di Francesco Occhetta
Il sistema politico è di nuovo imploso. Questa volta si è sgretolata la colonna della responsabilità, l’architrave del tempio della democrazia liberale. La scelta del M5S di non votare la fiducia posta dal Governo Draghi sul Decreto “Aiuti alle famiglie e alle imprese”, come un sasso che rotola a valle, si è trasformata in una valanga politica. Giuseppe Conte e il M5S, come nelle tragedie paradossali, hanno scelto di aprire una crisi politica per non approvare l’inceneritore della città di Roma in un momento storico difficile, segnato dalla guerra in Ucraina, dalla crescente inflazione, dalla difficile gestione del PNRR, dagli inarrestabili sbarchi, dalla pandemia in corso e dalle tensioni sociali legate alla giustizia, al precariato e ai lavori sottopagati.
In realtà, sulla scelta del M5S pesano l’Alleanza Atlantica, la governance dell’UE, l’appoggio del Governo all’Ucraina, l’autorevolezza internazionale del Presidente Draghi e la scissione con il gruppo legato al Ministro Di Maio. Ma soprattutto, la scelta politica di Conte rappresenta uno “scacco al Re” al Presidente Mattarella. La notizia della crisi è stata battuta dai principali media del mondo e stupisce che il termine più ricorrente sia “responsabilità”. Questo sostantivo deriva dall’aggettivo “responsabile”, che a sua volta ha origine nel verbo latino (re)spondēre, ovvero promettere. Nella parola responsabilità, quindi, c’è un elemento che rimanda il politico alla promessa fatta, alla parola data, alla garanzia prestata.
Ciò che è accaduto non deve stupire: è riemersa una cultura populista che in molti hanno alimentato nei media e nei social, oppure hanno omesso di contrastare. Questa si fonda sulla disintermediazione e sull’utilizzo della “parola debole” che, simile all’asta di un pendolo, oscilla tra il “prima” e il “dopo” la verità dei fatti, senza più volerli riconoscere o ricostruire. L’aderenza alla realtà e il rigore della memoria storica hanno ceduto il passo alle credenze e alle emozioni. Così, in questo “eterno presente”, è stato possibile essere prima populisti e poi europeisti; filo-russi e, poco dopo, favorevoli alla Nato; statalisti e poi liberali; alleati della destra e poi della sinistra. È da tempo, infatti, che la cultura populista si è travestita da Robin Hood mentre agiva con le intenzioni dello sceriffo di Nottingham, strumentalizzando il popolo che ha la responsabilità di avergli affidato una delega in bianco.
La responsabilità ha un peso nella storia politica. Come ha scritto Hannah Arendt, spacciare menzogne per verità nasconde, oltre alla disonestà, un pericolo ancora più grande: «l’effetto della sostituzione della verità dei fatti con la menzogna non è solo che le bugie vengono accettate come verità e la verità considerata una bugia, ma che il senso con cui ci orientiamo nel mondo reale – e la differenza tra vero e falso è uno degli strumenti mentali che utilizziamo – viene distrutto». Quando la classe politica non aiuta a distinguere le vere parole politiche dalle bufale, la solidarietà dalla complicità, il costruire dal distruggere, chi restituirà la speranza di capire e la chiarezza per decidere? Così facendo, come notava la filosofa tedesca, il senso con cui ci orientiamo viene distrutto, noi ci troviamo perduti e questo disorientamento finisce per spingerci all’immobilità e al silenzio.
Non serve stupirsi, la storia lo insegna: c’erano gli imperi, sono poi nate le Nazioni. Stiamo andando verso un modello di nuovo ordine mondiale, una sorta di “spazio pubblico allargato” non necessariamente democratico. Il Paese si trova al bivio di una scelta di sistema, il paradigma politico attuale può essere rianimato ma non più rivitalizzato. Un nuovo paradigma politico possibile può nascere dai temi del Pontificato di Francesco che, dall’ambiente alla ricostruzione dei legami sociali, offrono un orizzonte politico di grande respiro. Occorre però scegliere se continuare a guardare all’Occidente e all’Europa dei popoli oppure all’Oriente. Se non si sceglierà, infatti, si verrà scelti.
Anche il Presidente della Cei, il Cardinale Matteo Zuppi, ha dichiarato che, sia al Governo sia a tutti decisori politici e sociali, serve uno scatto di responsabilità. La fragile stabilità che si era raggiunta rappresentava la maggior parte degli italiani, ma gli scenari che si aprono sono difficili da prevedere. Il Governo Draghi potrebbe continuare il suo corso, ma pesa l’insegnamento della massima simul stabunt vel simul cadent, o staranno insieme oppure insieme cadranno. Potrebbero nascere un Governo Draghi bis, oppure un Governo di scopo guidato da una figura istituzionale o da un tecnico. Le forze politiche, però, hanno opinioni diverse, mentre Draghi e Mattarella hanno due punti di vista differenti sulla gestione della crisi. Infine, non va escluso il voto anticipato di fine settembre o inizio ottobre.
Dire “no” a un Governo Draghi, o scegliere di terminare la legislatura, significherebbe dire “no” anche al Presidente Mattarella, eletto da tutte le forze politiche eccetto Fratelli d’Italia. La scelta del Presidente Mattarella di chiedere al Parlamento di dibattere la crisi aiuterà a capire la responsabilità delle singole forze politiche. Per esempio, Berlusconi e Renzi in modi diversi fanno proposte ragionevoli, ma tattiche. In mancanza di una legge elettorale proporzionale, sembra particolarmente urgente un accordo di sistema strategico, non politico, tra Meloni e Letta per garantire che il Paese rimanga nel quadro costituzionale e negli accordi internazionali presi e sia in grado di affrontare i grandi temi sociali dal lavoro al sostegno di famiglie e imprese.
La responsabilità politica si rigenera da generazione in generazione solamente attraverso la formazione e la preparazione di nuove classi dirigenti. Questa omissione finisce per pesare anche sulla crisi attuale che, prima di essere politica, è una crisi sociale e antropologica. Il resto è cronaca.