Le elezioni americane di metà mandato restituiscono due elementi su cui vale la pena soffermarsi: il voto dei giovani, il senso complessivo di queste elezioni rispetto ai temi trattati. Da questi è possibile trarre alcune conclusioni sulle dinamiche della politica americana, a partire da quelle interne al partito repubblicano. Prima, però, bisogna chiarire per che cosa si è votato: gli elettori americani sono stati chiamati a eleggere tutti i 435 deputati della House of Representatives e 34 senatori su 100, cioè un terzo del Senato. Ma non solo: hanno votato anche per 36 Governatori su 50 degli Stati federati. Questa grande mobilitazione democratica, di scala continentale, avviene a metà del mandato del Presidente, Joe Biden, eletto a novembre 2020 per il Partito Democratico, il cui mandato scadrà nel 2024. Solitamente alle elezioni di metà mandato (midterm) vince il partito opposto a quello del Presidente in carica, come già era avvenuto nel caso di Clinton, Obama, Trump.
Questa volta, nonostante i risultati siano ancora ufficialmente provvisori, la tendenza si è confermata solo in parte. Il Partito Repubblicano dovrebbe conquistare di misura la Camera, mentre il Senato è ancora in bilico con una possibile clamorosa difesa della Senato da parte dei Democratici. Fino al voto, i Democratici controllavano di poco la Camera e avevano la maggioranza di un voto al Senato. Conservare il controllo del Senato darebbe al Presidente un margine di manovra in politica estera e in materie fiscali.
Nell’incertezza dei risultati definitivi, possiamo notare che perdere la maggioranza all’intero Congresso sarebbe comunque un colpo per l’agenda del Presidente. Significa dover negoziare con i Repubblicani ogni mossa sulle importanti competenze federali del Parlamento. Tuttavia, per le ragioni che vedremo adesso, è arrivato un colpo meno forte di quanto ci si aspettasse.
La prima riguarda la partecipazione dei giovani al voto. Sembra che la mobilitazione dei più giovani tra i 18 e i 29 anni sia stata fondamentale in entrambi gli schieramenti: nel Grand Old Party per mettere in minoranza la frangia populista e nel Partito Democratico per guidare la rimonta.
La seconda riguarda proprio il merito del confronto politico in campagna elettorale. Gli elettori si sono espressi su diverse questioni di principio relative a temi su cui il Congresso non è davvero chiamato in causa, come ad esempio l’aborto. Infatti, dopo la sentenza Dobbs vs Jackson del 2022, la competenza in materia è tornata agli Stati federati, con una inversione rispetto a precedenti decisioni della Corte Suprema. Altro oggetto di confronto polarizzante, sul versante dei Repubblicani, riguarda la fragilità del sistema istituzionale. Infatti, una percentuale significativa di elettori repubblicani sostiene ancora che le elezioni del 2020 siano state compromesse da brogli a favore di Biden e non riconosce la legittimità del Presidente in carica.
Al netto di queste questioni, il dibattito è stato progressivamente spostato sul cuore della politica americana, l’economia. Gli USA crescono, nonostante l’inflazione, ma tutto sommato le politiche di Biden stanno lentamente dando frutti. Sull’inflazione hanno puntato molto i Repubblicani, mentre i Democratici sulla difesa della democrazia dagli estremisti trumpiani. Questi e altri temi hanno contribuito, come da tradizione e, forse, come richiede il sistema costituzionale americano, a celebrare le elezioni di metà mandato come momento per restituire al Presidente l’umore generale della Nazione nonché l’approvazione del suo operato generale.
Questi aspetti, insieme con il risultato dei Repubblicani più contenuto di quanto previsto, come notano diversi autorevoli commentatori, influenzano la dinamica politica soprattutto guardando in prospettiva alle elezioni presidenziali del 2024. Biden ha tenuto, ma la sua eventuale ricandidatura, di fronte all’elettorato dubbioso e con i giovani del partito in pressing, esiste solo in relazione alla possibile ripresentazione di Donald Trump, la sua nemesi. Proprio “The Donald” sembrava in procinto di ricandidarsi soprattutto perché, sondaggi alla mano, confidava in un risultato elettorale più marcato per i Repubblicani. Aveva parlato di una “onda rossa” (colore del Partito) che si sarebbe abbattuta sul Congresso. Questa volta in riferimento ai voti e non ai militanti repubblicani della sua frangia (che sono chiamati “MAGA”, Make America Great Again) che nel gennaio 2021 proprio lui non aveva scoraggiato dal “marciare” con la forza nel Parlamento. Un’onda rossa che non c’è stata, abbinata alla sconfitta di diversi candidati esplicitamente appoggiati da lui (Mehmet Oz, Doug Mastriano e Don Bolduc). Le parole violente dell’ex Presidente Trump questa volta non hanno attecchito, anche perché il contesto è cambiato, con l’inflazione, la guerra sullo sfondo, il cambiamento climatico e dopo l’esperienza della pandemia.
Questi elementi portano a pensare a un cambio di passo negli Stati Uniti, dove la polarizzazione e la radicalizzazione del sistema, nell’ultimo decennio, è avanzata senza precedenti. Molto dipende dalle scelte del Partito Repubblicano. Se davvero riuscisse a isolare la frangia populista, oggi trumpiana e a ridare la guida a una nuova generazione di moderati, l’intero sistema beneficerebbe per equilibrio, contribuendo anche ad un rapporto con l’Unione europea più ordinato in vista delle sfide geopolitiche con la Cina di Xi Jimping.
Le elezioni di midterm mostrano come la democrazia statunitense stia cercando di liberarsi dalla morsa del populismo e del radicalismo. La sconfitta di Trump consente di provare a recuperare un dibattito politico che, per quanto aspro, consenta ai Democratici e ai Repubblicani di riprendere a tessere il filo della democrazia nel merito delle proposte, verso un confronto che riduca le occasioni di conflitto. Una nuova generazione si affaccia sullo scenario politico, forte degli errori del trumpismo, a cominciare dal confermato governatore della Forida De Santis. Si vedrà se la generazione di quasi ottantenni riuscirà a cedere il testimone, in ogni caso, le elezioni hanno dimostrato la vitalità del sistema democratico statunitense, forte della sua mobilitazione democratica e dei diversi check and balances.