di Francesco Occhetta

In questi giorni stanno bruciando migliaia di ettari di bosco, le fiamme radono al suolo molte foreste, nemmeno gli alberi della nostra memoria – gli uliveti secolari – sono stati risparmiati, dal cielo piove cenere e l’aria è irrespirabile in molte zone del Paese.
Lo spettacolo a cui stiamo assistendo ci lascia inermi mentre, da turisti, cerchiamo di vivere qualche giorno di riposo.

Se poi alziamo lo sguardo, oltre il nostro Paese, ci accorgiamo che se i Governi non pongono al centro le politiche ambientali basate sulla prevenzione e uno sviluppo sostenibile, anche il fondamento delle democrazie sarà devastato da cicloni, inondazioni e siccità che fanno morire di fame popoli interi. Solo per questo occorre fare tutto il possibile, senza aspettare domani.

Gli scienziati non sanno più come spiegarlo, la parola d’ordine è “de-carbonizzare” il pianeta, altrimenti l’aumento di temperatura crescerà di 1 o 2 gradi entro la fine del secolo. Certo, l’inquinamento atmosferico negli anni migliorerà grazie alla cultura ecologica delle giovani generazioni, le classi dirigenti di domani, ma l’inquinamento stratosferico richiede un accordo urgente dei Governi che inquinano.

Uno degli obiettivi dello sviluppo sostenibile era di prevedere e curare ciò che invece stiamo subendo. Per renderlo possibile la società civile doveva avere accesso alle informazioni, per partecipare ai processi decisionali e costruire una vera giustizia ambientale a partire dalla formazione. Ma l’obiettivo non è diventato cultura politica, è stato soffocato da altri interessi.
Non basta più nemmeno la democrazia ambientale, che nel diritto internazionale è regolata dal principio 10 della Dichiarazione di Rio de Janeiro del 1992 su “ambiente e sviluppo”.

Tutti i cambiamenti storici nascono da testimoni radicali che gradualmente vedono diventare realtà i loro sogni di bene. Gino Strada ci ha insegnato che basta una persona, non uno Stato, per salvare migliaia e miglia di vite ferite dalla guerra. Non basta più postare o indignarsi: per cambiare occorre cambiarsi e agire a partire da scelte e azioni coerenti.

Nella Bibbia dire ambiente significa, anzitutto, includere la natura nel concetto di creazione che rimanda a un ordine originario e originante, a un’armonia relazionale e a un equilibrio interiore, ma anche a una libertà personale da scegliere “per l’altro”.

Per capire l’urgenza del tema bastano due dati: il 90% degli animali è a rischio di estinzione mentre 902 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta. Basterebbero questi due dati per ribadire l’urgenza di un cambiamento di mentalità che deve iniziare dalla conversione della cultura e dalla formazione.

Per la Chiesa la “politica green” si regge su due poli: l’inseparabilità «della preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore» (LS n. 10) e «i diversi livelli dell’equilibrio ecologico e di fraternità: quello interiore con se stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio» (LS n. 210).

Su questi temi la Chiesa in Italia si riunirà a Taranto, dal 21 al 24 ottobre 2021, per la prossima Settimana Sociale [1] dal titolo: «Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso»[2].

Taranto è l’icona di molte realtà e «mostra concretamente in che consiste il “debito ecologico”: una interminabile sequela di morti insieme a profonde ferite ambientali. Di fronte a queste sofferenze, a Taranto come altrove, non è più possibile temporeggiare lasciando la popolazione in una perenne incertezza». È lo sforzo di coniugare i principi (global) con le prassi (local). Occorre lavorare insieme al modello che sta emergendo, separando gli individualismi e scommettendo su ciò che è comunitario e comune. La “transizione ecologica” può solo essere costruita con lo sforzo di tutti.

La via è tracciata: occorre scegliere e cambiare stili di vita privilegiando forme di economia circolare e modelli economici di sostenibilità per creare nuovi posti di lavoro per il bene comune dei territori. È, inoltre, importante favorire la crescita del housing sociale, degli investimenti nel settore del biologico, dell’energia rinnovabile come alternativa a quella fossile.

L’obiettivo per la Chiesa in Italia è quello di aiutare a bonificare le moltissime aree inquinate: mari, fiumi, la terra dei fuochi, le falde acquifere, l’inquinamento dell’aria in alcune città ecc. Quando però la Chiesa parla di ambiente non si limita mai alla “natura”, fa riferimento, piuttosto, all’ambiente interiore, quello della propria coscienza, all’ambiente della vita relazionale e al rapporto intimo con Dio. La qualità dell’ambiente inteso in senso stretto dipende sempre da come l’uomo coltiva l’ambiente interiore e relazionale. I disequilibri ambientali sono la conseguenza di cuori feriti e inquieti e da relazioni distrutte.

Lo scopo dell’appuntamento di Taranto è quello di animare un processo, un movimento di popolo, per contribuire a invertire la rotta di tutto il Paese. Si dirà: ma è troppo poco! Contribuire agli sforzi generosi che sono in atto è già un segno di ripartenza, a meno che non si contribuisca a dar vita a pratiche e a soluzioni migliori.

Esistono modi di vivere l’ambiente, gli spazi, i nuovi lavori che valgono «oro» per la Chiesa, perché umano e in armonia con la creazione. Per questo è utile che le realtà diocesane identifichino e valorizzino pratiche eccellenti per far nascere, attraverso l’incontro, il confronto e il dialogo con altre realtà del Paese, nuove idee che possano dare lavoro nelle comunità locali e invertire i tanti sfruttamenti di cui soffrono i nostri territori. L’alleanza tra mondi e professioni, tra generazioni e saperi diversi può aiutare l’ambiente a rifiorire senza renderlo un ostacolo allo sviluppo e al lavoro[3].

Non abbiamo alternativa per ricostruire una democrazia ambientale e relazionale se vogliamo rianimare la stanca democrazia formale. La condizione è quella posta dai filosofi: «Io sono me più il mio ambiente e se non preservo quest’ultimo non preservo me stesso».

 

 

 

[1] Le Settimane Sociali dei cattolici italiani nacquero a Pistoia nel 1907 per iniziativa di Giuseppe Toniolo. Si svolsero ogni anno fino alla Prima guerra mondiale affrontando i temi del lavoro, la scuola, la condizione della donna, la famiglia. Dal 1927 l’Università Cattolica del Sacro Cuore assunse un ruolo importante nelle varie edizioni, sospese dal 1935 al 1945 a causa degli attriti della Chiesa con il regime fascista e dal 1970 al 1991, quando le Settimane ripresero a Roma la loro rinnovata stagione.

[2] Il Comitato scientifico e organizzatore della 49° Settimana Sociale è così composto: Mons. Filippo Santoro, Arcivescovo di Taranto (Presidente); Sergio Gatti, direttore Generale Federcasse (Vice-Presidente); Mauro Magatti, sociologo e docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (Segretario); Mons. Marco Arnolfo, Arcivescovo di Vercelli; Mons. Angelo Spinillo, Vescovo di Aversa; P. Francesco Occhetta, docente alla Pontificia Università Gregoriana; sr. Alessandra Smerilli, economista e docente alla Pontificia Facoltà di scienze dell’educazione Auxilium; Leonardo Becchetti, economista e docente all’Università di Roma Tor Vergata; Flavio Felice, docente all’Università del Molise; Claudio Gentili, Direttore della rivista La Società e responsabile della Confindustria nel settore Educazione; Franco Miano, docente all’Università degli studi di Roma Tor Vergata e coordinatore di Retinopera; Giuseppe Notarstefano, docente alla Lumsa e Vicepresidente dell’Azione Cattolica Italiana.

[3] Per approfondire si veda www.settimanesociali.it che è pensato con una parte dinamica – news, interviste, approfondimenti ecc. – e una parte statica, costruita come una sorta di biblioteca, in cui sarà possibile trovare video, podcast e materiale utile per approfondire e divulgare i temi della Settimana sociale. È possibile seguire anche gli account nelle pagine sui social network: Facebook <@Settimanesociali>, Twitter <@settsociali> e Instagram <@settimanesociali>.