di Marco Fornasiero
Dallo scoppio del conflitto russo in Ucraina stanno tornando alla ribalta concetti e parole che non si sentivano da tempo nella scena politica nazionale e internazionale. Dal secondo dopoguerra fino alla caduta del regime sovietico, la teoria dei blocchi contrapposti, la minaccia sovietica e l’atlantismo hanno ricoperto un ruolo centrale nella determinazione delle scelte politiche, economiche e sociali europee.
La definizione di atlantismo che viene data dall’Enciclopedia Treccani – linea di politica estera, seguita dai paesi dell’Europa occidentale – trae la sua origine dal Trattato dell’Alleanza Atlantica, sottoscritto da Carlo Sforza e Alcide De Gasperi nel 1949. Proprio De Gasperi, uno dei padri fondatori dell’idea di Europa, era convinto che la sottoscrizione di una alleanza atlantica, e dunque con gli Stati Uniti, avrebbe permesso al “vecchio continente” di intraprendere la strada dell’integrazione politica ed economica. Sono gli anni della ricostruzione post Secondo Conflitto mondiale e i governi dei principali Stati europei si convincono che sia necessario procedere con l’integrazione europea, pensandola in concreto su un doppio binario.
Da un lato costruire politiche europee a favore di un’integrazione dei popoli con una conseguente limitazione della sovranità degli Stati nazionali (europeismo), dall’altro, raggiungere un ordine economico internazionale fondato sulla cooperazione tra gli Stati (atlantismo). Gli Stati Uniti, in questo, ebbero l’importante ruolo di porsi per la nascente Europa come esempio di prosperità economica e stabilità politica, la cui forza derivava dalla costruzione di un mercato di ampie dimensioni e da un assetto istituzionale di governance federale che, limitando le sovranità nazionali, garantiva la pace.
E’ possibile e corretto, quindi, affermare che l’Unione Europea di oggi trae origine in gran parte dal Patto Atlantico, di cui l’Italia è stata una dei primi firmatari. In un contesto come in quello attuale, certamente molto diverso dalla ricostruzione postbellica, le istituzioni europee e i Paesi dell’UE si trovano a gestire i postumi di una crisi sanitaria, sociale ed economica mondiale, generata dal covid e, da gennaio 2022, anche la guerra causata dall’invasione russa in Ucraina, con le relative conseguenze geopolitiche ed economiche.
Pertanto il tema politico, oggi, dovrebbe essere come rinnovare i valori che risiedono alla base del Patto Atlantico e non dichiararsi a favore o meno dell’atlantismo, in quanto esso costituisce una parte strutturale dell’UE che conosciamo oggi. Certo, gli Stati Uniti non sono più la potenza egemone del secondo dopoguerra e con la presidenza Trump hanno vissuto una fase di apparente disinteressamento verso l’Europa, ma anche il vecchio continente è cambiato. Il Regno Unito è uscito ufficialmente dall’Unione Europea il 31 gennaio 2020, la Germania sta provando a gestire con il Cancelliere socialdemocratico Olaf Sholtz il post Merkel, mentre la Francia di Macron, nonostante la vittoria alle presidenziali di aprile, si trova dopo le elezioni legislative del 19 giugno 2022, con un governo rinnovato ma più debole.
All’interno di questo contesto si colloca l’Italia, che il 25 settembre si appresta ad andare alle urne per eleggere un nuovo Parlamento. Queste elezioni saranno un punto di svolta, non solo per quello che il nostro Paese ha sempre rappresentato a livello geopolitico, ma soprattutto per la determinazione degli equilibri europei. Oggi serve un nuovo patto atlantico tra Paesi liberi, che possa garantire i principi e i valori dei sistemi democratici liberali. Se è vera l’idea di Sandro Pertini che “è meglio la peggiore delle democrazie della migliore di tutte le dittature”, si tratta di ambire a realizzare la migliore forma di democrazia possibile.
Tra gli elementi su cui incentrare un nuovo Patto c’è sicuramente la transizione digitale, che rappresenta uno degli aspetti essenziali delle relazioni tra Paesi europei ed extraeuropei. L’innovazione digitale, infatti, è il termometro per il progresso di un Paese e incide ormai su gran parte dei settori della società, dal mondo del lavoro alla sicurezza, dalla finanza dei bitcoin e NFT alla privacy. È un settore, oltretutto, in continua evoluzione, basti pensare all’avvento nell’ultimo periodo del tema del metaverso. Il termine, lanciato dal libro di Neal Stephenson “Snow Crash” del 1992, indica la creazione di una realtà virtuale che potrebbe rappresentare una via di cambiamento con cui intendere il modo di lavorare e costruire la società (per approfondire P. Bonini, Il metaverso e la via europea sulla digitalizzazione).
In un mondo in cui la polarizzazione sempre maggiore tra la cosiddetta “inefficienza” delle democrazie – soprattutto in relazione alla gestione delle crisi – e l’apparente efficienza delle dittature “popolari”, l’innovazione tecnologica inciderà sempre più da vicino sulla società e sulla vita dei cittadini. Realtà come il metaverso dovranno essere regolamentate a livello internazionale e poste in sicurezza rispetto a forme di potere che fanno della realtà parziale un utilizzo politico strumentale. Una delle tante sfide del nuovo atlantismo.