Siamo sulla soglia di un importante cambiamento nella finanza aziendale: in un futuro prossimo, il “rating bancario” delle imprese – un giudizio espresso dalle banche, basato sulle informazioni quantitative e qualitative di un’impresa a disposizione degli istituti di credito che esprime l’affidabilità di un’impresa e più precisamente la sua capacità di ripagare un prestito in un determinato periodo di tempo – sarà sempre più agganciato anche alla valutazione della sostenibilità degli investimenti e della “mission aziendale.

In altre parole, le imprese, comprese quelle di piccole e medie dimensioni, per accedere al mercato dei capitali, dovranno tenere conto non solo degli aspetti economici e finanziari del proprio bilancio, ma anche di quelli ambientali, sociali e di governance (ESGEnvironmental, Social, Governance).

Si tratta di una delle prime conseguenze di un nuovo atteggiamento cresciuto nella società negli ultimi anni che ormai è diventato una realtà con cui fare i conti. Il futuro dell’impresa, intesa come modello di produzione o erogazione di beni e servizi, si sta indirizzando verso una gestione più responsabile e sostenibile. La “sostenibilità” – termine che comincia ad essere un po’ abusato e talvolta usato a sproposito – secondo le scienze ambientali, sociali ed economiche, è una condizione capace di garantire il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza ulteriormente compromettere la possibilità di sviluppo delle generazioni future (soprattutto preservando le condizioni climatiche e la disponibilità di risorse). È stata la prima conferenza ONU sull’ambiente, tenutasi a Stoccolma nel lontano 1972, a introdurre il concetto di “sostenibilità” anche se solo nel 1987, con la pubblicazione rapporto Brundtland, sarà meglio definito l’obiettivo dello sviluppo responsabile. Per comprendere meglio cosa renda un’azienda sostenibile, bisogna chiarire innanzitutto i requisiti comuni e caratteristici per renderla tale e soprattutto quali comportamenti economici concreti debba porre in essere per caratterizzarsi in questo modo.

Operando una estrema sintesi, l’azienda, in ogni sua attività e declinazione, deve essere in grado di apportare il suo contributo positivo, in particolare all’ambiente in cui si colloca ed opera, e, più in generale, alla società e all’economia. Questo nuovo impatto non potrà essere generico e fumoso, ma dovrà dimostrarsi misurabile e trasparente. Esistono ormai parametri di misurazione collaudati: solitamente ci si avvale di certificazioni internazionali riconosciute (ad esempio per misurare la sostenibilità ambientale dell’azienda o il rispetto e la tutela dei lavoratori).

Tuttavia, spesso la “sostenibilità” viene associata soltanto ad un mero fattore di crescita e tutela ambientale. Il tema invece risulta essere più ampio e complesso. Infatti, è proprio con la cura del benessere sociale attraverso una governance equa e lungimirante, che la sostenibilità trova la sua realizzazione. I parametri da prendere in considerazione per approcciare queste strategie aziendali sostenibili, sono racchiusi nell’acronimo citato ESG (Environmental, Social and Governance).

Il primo prerequisito è la sostenibilità ambientale: tale concetto si basa sui criteri “Environmental”, che fanno riferimento al modo in cui un’azienda contribuisce ed è determinata rispetto alle sfide ambientali e al contrasto del cambiamento climatico. Un’azienda “sostenibile” è capace di rispettare l’ambiente tramite azioni virtuose, ad esempio volte a ridurre le emissioni inquinanti, diminuire il consumo di acqua, utilizzare energie rinnovabili e altre misure simili.Le “green practice” e la sostenibilità ambientale sono poi collegate alle performance e al successo di un’impresa. Si tratta di una sfida imprenditoriale e organizzativa sempre più importante, che le aziende italiane stanno iniziando ad affrontare e che può concretizzarsi, ed è questo il punto più importante, come vantaggio competitivo.

In altre parole, la sostenibilità ambientale deve contenere in sé anche una sostenibilità sociale, basata anche su criteri cosiddetti “Social”. Il modo in cui l’impresa si relaziona con il tessuto sociale in cui opera, attraverso l’approccio sostenibile con i suoi clienti, si traduce in un modello di sviluppo aziendale che ha un impatto positivo sulla collettività.

I criteri di “Governance”, invece, analizzano la struttura amministrativa dell’azienda con riguardo anche (e soprattutto) all’etica dell’organizzazione interna. Una politica di prezzi equa, un compenso adeguato del personale e fornitori, producono valore per la collettività, per l’organizzazione stessa e per tutti gli stakeholders interessati dall’attività dell’azienda. In questo contesto assume rilevanza l’opportunità di redigere il “bilancio sociale” che si concretizza in un rendiconto concernente la responsabilità sociale d’impresa, un documento extracontabile con il quale un’organizzazione – un’impresa, un ente pubblico o un’associazione – comunica periodicamente gli esiti della sua attività, non limitandosi ai soli aspetti finanziari e contabili.

Quando si parla di bilancio, infatti, viene subito in mente il bilancio d’esercizio, quel documento che descrive la situazione economico-finanziaria dell’azienda al termine del periodo di gestione e il risultato economico dell’esercizio. Tuttavia, sono altre le forme di contabilità che ci permettono di andare oltre gli indicatori strettamente finanziari dell’azienda: con l’aumentare della sensibilità dei consumatori e l’attenzione a un diverso tipo di sviluppo, che mette al centro la capacità di produrre non solo profitto, ma un benessere ampio, equo e sostenibile con la vita piena del territorio, nascono nuove forme di rendiconto, come il bilancio sociale. Per essere utile ed efficace, tale documento non deve trasmettere – sempre e comunque – un’immagine positiva dell’impresa; è necessario anche segnalare gli aspetti negativi, le cose che non vanno, in modo che la direzione possa mettere a fuoco le criticità e prendere provvedimenti.

Il bilancio sociale, dunque, è un pilastro fondamentale dell’attività imprenditoriale, sebbene sia un passo avanti, non è ancora sufficiente.

È lo stesso mercato che si sta indirizzando verso questa nuova necessità: l’equilibrio economico e l’equilibrio socio-ambientale devono essere posti sullo stesso piano e non possono essere più letti in maniera separata. È per questo che lentamente si sta facendo strada il bilancio cd. “integrato”. È importante essere ben consapevoli che stiamo vivendo un vero e proprio cambio di paradigma, che mette sullo stesso piano gli impatti sociali e ambientali di un’impresa e gli utili che produce. Sembra infatti facile prevedere che il bilancio sociale sarà sempre più richiesto; è bene prepararsi perché, prima o poi, le aziende più grandi – ma progressivamente nei prossimi anni anche quelle più piccole – dovranno cimentarsi in questo esercizio. La scarsità di risorse finanziarie, essenziali per la costituzione e la gestione dell’impresa è sempre più evidente nella realtà contemporanea e, quindi, diventa fondamentale per i soggetti che erogano finanziamenti – banche e in generale istituti finanziari –  valutare e scegliere, attraverso questi nuovi criteri valutativi, su quali organizzazioni indirizzare i finanziamenti: non solo, dunque, verso le organizzazioni che ottengono risultati economici ma anche verso quelle che raggiungono un impatto maggiore sul territorio attuando le loro politiche ambientali e “social”.