di Tommaso Galeotto

Calato il sipario sulle elezioni del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, occorre riportare al centro della scena un tema che lo stesso Capo dello Stato, nel corso del suo discorso di (re)insediamento, ha richiamato a gran voce, quello dei giovani e della loro condizione lavorativa. Il Presidente, parlando di come le nuove generazioni siano esposte al rischio di rimanere intrappolate in “periferie esistenziali” e in lavori precari e sottopagati, lo ha detto chiaramente: urge un cambio di rotta. Non meno severi sono i numeri. La percentuale relativa alla disoccupazione giovanile sia aggira intorno al 30%[1], la quota di Neet (Not in Education, Employment or Training) nel pieno della pandemia ha superato il 20%[2] e i giovani italiani vivono il periodo di transizione dalla fine degli studi fino all’ottenimento di un lavoro, più o meno stabile e soddisfacente, tra i più lunghi in Europa[3]. Una vera e propria “questione giovanile”, che si scontra con quello che il maestro Francesco Guccini ha definito il “perbenismo interessato” di tanti attori del dibattito pubblico, che lasciano spazio ai comizi ma chiudono le porte al coraggio di scelte necessarie per dare una svolta al sistema di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

Secondo l’ultimo rapporto Anpal, tra il 2014 e il 2019 sono stati attivati quasi 2 milioni di tirocini extracurriculari, meglio noti come stage. In questo oceano di stagisti, l’82% aveva meno di ventinove anni e per oltre il 35% dei casi totali il tirocinio rappresentava lo strumento di primo approccio al mondo del lavoro. La stessa Garanzia Giovani (l’iniziativa europea per contrastare la disoccupazione giovanile[4]) si è in realtà rivelata un’arma a doppio taglio: tanti finanziamenti ma utilizzati per le misure meno efficaci. “Grazie” a questo programma, tra il 2014 e il 2021, sono stati quasi 560 mila gli stage attivati, snobbando totalmente altri strumenti a maggior tutela retributiva, contributiva e formativa come, ad esempio, l’apprendistato che ha visto attivati nello stesso periodo solo 1.493 contratti, lo 0,1% del totale delle misure della Garanzia. Un’occasione mancata per dare struttura e forma alla fase di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro che non sia solo quello di uno strumento come il tirocinio. Una misura che sulla carta millanta obiettivi formativi, di orientamento e di facilitazione nel contatto con il mondo del lavoro, ma nella pratica si traduce, troppo spesso, in uno periodo di prova per testare l’ossatura del giovane o della giovane o altrimenti, nello scenario più sconfortante, nell’ingaggio di mano d’opera a basso costo.

È in questo quadro che la Legge di Bilancio 2022, per via di un emendamento proposto dal Ministero del Lavoro, ha improvvisamente provveduto ad incaricare la Conferenza Stato-Regioni di esprimersi, entro sei mesi, per la definizione di nuove linee guida sui tirocini extracurriculari, ai fini di una «revisione della disciplina, secondo criteri che ne circoscrivano l’applicazione in favore di soggetti con difficoltà di inclusione sociale», prevedendo altresì il «riconoscimento di una congrua indennità di partecipazione». Una formulazione che lascia l’esito tutt’altro che scontato. Sulla regolazione dei tirocini finalizzati all’inclusione sociale sono, infatti, già in vigore delle linee guida, frutto di un precedente accordo raggiunto in sede di Conferenza Stato-Regioni nel gennaio del 2015, che definiscono gli standard minimi per la regolazione dello strumento a favore di persone prese in carico dal servizio sociale professionale o dai servizi sanitari competenti. Pertanto, un eventuale ristringimento del campo di applicazione dei tirocini a questa categoria, che tra il 2014 e il 2019 ha rappresentato solo il 3% dei tirocinanti[5], potrebbe sostanzialmente significare la fine dei tirocini extracurriculari, mandando a benedire anche quelli rivolti a neolaureati e neodiplomati da non più di dodici mesi, stipulati nell’ambito di una convenzione tra università/istituti formativi e imprese, che rappresentano il “volto buono del tirocinio” per via di una migliore tutela formativa ed un maggiore riparo dagli abusi di cui siamo soliti sentire.

Lasciando però da parte i pronostici circa l’orientamento che assumerà la Conferenza Stato-Regioni, occorre fare un ulteriore giro di vite. Sull’onda del dibattito circa l’abolizione o meno di (quasi) tutti i tirocini extracurriculari, sembra che nessuno si stia preoccupando di progettare il dopo. Tra le priorità, occorre rendere più facilmente accessibili alle imprese strumenti alternativi e migliori agli stage non curriculari, come l’apprendistato, creando magari un tandem vincente con i tirocini curriculari, ossia quelli svolti durante il periodo di studi, per rafforzare lo sviluppo di competenze e capacità spendibili nel mercato già prima dell’ingresso “ufficiale” nel mondo del lavoro. Pensare che l’abolizione, o il forte ridimensionamento, dei tirocini extracurriculari possa essere la soluzione a tutte le problematiche dell’occupazione giovanile rappresenta, infatti, un’illusione. Senza mettere insieme il puzzle degli strumenti e degli attori utili a migliorare la prassi di incontro tra domanda e offerta di lavoro, ponendo in sinergia il sistema formativo con il sistema lavorativo, si corre anche il rischio di rafforzare modalità di ingaggio irregolari, che, come mostrato da una recente ricerca Adapt-Unipolis, in alcune aree del paese viene dichiarato come forma di primo avvicinamento al lavoro già durante il periodo di studi da quasi il 40% dei giovani.

Se mettere fuori gioco tutti gli strumenti e le modalità di abuso lavorativo è importante, aprire un dibattito su quali fondamenta (ri)costruire il patto tra giovani e lavoro è fondamentale. Parafrasando Franco Battiato, non sarà facile trovare l’alba dentro l’imbrunire. Ma provare ad essere creativi e non cinici nell’affrontare i problemi è un dovere, soprattutto se parliamo delle nuove generazioni.

 

[1] Dati Eurostat.

[2] Dati Eurostat

[3] Vedi Eurostat; Pastore, 2020.

[4] Vedi rapporto Anpal.

[5] Vedi report Anpal.