Alla vigilia della discussione sulla legge più importante nella vita di uno stato, a cosa serve il conflitto? Perché il sindacato decide di far sentire la propria voce contro la legge di bilancio 2023? Chi vuole rappresentare il sindacato nel dibattito? Come si seleziona, all’interno di organizzazioni complesse come quelle dei sindacati, l’insieme degli obiettivi sociali da far prevalere sul resto? Osservando il dibattito politico-sindacale di queste ore, con uno sciopero in atto – anzi, per essere più precisi, con una strategia di scioperi locali, non formalmente unitari: CGIL e UIL sono da una parte, CISL dall’altra – ci si potrebbe porre queste domande.

Ma, leggendo con attenzione le dichiarazioni e i documenti delle segreterie generali, considerando quello che sta accadendo nei territori e nei distretti industriali, si comprenderebbe che ci sono molti punti in comune tra i tre sindacati. In alcuni casi, ci sono persino contiguità con le organizzazioni datoriali, rappresentative delle grandi imprese e delle PMI. Le critiche mosse dai sindacati sono dirette alle misure che dovrebbero incidere sul costo della vita. Le misure sulla flessibilità pensionistica, sulla sanità, sulla scuola, sul fisco, sulle imprese e sul mezzogiorno vengono considerate inadeguate. Allo stesso tempo, vengono rilevate e criticate le incongruenze sulle politiche del lavoro, su quelle per la famiglia e per le pari opportunità nonché su quelle contro la povertà.

Proviamo, però, a spostare la riflessione dai temi specifici, che andranno affrontati nel merito quando la manovra sarà definitiva, al metodo con cui l’esecutivo ha deciso di trattare i capitoli sociali che stanno alla base della legge di bilancio.

Il metodo del governo è il dato più rilevante per comprendere se si potrà passare dal conflitto a uno scambio. C’è una rigidità strana, quasi inspiegabile, da parte del governo italiano, sul metodo di composizione della legge di bilancio. È una rigidità che si nota in termini tecnici, non certamente politici e di impostazione dei partiti che compongono la maggioranza. È una rigidità collegata alla volontà di presentare, nel 2022, una legge di bilancio che appare, in parte, staccata dal PNRR, il programma di rilancio economico e sociale più importante degli ultimi 70 anni.

In altre parole, il governo in carica sa che si sta prendendo la responsabilità delle proprie politiche al di là del PNRR. Tuttavia, quella volontà di scissione viene spinta oltre il limite della prudenza, con il risultato di creare ulteriori difficoltà amministrative nell’applicazione del PNRR con le relative ingenti risorse economiche, circa 200 miliardi di euro, essenziali per tutti noi, da spendere secondo un cronoprogramma preciso e con obiettivi verificabili, per i vari settori coperti in materia di infrastrutture digitali, pubblica amministrazione, sanità, scuola, lavoro, transizioni energetiche, ambiente, etc. La scissione dal PNRR della legge di bilancio può avere conseguenze gravi nel medio-lungo periodo sul patto intergenerazionale che si credeva essere stato rafforzato. Quel patto era finalizzato al debito “buono”, quello che serve per il futuro.

Un cittadino sarebbe legittimato a chiedersi come il sindacato abbia selezionato gli argomenti su cui insistere nel conflitto (pensioni, RDC, lavoro, fisco, etc.). Ma sarebbe più legittimato a chiedersi perché, nell’alchimia tra reazione e contro-reazione, governo vs. sindacato, i temi forti dello sviluppo sociale e produttivo della legge di bilancio siano stati, quasi del tutto, scissi dal PNRR, dalla sua programmazione, attuazione e verificabilità e dalla responsabilità di chi governa il processo di ammodernamento che il nostro sistema socio-economico richiede. Ne indichiamo due esempi paradigmatici. In campo sanitario, come la legge di bilancio supporta la Missione 6 e il DM 77/2022, e, dunque, l’insieme delle misure in materia di riorganizzazione della sanità territoriale/di prossimità e della digitalizzazione dei dati del cittadino? E, per quanto riguarda le politiche di riattivazione lavorativa (Missione 5), si può dire che la legge di bilancio punti a sciogliere i nodi dell’inefficienza in cui, ancora oggi, molti sistemi regionali sono imbrigliati (libretto elettronico del lavoro, ricollocazione collettiva, formazione mirata per i disoccupati, condizionalità)?

In entrambi casi la risposta è no. Il metodo della legge di bilancio 2023 segue, nel bene e nel male, quello delle precedenti leggi di bilancio, stilando una lista di azioni e di politiche legate alla sensibilità del momento. Ma il PNRR insegna che così non si può andare lontano. Il PNRR, a cui le leggi di bilancio dovrebbero essere strettamente riferibili, impegna a fare programmazione dell’oggi in vista del domani. Nel 2022 si è scelto, invece, il vecchio metodo. Un metodo a cui eravamo abituati e che ci ha condotto ad accumulare i problemi che poi sono venuti in evidenza con la pandemia.

Questo si riflette anche nel conflitto sindacale. Il sindacato è, per alcuni versi, spiazzato. Partecipa a tavoli istituzionali, sapendo che, da una parte, deve dare risposte ai propri iscritti su una serie di problemi urgenti (pensioni, lavoro, fisco) e, dall’altra, immaginare il futuro. Questa seconda parte si riduce man mano che il governo sceglie di esercitarsi sull’oggi e non sul futuro.

Cosa si dovrebbe fare? È evidente che il problema non è il conflitto in sé. Il problema è nel metodo e nei suoi risultati. Il conflitto può aver senso se si intende trasformare, a un certo punto, tutto ciò che riguarda il lavoro, il fisco, la sanità, le infrastrutture, etc., cioè il PNRR, in uno scambio politico sul futuro. Uno scambio in cui governo, imprenditori, sindacato e finanza sono tenuti a partecipare con responsabilità e a rispondere delle proprie scelte sui temi che riguardano il futuro del Paese.

 

*Fonte immagine: governo.it