di Michele Faioli

Ci sono almeno tre regole che bisognerebbe tenere in mente mentre si cerca di capire la realtà che emerge in queste settimane pre-elettorali. Sono regole che conosciamo più o meno tutti, spesso inapplicate per malavoglia o, in alcuni casi, per profondi pregiudizi ideologici. Sono regole che si rifanno anche all’insegnamento di Papa Francesco. La prima regola riguarda la critica. Perché sia costruttiva deve provenire “da dentro”, cioè da quei valori che si hanno in comune. La seconda è relativa al saper guardare con attenzione i beni che sono in gioco, bilanciando nella situazione specifica le priorità rispetto al resto. La terza è la più complicata: contare più di due, forse anche più di tre, per superare le divisioni che si pongono naturalmente negli ambienti-bolle in cui spesso operiamo, viviamo e lavoriamo. Questo determina una certa precisione nel decidere di non discutere con chi tende a polarizzare il discorso politico-partitico e con chi confonde la controparte con false contraddizioni. 

Facciamo un esempio, focalizzando l’attenzione su un valore che si può considerare valore comune, in relazione al quale la priorità è quasi scontata (o dovrebbe esserlo) e in ragione del quale le divisioni sui mezzi per raggiungere il fine potrebbero essere enormi: il futuro dei giovani. Questo valore comune si traduce in politiche che dovrebbero permettere un certo riequilibrio intergenerazionale nella gestione del debito pubblico e della crescita. Infatti, i giovani più di altri subiscono e subiranno, da una parte, le conseguenze delle crisi economiche e sociali di questi ultimi anni e, dall’altra, il peso della responsabilità della ricostruzione. Alcuni stanno segnalando sistematicamente il tema (tra questi, A. Rosina – Il Sole 24 ore, articolo del 22 agosto 2022, e C. Cerasa – Il Foglio, editoriale del 20 agosto 2022), anche alla luce dell’attuazione del PNRR, che ha tra gli obiettivi trasversali i giovani e, quindi, il loro futuro lavorativo e formativo. Il PNRR, poco o mal citato nei programmi elettorali, soprattutto con riferimento ai giovani, è la via maestra per attuare quel riequilibrio intergenerazionale. Le ingenti risorse del PNRR non derivano dalla bravura o dalla sagacia di qualcuno nel saper negoziare con le istituzioni europee, ma dalle gravi inefficienze che, accumulatesi per anni nel nostro paese, sono esplose con la pandemia in settori strategici per il bene della collettività e, in particolare, dei giovani (infrastrutture, digitalizzazione, PA, scuola, lavoro, sanità, etc.). In altre parole, il valore del PNRR italiano è inversamente proporzionale a tutto ciò che avremmo dovuto fare negli ultimi trent’anni e che non abbiamo fatto, anche per i giovani!

Applichiamo le regole all’esempio scelto, ponendo qualche domanda ai partiti, a circa 30 giorni dal 25 settembre 2022. Il numero 30 è anche relativo, in modo più o meno condiviso, alla soglia massima di età a cui si fa riferimento per individuare i giovani, anche se ci sono programmi elettorali che indicano persino la soglia dei 36 anni! Il valore comune è il futuro dei giovani. Fin qui dovremmo essere tutti d’accordo. Il punto nevralgico riguarda, invece, la seconda regola, quella relativa al bilanciamento tra interessi diversi, con la conseguente selezione delle politiche più adatte. 

Ci sono alcune misure facili da propagandare: il bonus di 10.000€ ai diciottenni, la trasformazione dei tirocini in forme di lavoro retribuito, gli ulteriori interventi sulla disciplina del lavoro a termine, le borse di studio per meriti sportivi, la detassazione sulle assunzioni, i mutui agevolati per la prima casa. Queste proposte rispondono a una prospettiva di do ut des tipica delle fasi pre-elettorali, dove l’erogazione di denaro pubblico o lo sconto fiscale-contributivo diventa un modo per veicolare il voto degli indecisi. Queste misure abbondano, in alcuni casi in modo eclettico, nei programmi che circolano in questi giorni. Tuttavia, mancano del tutto o sono poco intuibili quelle misure che sono difficili da propagandare, cioè quelle che il PNRR ha tracciato in una logica di superamento delle nostre inefficienze trentennali del mercato del lavoro e della scuola, su cui ci sono tanti problemi applicativi.

Si tratta di quelle misure che possono fare davvero la differenza per il futuro dei giovani. Anzi, a ben pensarci, il PNRR, in qualche modo, è una carta dei diritti dei giovani perché fa riferimento anche a queste misure difficili, come quelle misure sull’orientamento e sul matchmaking professionale che possono superare il complesso quadro di regionalismo differenziato, che di fatto blocca la mobilità sociale dei nostri giovani. Oppure, la riforma della scuola e degli ITS, anche in relazione ai lavori del futuro,  alla digitalizzazione della PA e dei relativi servizi, alla creazione di nuove infrastrutture per la transizione energetica, etc. Tutto ciò riguarda il futuro, dunque le nostre figlie e i nostri figli che beneficeranno di un sistema più adatto ai nuovi rischi globali che si dovranno affrontare.

Su queste misure, per usare le parole del presidente Draghi, il debito è buono perché assume un significato concreto per il futuro: non sussidi, non bonus, non mutui agevolati, ma più lavoro, più merito, più formazione, più opportunità. In questa prospettiva, per esemplificare, il 31 dicembre l’Italia dovrà dimostrare di aver realizzato una serie di ulteriori obiettivi per chiedere la terza rata da 19 miliardi di euro. Difficilmente quelle risorse economiche potrebbero essere utilizzate per misure che non solo non rispondono ai criteri di superamento delle inefficienze strutturali del nostro paese, ma che ne possono aggravare le cause.  

Ma quale spazio sta trovando il PNRR, nella relativa sezione giovani, nei programmi elettorali? Il centrodestra intende cambiare il PNRR, ma è irrealizzabile, oltre che pericoloso. Per il Pd e per il Terzo Polo il PNRR è centrale: si attua, non si cambia. E per il M5S? Pare ci sia una certa intenzione di chiedere, forse, un adattamento del programma, ma nel rispetto delle regole europee.

Il test sarà facile da fare. Dobbiamo attendere il 26 settembre. E il test si farà su queste tre domande, due di senso e una di metodo. La prima è: quel partito, quello per cui sto decidendo di votare, sa che privare un giovane del futuro è una forma di diseguaglianza, forse la più grave? La seconda: quel partito è consapevole che il debito derivante dalla crisi di questi ultimi anni sarà ripagato domani dai giovani di oggi? La terza: quel partito intende garantire ai giovani più strumenti di emancipazione (cioè formazione, orientamento professionale, servizi per l’impiego, etc.) o solo forme passive di sostegno al reddito?