Le elezioni regionali tenutesi il 12 e 13 febbraio hanno mostrato la netta vittoria della coalizione di centrodestra, con il successo di Fontana in Lombardia (54,67%) e Rocca nel Lazio (53,88%). Fratelli d’Italia si è confermata la prima forza politica con il 25,2% in Lombardia e il 33,6% nel Lazio. Dato centrale è il crollo dell’affluenza: solo il 40,1% degli elettori delle due regioni si è recato alle urne ad esercitare il proprio diritto-dovere di voto.

Il voto rappresenta un diritto individuale originario della persona e una funzione pubblica del cittadino, come recita l’art. 48 della Costituzione: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”.

Nel quadro dei principi fondamentali della Costituzione, il voto è tanto “diritto inviolabile” quanto “dovere inderogabile di solidarietà politica” ai sensi dell’art. 2 Cost. Il voto è la principale estrinsecazione del principio democratico scolpito nell’articolo 1 della Costituzione e una delle forme più importanti di “partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Per questi motivi, il dato emergente sull’astensione rappresenta una minaccia alle istituzioni del nostro paese.

L’allarmante dato sull’astensionismo non può essere percepito come un accadimento, ma rappresenta l’esito di un processo con ragioni specifiche. I dati sono chiari: nel periodo 1970-1992 l’indice di affluenza del 90,4%, nel periodo 1993-2008 del 82,9, mentre nel periodo 2009-2021 pari al 74% dei votanti. L’astensionismo in Italia, dunque, ha avuto una crescita esponenziale.

L’astensionismo si può suddividere in tre diverse classi. La prima è quella dell’astensionismo involontario che dipende dall’impossibilità di recarsi al voto a causa di impedimenti fisici o materiali. È il caso, ad esempio, dei grandi anziani, dei malati in casa, delle persone con disabilità, e degli elettori impossibilitati a votare a causa di soggiorni temporanei fuori dal Comune di residenza per motivi di studio, lavoro, vacanza. La seconda classe è quella dell’astensionismo per disinteresse verso la politica, che si può ricondurre agli elettori in posizione di marginalità culturale e sociale, poco o nulla interessati ai fatti pubblici. Infine, la terza: l’astensionismo di protesta, ovvero, coloro che dissentono esplicitamente dalle politiche governative, le persone che contestano la classe politica o che non hanno fiducia nel metodo (elettorale) democratico.

La nostra classe politica è chiamata, con urgenza, ad arginare il significativo calo dell’affluenza, agevolando l’accesso al voto alle categorie più fragili ed ai soggetti che soggiorno fuori il comune di residenza al momento del voto mediante strumenti quali, ad esempio, il voto elettronico e il voto in un seggio diverso da quello di residenza.

Ma non solo: la politica ed il sistema dell’informazione devono recuperare credibilità nei confronti del corpo elettorale, promuovendo la fiducia del popolo nell’integrità delle istituzioni e assumendosi la responsabilità di riavvicinare alle urne la parte dell’elettorato che volontariamente si astiene dal voto per ragioni di protesta e disinteresse.  Il diritto – dovere di voto è un cardine fondamentale della nostra democrazia e deve essere difeso dal nostro ordinamento.

Il dato elettorale, inoltre, cristallizza la centralità di Fratelli d’Italia, come partito leader del centrodestra. Questo risultato rinsalda la maggioranza di governo e la leadership del Presidente del Consiglio Meloni: FdI ottiene il risultato di migliore all’interno della coalizione senza però sottrarre voti dai partiti alleati di governo.

I risultati elettorali non premiano le opposizioni: tutte, ad eccezione del Partito Democratico, che migliora leggermente i dati, perdono voti rispetto alle elezioni politiche del 2022. La scelta del PD di affrontare l’importante tornata elettorale con un leader dimissionario ed una campagna congressuale aperta ha avuto un duplice effetto. Il primo, positivo, di sollecitare un dibattito tra gli iscritti e simpatizzanti, rappresentando agli elettori il partito come aperto ad un confronto interno, pronto a dare spazio anche alle minoranze. Dall’altro lato, l’assenza di una leadership ha portato il Partito Democratico a compiere scelte tattiche, prive di una strategia organica, alleandosi con il Movimento 5 Stelle in Lombardia e non in Lazio, e con Azione-Italia Viva in Lazio ma non in Lombardia. Tali scelte non sono state certamente ben comprese dall’elettorato.

Il peggiore risultato viene riportato dal Movimento Cinquestelle e da Azione-Italia Viva: entrambe riportano un netto calo dei voti rispetto le politiche del 2022. Queste forze politiche, così come il PD, pagano l’incapacità di non aver formato un’alleanza organica delle opposizioni fondata su temi condivisi, avendo preferito accordi nelle singole regioni, apparsi come una mediazione dei singoli interessi partitici piuttosto che sintesi di un programma elettorale condiviso.

Il risultato elettorale rappresenta una grande opportunità per il Governo Meloni in chiave europea.

Nei primi cento giorni, l’azione del Presidente del Consiglio Meloni si è concentrata sul ruolo geopolitico dell’Italia ed il rapporto con l’Unione Europea.  Dichiaratamente atlantico ed europeista, in continuità con il precedente esecutivo, il Governo è stato impegnato nell’intensificare i rapporti con i paesi del Nord Africa, ritenuti, a ragione, centrali per la sicurezza energetica e territoriale dell’Italia e dell’intera Europa.

Infatti, con il perdurare della guerra in Ucraina ed il conseguente deterioramento dei rapporti europei con la Russia, l’indipendenza energetica europea passa dallo sviluppo delle energie rinnovabili, dal migliorare i rapporti commerciali con i paesi del Nord Africa, detentori di ingenti riserve energetiche e dallo sviluppo dei giacimenti marini del Mediterraneo orientale.

L’obiettivo del Presidente Meloni è porre al centro della politica europea il Mediterraneo, rafforzando i rapporti con gli stati del Sud Europa e attribuendo un ruolo centrale all’Italia, capace di mediatore tra le diverse culture dell’area, divenire hub energetico europeo e garantendo la sicurezza dei confini dell’Europa.

Il programma ambizioso di politica estera italiana deve essere necessariamente sostenuto da una forte credibilità e fiducia del nostro governo nell’ambito dell’Unione Europea, l’istituzione deputata al confronto e dialogo degli Stati europei per affrontare le sfide del presente e del futuro. In questo contesto, la politica estera deve raccordarsi a quella interna: la credibilità italiana passa dalla capacità del governo nel prossimo anno di perseguire gli obiettivi posti dal PNRR, di sviluppare un piano energetico rinnovabile sul nostro territorio, mantenendo in ordine i conti pubblici.

Con uno sguardo al prossimo appuntamento elettorale, le elezioni europee del 2024, il governo Meloni, rafforzato dal risultato delle regionali e con una maggioranza alla guida di ben 15 Regioni, ha la possibilità di perseguire una politica interna efficace nel 2023 in grado di consolidare la propria credibilità internazionale. In mancanza di una politica interna in linea con la visione dell’Unione Europea e delle convergenze di accordi con i paesi europei del Sud, la strategia estera italiana nel Mediterraneo risulterà essere difficilmente realizzabile. In questo sono emblematiche le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Non c’è futuro al di fuori dell’Unione Europea. Di fronte alle grandi questioni e numerose sfide, tutte di carattere globale, in un modo sempre più condizionato da grandi soggetti, i singoli paesi dell’Unione si dividono tra quelli che sono piccoli e quelli che non hanno ancora compreso di esser piccoli anche loro”.

Occorre dunque investire nelle Regioni e nello Stato per rinforzare l’Ue e riscrivere la nostra agenda politica da Bruxelles per non perdere l’appuntamento della storia: solo insieme si può essere grandi Paesi.