di Tommaso Galeotto

Con l’inizio dell’anno scolastico si sono riaccesi i riflettori su un tema che per l’Italia rischia di diventare un destino irreversibile: l’abbandono scolastico.Le fondamenta di ogni Stato sono l’istruzione dei suoi giovani”, diceva il filosofo greco Diogene di Sinope già nel IV secolo a. C., riconoscendo come un’istituzione che non investe nell’educazione e nella formazione delle nuove generazioni è destinata a rimanere senza radici che sorreggono l’albero, lasciando appassire la sua chioma e impedendogli di dare frutto.

Purtroppo per noi, i numeri sull’istruzione non dicono niente di buono. Secondo una recente ricerca di Save The Children, nel nostro paese il tasso di abbandono precoce dal sistema scolastico ha sfiorato il 13% nel 2021, in terz’ultima posizione con Spagna e Romania, vedendo sempre più allontanarsi l’obiettivo fissato dal Consiglio europeo della soglia limite al 9% entro il 2030. I dati mostrano inoltre che i giovani più in difficoltà, sia dal punto di vista degli abbandoni che dal punto di vista dei risultati di apprendimento, provengono da famiglie svantaggiate a livello sociale ed economico, dando segno di un preoccupante processo di polarizzazione che lo Stato da solo non riesce e non può contrastare. Non è un caso che l’Italia è anche tra i paesi con la quota di NEET (neither in employment nor in education) più elevata: il 23,1% dei giovani tra 15 e 29 anni non ha un lavoro e non è inserita in alcun percorso di istruzione e formazione. Questo è segno di profondo scoraggiamento, ma soprattutto di una pericolosa apatia che attanaglia le vite delle giovani generazioni.

Inoltre, se da una parte vediamo alzarsi il numero delle ragazze e dei ragazzi che faticano a concludere gli studi, dall’altra è in caduta libera il numero complessivo degli iscritti ai percorsi di istruzione, anche per via della crisi demografica che vede sempre meno giovani tra i banchi: 1,4 milioni di studenti in meno nel giro di un decennio, un ritmo di oltre centomila ogni anno. C’era da aspettarselo in un paese in cui la quota di over 65 è quasi il doppio rispetto a quella degli under 15, e che a fronte di una spesa pensionistica in continua crescita (il 15,7% del Pil nel 2022) vede diminuire quella per istruzione e formazione (l’Italia è tra gli ultimi posti in Europa con una spesa pari a circa al 4% e destinata a diminuire fino al 3,4% nel 2030). Se quindi urge continuare a promuovere politiche di sostegno alle famiglie e alla natalità, anche per riempire i banchi di scuola, dall’altra parte serve però un impegno ideale e pragmatico nel garantire anche il sostentamento economico della pubblica istruzione.

La soluzione non sta nell’investire a pioggia. Occorre stabilire alcune priorità che possano rilanciare l’intero sistema, partendo innanzitutto dal capire che cosa porta molti giovani ad abbandonare il percorso di studi, quali sono le loro difficoltà e quali sono le loro esigenze. Un modello scolastico e formativo che ha i numeri dell’Italia è un modello che non funziona e che necessita di un profondo rinnovamento. Occorre investire maggiormente sulla qualità dell’insegnamento e su nuove modalità didattico-formative che non possono essere basate soltanto su lezioni d’aula ma devono avvalersi anche di attività pratiche, volte all’apprendimento di quelle competenze trasversali tanto ricercate nel mondo del lavoro.

Modelli come quello dell’alternanza scuola-lavoro sono stati un primo passo avanti, ma vanno migliorati per far sì che le buone pratiche vengano messe a sistema. Un’altra arma della quale gli istituti formativi possono avvalersi è la promozione di percorsi di apprendistato duale, che permettono di affiancare la formazione scolastico-universitaria a vere e proprie esperienze di lavoro. Questo potrebbe essere un elemento fondamentale non solo per l’inserimento dei giovani nel mercato, ma anche per abbattere il tasso di abbandoni in gran parte determinato dalla mancanza di questo tipo di esperienze all’interno del precorso di studi. Per combattere la povertà educativa occorre poi mettere gli istituti formativi nelle migliori condizioni per offrire un insegnamento di qualità anche grazie alla collaborazione territoriale con le imprese e il terzo settore, favorendo una più celere transizione dei giovani nel mercato del lavoro grazie.

Le trasformazioni economiche, tecnologiche, sociali e lavorative stanno aprendo le porte a un nuovo mondo, più inclusivo, e basato sulle interconnessioni tra scuola, lavoro e società permettendo al giovane di vedere fin da subito una prospettiva di crescita. Questa è la strada verso la quale occorre dirigersi, offrendo ai giovani la possibilità di progettare il proprio futuro.