di Marco Fornasiero

La politica, intesa come arte, cambia con il tempo le sue forme, ma rimane immutata nella missione che, da Aristotele in poi, le è stata attribuita. La politica respira con due polmoni: quello del “fare”, fatto di campagne elettorali, comizi e ricerca di consenso, e quella dell’essere, che invece tocca la parte più legata alle motivazioni e ai principi, alla spiritualità e al senso della vita che determina l’agire politico di un candidato o la linea politica di un partito. Questi due elementi danno ossigeno alle crisi e permettono di trovare soluzioni a problematiche di diverso tipo. Inoltre, come una partita richiede molto allenamento, l’agire politico ha bisogno di formazione.

L’Italia, in questo, ha storicamente una tradizione molto forte. Partiti come la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano devono la loro longevità in gran parte al lavoro svolto dalle associazioni collaterali e dalle scuole di formazione politica che garantivano su scala locale e nazionale, la preparazione della “classe dirigente”. La prima scuola a sorgere nel PCI è stato l’Istituto Gramsci, inizialmente attivo come vera e propria scuola partitica, per poi connotarsi maggiormente come centro studi e nucleo di ricerca politica e sociale. Dopo la Liberazione venne fondata la prima vera scuola di partito, al chilometro 22 della via Appia a Frattocchie, nella periferia di Roma, a cui presero parte membri dei comitati federali, delle segreterie di federazione, sindacalisti e giornalisti.

Nella Democrazia Cristiana, invece, erano le organizzazioni collaterali a partecipare alla selezione della classe dirigente. Tra le maggiori c’erano l’Azione Cattolica, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI) e l’allora Movimento dei Laureati Cattolici (oggi MEIC). Queste ultime, infatti, contribuivano in diversa maniera alla formazione politica e sociale dei cittadini: l’Azione Cattolica garantiva una presenza capillare nei territori a partire dalle parrocchie, alle quali corrispondevano le sezioni di partito; la FUCI e poi il MEIC hanno contribuito alla formazione spirituale delle giovani generazioni nel periodo universitario. Gli anni che hanno visto Giovanni Battista Montini, poi Papa Paolo VI, assistente della FUCI (1925 – 1933) sono stati determinanti per la formazione di una intera classe dirigente che ha contribuito, assieme al PCI, alla ricostruzione del Paese nel secondo dopoguerra.

Queste esperienze formative facevano vivere ai cittadini una esperienza comunitaria che li proiettava già verso una dimensione politica che trovava la sua forza e la sua sintesi nelle competenze. La chiamata a prendersi cura della cosa pubblica è certamente una vocazione, ma è anche un mestiere da svolgere con conoscenza e capacità. Le competenze, unite alla sfera comunitaria, hanno fatto si che “i quadri” della politica potessero tracciare un percorso duraturo nel tempo, non soggetto alle fluttuazioni del consenso e soprattutto non sottomesso alle persone, in quanto era il partito la struttura preposta a garantire la continuità delle idee nel tempo.

Viene in mente l’immagine di Henry Kissinger che, come Consigliere per la sicurezza nazionale e Segretario di Stato degli Stati Uniti durante le presidenze di Richard Nixon e di Gerald Ford, si rivolse all’allora Ministro degli Esteri italiano – Aldo Moro – con preoccupazione per la facilità con la quale i governi in Italia cambiavano. Moro rispose “ma siamo sempre noi”, proprio a intendere la forza e la continuità del partito.

Oggi i partiti politici hanno assunto ruoli e rilevanze differenti, come mostra il calo di iscrizioni e partecipazione degli ultimi anni. Spesso è conveniente cavalcare il risentimento e l’indignazione per ambire alla ricerca del consenso, piuttosto che attendere i frutti di quanto seminato negli anni. Così facendo, però, l’arte della politica si riduce alla ricerca del migliore offerente e i leader politici fanno del trasformismo il loro migliore alleato.

Per questo oggi è necessario avviare un nuovo percorso nel Paese che prediliga la formazione e le competenze alla ricerca strumentale di notorietà e di immediatezza. Comunità di Connessioni cerca di metterlo in pratica da anni. Chi ci legge e ci accompagna lo sa: siamo una comunità che da oltre un decennio riflette e dibatte sui grandi temi del Paese. Per noi la formazione e le competenze sono i primi strumenti dell’azione politica e la pluralità, anche nelle differenze (che sono un valore), hanno un effetto moltiplicatore e non escludente.

Il 9 – 11 settembre, per il secondo anno consecutivo ci incontreremo a Monterosso, al Santuario di Nostra Signora di Soviore, per il congresso annuale. Momento di sintesi, di bilanci e di ripartenza verso un nuovo anno, consci delle sfide che ci aspettano e della responsabilità che soprattutto ai giovani è stata affidata dalle istituzioni. Del resto, come diceva Aldo Moro, “per fare le cose ci vuole il tempo che ci vuole”.

Lo abbiamo scritto anche lo scorso anno. Mettersi al servizio di ideali, delle persone e del Paese è la nostra missione. Molti di noi, silenziosamente, già operano in questo senso. Supportano, con ruoli diversi, famiglie, quartieri, comunità locali, città, province, regioni, istituzioni nazionali, dal Parlamento ai Ministeri.

Non intendiamo il servizio come una forma di carità, ma come un debito di giustizia verso la collettività, per restituire quello che ci è stato dato. In inglese si dice “give back”. È vero: in molti contesti, diversi dal nostro, non funziona. Crediamo che il motivo sia la mancanza di spiritualità della comunità, senza la quale la coscienza e le competenze inaridiscono. Tutti possiamo restituire. Non si tratta di “se” ma di “cosa”. I giovani che hanno ricevuto la formazione in Comunità di Connessioni possono restituirla ai loro territori, alle loro diocesi. Ma anche chi ha fatto qualche passo in più nella vita e nella professione può restituire gli insegnamenti che ha ricevuto a chi entra a far parte della nostra Comunità.  Sono solo due semplici esempi che aiutano a comprenderne il significato. In un disegno più grande di noi, tutto è connesso e le strade si incrociano.

Vogliamo continuare a lavorare sul nostro essere comunità per essere uniti, ed includere l’omogeneo, aperti, ed includere meglio l’eterogeneo, generativi, e lasciar fiorire, prendersi cura e lasciare andare. la nostra è una Comunità aperta, anche alle idee, ai suggerimenti, alle provocazioni. Questo Congresso integra la dimensione spirituale con quella di discernimento, è per questo che ci ascoltiamo molto per progettare e guardare insieme alla stessa direzione. Per un futuro pieno di speranza il segreto è continuare ad operare con sobrietà, tenendosi per mano, senza frastuono, in povertà, facendo sacrificio negli studi e ridonando ciò che abbiamo ricevuto per amministrare il Paese nei suoi vari livelli.