di Rosalba Famà
 
“Io stessa – non ve lo nascondo – vivo quasi in modo emblematico questo momento, avvertendo in esso un significato profondo, che supera la mia persona e investe milioni di donne che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci si sono aperte la strada verso la loro emancipazione”. Nilde Iotti, il 20 giugno del 1979, pronunciava queste parole dopo essere diventata la prima presidentessa della Camera nella storia della Repubblica.
 
Ancora oggi il ruolo delle donne in politica è in continuo divenire. La recente crisi di Governo con le dimissioni di due Ministre, Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, ha riacceso il dibattito. Nel frattempo, la pandemia ha mostrato che sono state prevalentemente le donne a farsi carico della famiglia, dedicandosi alla cura dei figli e della casa, oltre a portare avanti il proprio impiego in modalità agile[1]. Il quadro generale mostra la centralità della donna nella società, ma anche il bisogno di un ripensamento del suo ruolo, che la politica è chiamata ad accompagnare per evitare il porsi della scelta tra casa e lavoro e consentire alle donne di crescere assecondando le loro propensioni.
 
Gli ultimissimi anni sono stati caratterizzati dall’ascesa di donne in posizioni apicali sia a livello nazionale che internazionale. Il Senato e la Corte Costituzionale sono stati presieduti per la prima volta da donne, con l’elezione rispettivamente di Maria Elisabetta Casellati e Marta Cartabia. Anche l’Europa sta vedendo al suo vertice delle figure femminili quali Christine Lagarde, Presidentessa della Banca Centrale Europea, e Ursula Von Der Leyen a capo della Commissione Europea. Fino ad arrivare oltreoceano, dove Kamala Harris è diventata la prima vicepresidente degli Stati Uniti d’America nella storia.
 
La donna porta con sé una distinta sensibilità, dovuta anche alla possibilità di essere madre, preserva una serie di valori e doti che possono essere messe al servizio della politica; anche in famiglia la donna in genere tende a ricomporre invece di dividere, valorizza le diversità piuttosto che appiattirle. In ogni caso, sa essere generativa tramite la cura che dedica al prossimo, andando anche ben oltre il dato puramente biologico.
 
Inoltre, la solidarietà tra donne garantisce unità nella diversità, fondamento di ogni legame, specialmente nelle situazioni più svantaggiate quando la condizione sociale è quella di essere straniera, vedova o divorziata. È la scrittura ad insegnarlo con le meravigliose parole di Rut la moabita a Noemi l’israelita: “Non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro senza di te; perché dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta” (Rut, I, 16-17).
 
In molti hanno argomentato a favore di una crescente presenza delle donne in politica. Rappresentando circa la metà della popolazione, una eguale partecipazione nelle decisioni politiche contribuirebbe a legittimare maggiormente gli organi democratici[2]. In secondo luogo, considerando che i bisogni delle donne sono diversi e spesso complementari a quelli maschili, una più ampia presenza femminile consentirebbe di “ri-direzionare” e completare le scelte politiche e la spesa pubblica verso specifiche aree[3]. Inoltre, la presenza femminile sarebbe benefica in sé, poiché le donne adottano comportamenti differenti che hanno un impatto positivo sulle istituzioni[4].
 
Ciononostante, il gap tra uomini e donne in politica, in Italia – in linea con il trend mondiale – è ancora troppo ampio. Nell’attuale legislatura sono state elette 334 donne, il 35% dei seggi disponibili in Parlamento. Il dato è più basso quando si parla di elezioni locali, comunali[5] e regionali, solo il 14% dei Comuni italiani ha una sindaca, ossia 1107 Comuni su un totale di 7914. La rappresentanza italiana femminile del Parlamento europeo è pari al 39,7%, sopra la media europea. Anche per l’accesso al mondo accademico la strada per le donne è in salita, se si pensa che su più di 12.000 professori ordinari, meno di 3.000 sono donne[6].
 
La storia della presenza femminile in politica fa però ben sperare, se pensiamo che nel 1946 furono solo 21 le donne elette nell’Assemblea Costituente, su un totale di 556. Tra loro la già citata Iotti, che aveva da poco compiuto 26 anni. Si deve invece a Lina Merlin parte dell’art. 3 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza tra cittadini, nella parte in cui recita “senza distinzione di sesso”. Una minoranza, sì, ma che fu da enzima nel processo democratico.
 
Per fronteggiare il gender gap, il legislatore ha spesso fatto ricorso alle c.d. “quote rosa”, alla doppia preferenza etc. Queste misure hanno accresciuto la presenza femminile in politica, non senza critiche. C’è chi lamenta che si aumenti l’eguaglianza a scapito della qualità[7]. Tuttavia, studi hanno provato il contrario: le competizioni elettorali che vedono partecipare più donne assistono ad un innalzamento del livello di istruzione della classe dirigente. Questo risultato è dovuto a due fattori, da un lato il maggior numero di donne elette, in media più istruite, dall’altro una maggior competizione porta all’elezione di politici più qualificati[8].
 
Parlare di donne in termini di “quote” è riduttivo, se non umiliante. Piuttosto, delle stesse va messa al centro la Persona. Occorre andare al di là, con un passaggio culturale, fatto di nuove consapevolezze, che faccia fronte seriamente alle vecchie e nuove esigenze delle donne. Le riforme andranno direzionate non solo verso l’implementazione dell’assistenza, grazie a colf e baby-sitter, asili nido e congedi parentali, ma anche verso meccanismi innovativi-tecnologici che consentano la partecipazione e il voto delle donne a distanza, ove impossibilitate a presenziare le sedi istituzionali.
 
Non solo, servirà anche investire su percorsi formativi e culturali orientati al dialogo sulle diversità. Tali misure rappresentano la “pre-condizione” affinché le donne possano essere parte significante della società anche dal punto di vista politico. Non solo, ma tale svolta sarà possibile ripensando e ricolorando il concetto di famiglia, che si è visto sgretolare negli anni a vantaggio di strutture mononucleari, lavorando per evitare che prevalgano gli individualismi e gli egoismi, il “me” sul “noi”, il subito al per sempre, l’effimero su ciò che si custodisce e costruisce nel tempo. Bisogna ricominciare a credere con speranza in progetti comuni, che riconoscano parità nella diversità, responsabilità meglio distribuite e diano dignità alle ambizioni delle donne, affinché il progetto di vita dell’altro conviva con il proprio e viceversa.
 
 
 
[1] “Ripartire dalla risorsa donna”, Fondazione Studi Consulenti del lavoro, reperibile a http://www.consulentidellavoro.it/home/storico-articoli/13330-ripartire-dalle-donne#:~:text=È%20quanto%20emerge%20dal%20focus,degli%20uomini
[2] Stevens, “Women, Power and Politics”, 2007.
[3] Funk e Gathmann, “Gender Gaps in Policy Making: Evidence from Direct Democracy in Switzerland”, 2010; Rehavi, “Sex and Politics: Do Female legislators affect state spending?”, 2007.
[4] Epstein e altri, “Do Women and Men State Legislators Differ?”, 2005.
[5] Reperibile in https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2020/01/09/donne-politica-rilevanza/
[6] Si veda https://alleyoop.ilsole24ore.com/tag/accademia/
[7] Holzer e Neumark, “What does Affemative Action do?”, 2000.
[8] Baltruinaite e altri, “Gender quotas and the Quality of politicians”, 2014.