Tommaso Labate è giornalista, lavora al Corriere della Sera e a RaiRadio2. Ha da poco pubblicato “Ultima Fermata” edito da Solferino libri.

Nel tuo recente libro “Ultima Fermata” ti sei occupato dei retroscena che hanno portato alle elezioni politiche. Quali scenari vedi più probabili ora, nel contesto geopolitico mondiale?

Ultima Fermata si apre con la grande partita per l’elezione del Presidente della Repubblica italiana, che era iniziata già nel 2021. Neanche un mese dopo la rielezione di Mattarella, Putin a fine febbraio decide di invadere l’Ucraina. Eppure, già durante la settimana di voto nel Parlamento riunito in seduta comune, a gennaio, nel dibattito politico si era affacciato a più riprese il tema della eccessiva vicinanza a Mosca di alcuni possibili candidati per il Quirinale. Ovviamente, il fatto che abbia poi deciso di invadere l’Ucraina ha cambiato radicalmente la percezione del presidente russo e il suo sistema di alleanze; ma è un fatto che le forze politiche che negli ultimi anni erano state meno insensibili alla necessità di stringere ulteriormente i bulloni di un alleanza Russia-Italia, e cioè Movimento 5 Stelle e Lega, abbiano visto i loro leader riavvicinarsi proprio durante l’elezione del Capo dello Stato, tra l’altro dopo il lungo gelo di due anni che era seguito alla fine dell’esperienza del governo gialloverde. Impossibile dire che cosa sarebbe successo se Movimento 5  Stelle e Lega, com’era sembrato in una determinata fase delle elezioni del capo dello Stato, fossero riusciti a far eleggere al Quirinale un candidato promosso da loro; impossibile stabilire come, di conseguenza, si sarebbe posizionata in quel caso l’Italia tra le sfumature delle posizioni assunte dai Paesi dell’Ue dopo l’inizio della guerra. La storia non si fa con i se e con i ma. Una cosa si può dire. A dispetto di tutti quelli che temevano un Putin popolare tra le masse, impaurite per l’aumento dei costi dell’energia, il risultato elettorale delle elezioni 2022 ha fissato un punto fermo. Il primo e il secondo classificato, rispettivamente Fratelli d’Italia e PD, sono stati i due partiti che hanno mostrato e richiesto più fermezza nel sostegno incondizionato alla causa dell’Ucraina. A livello mondiale? La strada mi sembra abbastanza tracciata. Per Putin, la campagna Ucraina si rivelerà una specie di Vietnam. 

Il tema risorse ed energia è tornato ad esplodere come tema di giustizia sociale, di guerra/pace. Che cosa abbiamo costruito in questi anni? E che cosa ha detto (e non ha detto) il giornalismo a riguardo? 

L’impatto sociale dell’aumento dei costi dell’energia è stato devastante, certo. Ma in misura finora decisamente minore rispetto a quello che anche i politici più ottimisti immaginavano qualche mese fa. Le temperature alte della stagione autunnale ci hanno regalato settimane, forse mesi, di vantaggio sulla tabella di marcia di consumo delle scorte di materie prime. E i prezzi, dopo un’ulteriore impennata, sono scesi. Qualcuno sostiene che il giornalismo si sia distratto negli ultimi anni, quando la corsia privilegiata con la Russia aveva di fatto reso Putin una specie di monopolista del gas da cui abbiamo finito per essere dipendenti. È vero, ma solo in parte. Viviamo nell’illusione che sia possibile scegliere i Paesi da cui reperire materie prime a basso costo, sogniamo che si tratti sempre di democrazie fatte e finite come quelle occidentali. Ma è un sogno, non la realtà. Credo che il giornalismo italiano, quello di qualità, non quello delle posizioni estreme tanto al chilo, abbia raccontato e stia raccontando la grande partita che inizia con la guerra e finisce nelle caldaie delle nostre case e delle nostre aziende in maniera egregia. Anche se nell’epoca dei social, ovviamente, le tonalità binarie tutto bianco/tutto nero facciano inizialmente più notizia, anche se poi hanno vita decisamente breve.

L’informazione davanti alle sfide ambientali, alla sostenibilità e alla transizione ecologica e digitale: guardando al panorama informativo italiano, pensi che vengano prese sufficientemente sul serio e che gli spazi informativi corrispondano a una sensibilità crescente dell’opinione pubblica?

È un problema che riguarda l’umanità, da sempre. Le opinioni pubbliche non ascoltano gli allarmi sul futuro, non si pongono un problema fino a che non c’è un problema. La pandemia in questo ci ha insegnato tanto: tutti gli allarmi sulla sanità carente e sull’assenza di un sistema di assistenza di prossimità hanno cominciato ad appassionare le masse solo dopo l’arrivo del Covid-19. Eppure se ne parlava da decenni, no? A dispetto dell’interesse di una sparuta minoranza, le cui dimensioni sono certificate dal sostanziale non protagonismo in generale di partiti ambientalisti, il tema ambientale interessa poco e non mette paura. Cambiare oggi per salvarsi domani significa assumere decisioni impopolari per l’oggi per essere al riparo domani: una classe dirigente degna di questo nome si assume il rischio, anzi la certezza, di prendere decisioni che comportano anche la sconfitta alle elezioni.

Le nuove generazioni sembrano avere un rapporto disinteressato nei confronti della politica e anche dell’informazione. È davvero così? È anche per loro una questione di sfiducia nelle istituzioni come per il mondo adulto? 

Il tema del presunto disinteressamento dei giovani rispetto alla politica è vecchio quarant’anni. Se ne parlava negli anni Ottanta. I diciottenni degli anni Ottanta, che adesso hanno sessant’anni, sono la fascia dell’elettorato più presente alle urne. La mia esperienza personale dice che i giovani sono molto appassionati alla politica. La seguono sui i, in televisione, vengono alla presentazione di libri come Ultima Fermata. Vogliono una politica diversa, questo sì. Hanno punti di riferimento diversi da quelli delle generazioni precedenti, e questo è un fatto. Ma sono appassionatiIl problema semmai è “come” i leader politici si rivolgono a loro. Pensiamo alle ultime elezioni e alla scelta di tutti i segretari di partito di iscriversi a TikTok. Scelta giusta, linguaggio sbagliato: hanno finito per fare le imitazioni dei ragazzini. Ma chi voterebbe uno che ti imita?

Quali sono i principi cardine della tua attività professionale?

La risposta a questa domanda è diversa da giornalista a giornalista. Per quanto mi riguarda, c’è un principio cardine che tiene assieme tutti gli altri: la lealtà nei confronti del lettore, dell’ascoltatore, del telespettatore. Essere leali nei confronti di chi ti legge, ti ascolta e ti guarda contempla anche il fatto che a volte si sbagli. Ma sbagliare è nella natura dell’uomo. Farlo in buona fede, per un giornalista, è un obbligo morale.