzioni e servizi ad hoc.

In questi giorni la storia di Giulia Cecchettin sta portando la società tutta a riflettere sulla vulnerabilità delle donne di fronte alla violenza, così come sul rapporto tra i generi. Colpisce la giovane età della studentessa e che, alla luce dei fatti emersi, la giovane avesse tentato di allontanarsi dal suo aguzzino che la ricattava affettivamente, minacciando di togliersi la vita. Emerge anche la frustrazione dell’assassino verso i successi di Giulia: la giovane stava per laurearsi. Con sfumature diverse, la storia di Giulia è la storia di tante persone e per questo risuona così forte in noi. Emerge che la maggioranza delle donne ad oggi è sprovvista di strumenti per prendere consapevolezza e allontanarsi da una situazione potenzialmente pericolosa. Gli studi mostrano infatti che mentre le donne considerano intollerabile ogni forma di violenza verso le altre, quando si tratta di se stesse tollerano gli stessi trattamenti. Affrontare il tema della violenza di genere è una precondizione per la parità di genere.

Secondo il World Economic Forum per eliminare il divario di genere ci vorranno, alla velocità attuale, altri 130 anni. Per questo il PNRR voluto dall’Europa ha la parità di genere come obiettivo trasversale. In Italia il divario tra uomini e donne è particolarmente marcato: solo il 50% della popolazione femminile lavora e le donne occupate guadagnano in media meno degli uomini. Inoltre, l’esperienza della maternità penalizza di 33 punti le donne in termini di reddito e di crescita professionale. L’asimmetria nasce all’interno delle mura domestiche poiché il lavoro di cura della famiglia non è ben bilanciato nella coppia. Tale fenomeno dà luogo alla c.d. discriminazione statistica. In parole semplici, dato che ci si aspetta che la gran parte delle donne avranno la stessa attitudine di maggior cura domestica, le imprese sono poco incentivate a dare aumenti e promozioni alle donne. Per questo servono politiche pensate ad hoc. Ad esempio, per prevenire la differenza salariale l’UE ha da poco approvato una direttiva che impone alle imprese di una certa dimensione di rendere pubblici i dati relativi alle retribuzioni.[1] Una maggiore trasparenza renderà più difficile applicare trattamenti discriminatori.

È interessante ricordare che quest’anno il premio Nobel per l’economia è stato assegnato alla Professoressa Claudia Golin della Harvard University, per aver individuato le cause del divario di genere. Tra i suoi lavori più celebri si trova “Orchestrare l’imparzialità: l’impatto delle audizioni “al buio” sulle musiciste”.[2] Questa ricerca parte dal notare che nelle orchestre americane la quasi totalità dei musicisti fossero uomini. Lo studio osserva che se inizialmente le audizioni venivano fatte di fronte alla giuria, a partire dagli anni ’70 vennero fatte con la giuria dietro un paravento, c.d. “blind auditions”. I risultati mostrarono che, con questa accortezza, molte più donne furono selezionate, confermando che lo svantaggio femminile è dovuto ad un (inconsapevole) atteggiamento discriminatorio.

In questi giorni si sta parlando molto di stereotipi e del loro ruolo nella violenza di genere. Gli stereotipi sono opinioni precostituite e generalizzate, strutture che consentono al cervello umano di semplificare la realtà. Accanto a quelli di cui siamo consci, si trova la categoria più pericolosa dei c.d. “unconsious bias” ossia i pregiudizi che ciascuno di noi non sa di avere. È importante quindi prendere coscienza dell’esistenza di questo fenomeno e intervenire per correggere gli effetti che esso produce, con piccoli accorgimenti non costosi ma molto importanti, come nel caso delle orchestre musicali.

Accanto a queste misure, c’è un cammino che ciascuno può fare per contrastare e prevenire ogni forma di violenza di genere. Con questo spirito si può immaginare una società che fa un “esame di coscienza” andando alla radice della violenza di genere e scegliendo di scriverne la fine, come chiesto da Elena Cecchettin, sorella di Giulia, ultima vittima di femminicidio. L’esame di coscienza consente di passare in rassegna la propria vita: “ecco che giunge il momento di prendere le distanze dal male e dal peccato proponendoci non solo di non ricommetterlo nell’avvenire ma anche cercando di trovare un modo per prevenire le future cadute.”

Le regole del discernimento dei Gesuiti potrebbero essere strumento potentissimo in questa direzione. Scrive P. Occhetta “Discernere vuol dire setacciare, vagliare, distinguere le voci del cuore che ci abitano per poter fare scelte libere, responsabili e consapevoli.”[3] È quel “sentirsi dentro” e guardarsi come Dio ci vede e così comprendere verso dove direzionare la propria vita. Guardando nel profondo, ciascuno può riconoscere il male nella propria esistenza. Ce lo insegna la seconda regola del discernimento ignaziano. Il male si rivela per le sensazioni che ci provoca: rimorsi, tristezze, impedimenti, turbamenti immotivati. Viceversa, le esperienze luminose e di bene ci donano coraggio, forza, consolazione, ispirazioni e pace. Bisogna riscoprire questa potente regola per potare quei rami dell’albero della nostra esistenza che ci appesantiscono e, nei casi più gravi, uccidono. Bisogna farlo vincendo la paura della solitudine e costruendo reti di persone veramente amiche. Lo dice il Papa “Nessuno può affrontare la vita in modo isolato […]. C’è bisogno di una comunità che ci sostenga, che ci aiuti e nella quale ci aiutiamo a vicenda a guardare avanti. Com’è importante sognare insieme!”.[4]

[1] Direttiva (UE) 2023/970 del 10 maggio 2023 volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione.

[2] Claudia Goldin and Cecilia Rouse “Orchestrating Impartiality: The Impact of “Blind” Auditions on Female Musicians.” American Economic Review, (2000) 90 (4): 715-741.

[3] http://www.francescoocchetta.it/wordpress/?p=228.

[4] Discorso nell’Incontro ecumenico e interreligioso con i giovani, Skopje – Macedonia del Nord (7 maggio 2019): L’Osservatore Romano, 9 maggio 2019, p. 9.